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Cooperazione & Relazioni internazionali

Rimanere soli, il rischio più grande

Emanuele Fiano, deputato e segretario di Sinistra per Israele

di Ettore Colombo

L’opzione militare è un harakiri: se Israele rimane isolata, poi diventa impossibile trovare una via d’uscita Emanuele Fiano (classe 1963, milanese, già presidente della Comunità ebraica locale, poi consigliere comunale dei Ds, oggi deputato del Pd) era, la scorsa settimana, in Israele. A nome dell’associazione Sinistra per Israele, di cui è segretario (presidente ne è Furio Colombo), ha diffuso una nota per dire che «anche chi come noi non transige sulla sicurezza di Israele, non può esimersi dal considerare la risposta del governo israeliano, al di là dell’eventuale legittimità o meno, come inaccettabile dal punto di vista del costo in vite umane».
Vita: Qual è il suo giudizio su quanto accaduto peraltro in acque internazionali?
Emanuele Fiano: Siamo in un momento difficilissimo, per la vita di Israele e le sorti della pace in Medio Oriente. Anche rispetto a questo, Israele avrebbe dovuto valutare diversamente l’ipotesi di operazioni militari contro chi cercava di rompere il blocco navale. Oggi, il rischio di isolamento di Israele è enorme. L’azione militare ha raggiunto solo un risultato negativo. Tutti i media israeliani, tranne il Jerusalem Post, l’hanno detto apertamente.
Vita: Fino a ieri, la Turchia era uno Stato amico…
Fiano: A dire la verità da circa un anno non lo era più tanto, ma di certo i rapporti storici tra i due Paesi, sempre cordiali e frequenti, oltre che importanti dato il ruolo della Turchia come terra di cerniera e sedi di basi Nato, ora subiranno un brusco arresto. I rapporti bilaterali sono già entrati in crisi.
Vita: Che colpe ha l’attuale governo israeliano?
Fiano: L’attuale governo mostra, con questa azione, il deficit di politica che lo sta accompagnando sin dalla nascita. Quel governo, che non lavora per la pace, deve però fronteggiare – non dobbiamo mai dimenticarlo – nazioni come l’Iran. Che foraggia Hezbollah nel sud del Libano e Hamas a Gaza. Hamas che vuole distruggere lo Stato di Israele, come è scritto nel suo statuto fondativo. In quelle terre si scontrano, da sempre, due diritti: quello di Israele ad avere uno Stato e quello, altrettanto legittimo, del popolo palestinese.
Vita: Nessuna speranza, per la pace?
Fiano: Ci siamo arrivati molto vicino, quando Rabin e Arafat si strinsero la mano a Camp David. Anche Sharon, da primo ministro, cercò una rivoluzione pacifica, fondando Kadima, aprendo una trattativa con l’Anp e sgomberando le colonie occupate da Gaza. Poi, nulla. Oggi no, non vedo prospettive.
Vita: E quanto pesa la componente ortodossa, nella vita di Israele?
Fiano: Poco, sul quadro politico, meno di quanto sembri. Certo, recita un proverbio israeliano, «la politica estera di Israele è fatta di politica interna». Le ultime elezioni e la formazione del governo pesano.
Vita: Un quadro deprimente…
Fiano: Sì, in questo momento tenere accesa la speranza è difficile. Ho il senso dell’eternità di una lotta, anzi di una tragedia, che non finisce mai. Ma voglio sforzarmi di vedere una luce, dopo il tunnel. Ripenso agli anni di Rabin, agli accordi di Oslo, anni di grande sviluppo, anche sociale e civile. Allora, la spirale eterna dell’odio si ruppe. Dobbiamo tornare lì, a quel periodo, con ogni mezzo.


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