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Benedetto XVI e don Puglisi. Una beatificazione possibile?

di Redazione

Era il giorno del suo compleanno, 15 settembre 1993, l’avvistarono vicino a una cabina telefonica. Gaspare Spatuzza gli prese il borsello, «padre, questa è una rapina». Salvatore Grigoli si appostò alle sue spalle, pronto a sparare, freddo come al solito. «Vi aspettavo», sorrise il prete. Si chiamava Pino Puglisi, parroco di Brancaccio. Il primo sacerdote ammazzato dalla mafia, almeno negli ultimi sessant’anni. I suoi killer quel sorriso non riuscirono a cancellarlo dalla loro vita. Entrambi hanno ripudiato la mafia e collaborato con la giustizia.
Il Papa ricorderà don Puglisi, senz’altro, domenica 3 ottobre, durante le 12 ore che passerà a Palermo. Parlerà anche del suo processo di beatificazione il cui dossier dal 2001 giace in Vaticano? E in che termini ne parlerà? Un cartello di associazioni cattoliche ha fatto pervenire al cardinale Tarcisio Bertone una petizione affinché la Chiesa riconosca al parroco di Brancaccio il titolo di “martire” cristiano. Tra i firmatari l’Azione cattolica, Sant’Egidio, i Focolarini, e molto fedeli comuni.

IN ODIUM FIDEI
Ratzinger è un teologo serio, nel vocabolario cattolico “martire” è colui che viene ucciso «in odium fidei», quindi analizzerà bene il caso prima di prendere una decisione. Un conto è una nobile vittima di una battaglia civile, un conto è il martire cristiano. Le due cose possono sovrapporsi ma sono giustamente distinte. Nel caso di don Puglisi però non dovrebbero esserci dubbi. La sua testimonianza non rientra nel cliché politico del “prete antimafia”. Non andava in tv, non faceva interviste e conferenze a ripetizione. Non ne aveva il tempo. Era un prete e basta. A Brancaccio c’era nato. Lo uccisero perché la sua parrocchia era un pezzetto di mondo nuovo sottratto alla prepotenza della criminalità: in odio alla sua carità, che nasceva da una fede semplice e profonda in Gesù.

ipse dixit
Le nostre iniziative e quelle dei volontari devono essere un segno. Non è qualcosa che può trasformare Brancaccio. Questa è un’illusione che non possiamo permetterci. È soltanto un segno per fornirci altri modelli, soprattutto ai giovani. Lo facciamo per poter dire: dato che non c’è niente, noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualche cosa. E se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto…


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