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I poveri? Un lusso che dobbiamo permetterci

Il progetto triennale Acli fonda la politica dei sussidi

di Redazione

«Al ministero chiediamo degli impegni concreti: noi cerchiamo di esser pragmatici, ma l’obiettivo ultimo deve essere quello di arrivare a una misura di contrasto alla povertà assoluta». È il bilancio di Andrea Olivero, presidente delle Acli, a conclusione di una giornata che ha visto la grande organizzazione scendere in campo per presentare il progetto della Nuova Social card (vedi l’articolo di Cristiano Gori, Vita n. 7). Il Piano Acli introduce gradualmente – nell’arco di tre annualità – la Nuova Social card (Nsc) che sostituisce la carta attuale. Un piano triennale che prevede un’estensione graduale dei benificiari e che alla fine del percorso costituirà il livello essenziale delle prestazioni sociali.

Il “ni” del ministro
Maurizio Sacconi, intervenuto alla presentazione del progetto, ha detto che la proposta è valida, ammettendo che c’è la necessità di una misura contro la povertà assoluta, ma si è trincerato dietro il muro dei soldi che non ci sono. L’allargamento dei diritti soggettivi «è un lusso che in questi tempi non possiamo permetterci».
«Invece il Piano delle Acli sarebbe un ottimo punto di partenza», ribatte Marco Revelli, per tre anni presidente della Commissione di indagine sull’esclusione sociale. «La proposta potrebbe dare un senso alla social card trasformandola in un ponte tra il paternalismo compassionevole e serie politiche di sussidio a tutela dei diritti sociali».
Anche per Chiara Saraceno, che ai tempi del ministero Turco aveva presieduto la Commissione povertà, la Social card è una misura viziata di paternalismo. «È il senso della carta acquisti, al posto dell’erogazione diretta di denaro», spiega. «C’è sempre il sospetto che i poveri siano incapaci di spendere bene il poco denaro che hanno. Tuttavia è apprezzabile un modello di politica di sostegno al reddito dei poveri a responsabilità pubblica, con criteri universalistici e non categoriali o discrezionali, che coinvolga tutti gli attori locali rilevanti, e che miri non ad erogare carità, ma a sviluppare competenze e diritti insieme a responsabilità».
Per Marco Revelli il fattore vincente della proposta Acli sta nel basarsi sull’indicatore Istat di povertà e «non su scelte discrezionali come quelle che oggi hanno guidato le politiche tremontiane. In più», continua Revelli, «impegna Stato e cittadino disagiato in un patto reciproco: sostegno e servizi base fino al reperimento di un impiego dal salario sufficiente».
«Il mio punto di vista è riassumibile in due elementi», spiega Paolo Pezzana, presidente della Federazione italiana organismi persone senza fissa dimora. «Primo: l’autentico universalismo. Mentre tutta una serie di misure contro la povertà erano state disegnate, in questi anni, a tavolino, senza prendere realmente in considerazione i più poveri tra i poveri, che non hanno avuto accesso alle misure di sostegno poiché tecnicamente non potevano avere la Social card, questa misura è pensata in maniera specifica per quei target».

Un rimedio alla solitudine
«Il secondo aspetto che mi convince è la progettualità», continua Pezzana. «Nella proposta si recupera con forza l’elemento dell’inserimento dello strumento “nuova” Social card in un percorso di reinserimento delle persone. Quindi si riconosce la multidimensionalità del disagio e si riconosce, soprattutto, che il denaro da solo non basta. È importante, ma ci deve essere anche un riconoscimento di un diritto come attestazione di una “esistenza in vita”. Al tempo stesso, in questa proposta si dice di più: si dice che devono essere coinvolti i Comuni, devono essere coinvolte le associazioni, tutto è “dentro” un progettualità. Si mette un correttivo alla solitudine delle persone, rispetto al solo denaro, che a volte è una delle cause di fallimento delle misure economiche di welfare».


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