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Cooperazione & Relazioni internazionali

E’ sindrome giapponese

Il dramma tsunami sull'isola nipponica scatena il dibattito: nucleare sì o no?

di Redazione

Occhi puntati sul Giappone. E polemiche concentrate sul rischio nucleare. Di questo parlano i giornali di oggi principalmente. In bilico fra allarmismo e solidarietà.

“Emergenza in quattro centrali”. Giappone e pericolo nucleare compeggiano sulla prima della CORRIERE DELLA SERA. Sergio Rizzo, invece, ripresenta nell’editoriale la polemica che in questi giorni sta attraversando maggioranza e opposizione in riferimento a quanto successo in Giappone, “Il nucleare e noi”: «C’è stato chi, magari confortato dai 10 mila chilometri di distanza, ha detto che alle nostre future sicurissime centrali non potrà succedere. L’impianto di Fukushima è vecchio. E poi in Italia ci sono siti sicuri al riparo dai terremoti. Tutto vero. Resta il fatto che l’opinione pubblica ha il diritto di sapere che cosa si sta davvero rischiando. Senza reticenze».

Da pagina 2 a pagina 13 tutto è dedicato alla catastrofe giapponese. La cronaca, i reportage tra le gente, lungo le file per il cibo e l’acqua, il comportamento della politica, i soccorsi. Ma soprattutto il pericolo nucleare: come, perché, e con quali conseguenza sono avvenute due esplosioni nella centrale di Fukushima. E quali pericoli per il restante parterre di centrali nucleari presenti sul territorio nipponico. «Controllare. Raffreddare. Confinare. In quest’ordine, è il mantra che ogni tecnico di centrale nucleare ha ben scolpito nella propria mente. Ed è lo stesso mantra che gli uomini della Tokyo Electric Power Company stanno cercando di applicare in queste ore ai due reattori di Fukushima 1 e 3. Ci riusciranno?». Lo scrive Stefano Agnoli nel suo “Un muro di cemento per il reattore contro il rischio di «sindrome cinese»” a pagina 5. E ancora, immancabile, il dibattito. Il Corriere raccoglie due voci, una sostanzialmente a favore dello sviluppo nucleare e a l’altra contraria: Paola Girdinio, preside di ingengneria a Genova, e lo scienziato Vincenzo Balzani. Fermare le centrali nucleari, dunque? No, dice la Girdinio, quelle nuove sono 4 volte più sicure. Sì, controbatte Balzani, rimane il problema delle scorie.
Infine un articolo è dedicato all’ennesima dimostrazione di come il Web abbia anche in questa occasione avuto un ruolo. “Tutto in Rete: così è cambiata la memoria collettiva” a pagina 12.

“Giappone, la grande paura del nucleare”: LA REPUBBLICA ovviamente dedica apertura e molte pagine alla tragedia giapponese. Si parte con un reportage da Minamisanriku di Giampaolo Visetti: “Rapporto dalla città dei morti”. «La città scomparsa dovrebbe essere qui sotto. Nessuno si rassegna a crederci, ma è così. I piedi affondano in un pantano nero, impastato di sabbia, di petrolio, di acqua salata, di travi in cemento e di pesci coperti da insetti…. Pochi soccorritori sono arrivati quie la prima volta sono andati via convinti che il porto peschereccio abitato fino a venerdì da 17mila persone si trovasse altrove». Immagini desolanti e testimonianze ancor più tragiche: «ci mancano farmaci essenziali e sangue», dice il caposquadra di Medici senza frontiere, «e l’assenza di energia impedisce di operare». Della centrale di Fukushima e della fuga radioattiva riferisce Daniele Mastrogiacomo: «due degli 11 reattori continuano a produrre combustibile. Ma le barriere che contengono isotopi sono roventi. Manca l’acqua di raffreddamento, si pompa quella marina». Lo stesso scenario si ripete nelle centrali di Onegawa e di Tokai: per evitare l’accumulo di pressione e calore, si è ricorsi al rilascio controllato del vapore. «C’è un popolo di 210mila persone che abbandona la vita di sempre». Ieri l’ammissione del premier Naoto Kan: «Dobbiamo affrontare la peggiore crisi degli ultimi 65 anni. Solo uno sforzo collettivo può risollevare il Giappone». Intanto la paura atomica cresce nel modo. Riferisce da New York, Angelo Aquaro: “Dagli Usa all’Europa, il nucleare fa paura”. L’incubo riapre il dibattito sull’energia atomica. Con il cancelliere tedesco che chiede che la questione venga sollevata a livello europeo, proprio mentre il nucleare aveva ricevuto negli States la benedizione di Barack Obama (entro il 2020 dai 4 agli 8 nuovi impianti dovrebbero entrare in funzione negli Usa, dive sono già attivi 104 reattori in 31 stati). “L’addio all’atomo è un dovere civile”: è il titolo di una intervista a Daniel Cohn-Bendit, l’eurodeputato verde: «col nucleare la sicurezza assoluta non esiste. Il dramma giapponese è la tragica conferma che l’addio all’atomo civile è un dovere dell’umanità verso le generazioni future… Dobbiamo uscire dal nucleare. È difficile, è un processo lungo ma non possiamo permetterci di lasciare alle prossime generazioni un mondo col nucleare civile». Per l’Italia, «conoscendo il rischio terremoti, sarebbe un crimine da voi tornare al nucleare. Ma sono sconcertato e desolato davanti all’assenza o debolezza di voci ecologiche e di sinistra per un un uso più efficiente dell’energia in Italia». Dopo una doppia pagina sulla difficile vita a Tokyo, un approfondimento sull’allarme che è giunto sì in anticipo ma di appena una manciata di secondi. «Incredibilmente alla rete dell’early warning non erano collegate le centrali nucleari», scrive Elena Dusi, «gli impianti sono considerati talmente importanti da meritare una rete speciale che di fatto era ancora in fase di test quando il terremoto ha colpito venerdì». Non molto più efficace del resto è stato l’allarme tsunami (arrivato appena 10 secondi prima).

«I problemi – ancora per fortuna relativamente sotto controllo – sembrano moltiplicarsi, proprio come i brutti sogni da cui ci si vorrebbe svegliare» scrive l’inviato de LA STAMPA a Tokio in un primo piano intitolato “Giappone: angoscia atomica”. L’apertura dell’edizione di oggi è tutta sul terremoto e sull’allarme nucleare: “Giappone, 10mila morti. Paura per le redazioni” titola la prima pagina. L’articolo dell’inviato a pagina 2 spiega che «proseguono le fuoriuscite di vapore contaminato «controllate» – se si può utilizzare questo termine quando si spara nell’atmosfera acqua con isotopi radioattivi di Iodio-131, che attacca la tiroide, e di Cesio-137, che porta il cancro alle ossa  – ma obbligate per non far saltare i “vessel”, il contenitore in pressione dove avviene la reazione nucleare». Intanto la tv giapponese comincia a parlare di rischi di «pioggia radioattiva», precipitazioni contenenti anche isotopi provenienti dalle “fughe controllate”.

Foto notizia in prima pagina per IL SOLE 24 ORE del lunedì che sconta la non attualità di questa edizione. L’immagine è su un’autostrada spaccata. «Su strutture ed energia le ripercussioni più pesanti dopo il disastro che ha colpito il Giappone». A pagina 11 si punta sugli effetti economici del disastro, la questione nucleare, segnalata nel catenaccio è ancora un’incognita. Si osserva comunque che l’area colpita ha un’incidenza di solo il 2% sul  Pil del Giappone «(…) Le aree produttive del Giappone non sono state compromesse: la catena di fornitura non sarà minimamente toccata dalla catastrofe» osserva il vide direttore del Mip del Polititecnico di Milano Giuliano Noci.

IL GIORNALE apre in prima taglio basso con il Giappone. Stefano Zecchi firma “Se l’atomo fa più paura dello tsunami” in cui sostiene «è la parola “nucleare” che provoca ansia». Poi una veloce carrellata storica «le gene­razioni del dopoguerra sono cre­sciute sotto la minaccia reale -non immaginaria dell’annientamento della bomba atomica. E ne hanno anche conosciuto gli ef­­fetti, proprio sul Giappone, di un ordigno nucleare, piccolo se pa­ragonato a quelli odierni. Abbiamo studiato la Storia di questi ulti­mi 60 anni e abbiamo capito che, grazie alla consapevolezza  della distruzione totale che avrebbe provocato l’atomica, i potenti della terra hanno risparmiato all’umanità una guerra tragica. Poi ci sono le catastrofi delle centrali nucleari, come per esempio quella di Chernobyl e, forse, quella che sta colpendo il nord del Giappone. Insomma, come può la sola parola “nucleare” non provocare timore». Ma solo a chi «non è scienziato». In conclusione dunque spiega Zecchi «credo sia doveroso fidarsi delle competenze degli scienziati, i quali ci informano che l’energia nucleare non è pericolosa, se non in casi estremi. Ma sono proprio questi casi estremi quelli che alimentano le nostre paure. È inutile fingere: ci impensierisce molto meno la catastrofe ambientale provocata dalla fuoriuscita nel mare di tonnellate di petrolio che una fuga radioattiva». A pagina 12 e 13 gli approfondimenti. Nella prima Manila Alfano fotografa la situazione in “Tutti in fuga dal Paese. È l’ora più difficile dai tempi della guerra”. Nell’altra Franco battaglia firma “Se il nucleare fa più paura dello tsunami”. «Come c’eravamo figurati, il giorno dopo l’apocalittico disastro i principali mezzi d’informazione (la parola è grossa, ma è così che si chiamano), hanno concentrato l’attenzione sul rischio nucleare», attacca il giornalista. Ma i fatti vanno da un’altra parte: «in seguito ad uno dei più potenti terremoti della storia dell’umanità (mille volte più potente del terremoto che ha colpito l’Aquila), 11 dei 54 reattori giapponesi si sono automaticamente spenti e l’unità nucleare si è isolata dal resto dell’impianto (gli altri reattori in esercizio hanno continuato ad operare). Purtroppo, una delle centrali che ospita 3 dei reattori spentisi (la centrale di Fukushima I) è stata investita da un’onda di tsunami che, oltre a travolgere 4 addetti alla centrale uccidendone uno, ha anche fatto mancare l’alimentazione elettrica ai sistemi di raffreddamento, necessario alle unità così distaccate, e in una delle quali è avvenuta un’esplosione, molto probabilmente per l’accumulo di idrogeno. Le conseguenze dell’esplosione e delle manovre eseguite per operare il raffreddamento in assenza di alimentazione elettrica sono state: 1) le lesioni dall’esplosione subite da 4 addetti e 2) la fuoriuscita di vapori debolmente radioattivi, che ha indotto le autorità ad adottare la misura cautelativa di evacuare l’area entro un raggio di 20 km dalla centrale. Per avere una misura della gravità dell’incidente (in quanto incidente nucleare), giova notare che l’Agenzia della sicurezza nucleare giapponese ha proposto che esso sia classificato al livello 4, in una scala internazionale che va da 1 a 7 e che ha attribuito livello 7 all’evento di Chernobyl». La conclusione di Battaglia è che «i Paesi che ospitano gli attuali 64 reattori nucleari in costruzione nel mondo o che intendono sviluppare il nucleare hanno ora un motivo di più per perseguire nel loro intento». In taglio più basso un box che fotografa l’emergenza “E l’allarme contagia altre due centrali”.

FONDAZIONI
LA STAMPA
– “Fondazioni, un tesoro da proteggere”. Nella pagine di Economia LA STAMPA pubblica un focus sulle fondazioni bancarie, che «hanno compiuto 20 anni e sono corteggiatissime». Un libro appena uscito per Marsilio di Fabio Corsico e Paolo Messa: “Da Frankestein a principe azzurro” spiega come sono nate e come sono cresciute queste «sirene del privato sociale» che, in periodi di crisi come questo, «spesso sono l’unica risorsa per soccorrere casse comunali sull’orlo della bancarotta». Gli autori ripercorrono il passaggio storico in Italia dal credito pubblico al privato, che vide uno snodo cruciale nella legge Ciampi del 1998.

OCCUPAZIONE
SOLE 24 ORE – «Il primo impiego vale 800 euro» è il titolo di un articolo a pagina 16 dedicato alla diminuzione del 3% degli stipendi dei giovani con meno di 30 anni. Donne, atipici e residenti al su i più penalizzati. «Dimenticate la generazione mille euro. Oggi la busta paga di un giovane al primo impiego è ben più leggera: 823 euro netti al mese» si legge nell’articolo. Nella stessa pagina di spalla una ricerca sulle donne in base a una ricerca di Goldman Sachs sul cambio dei consumi, nell’occasione si intervista anche Sheila Patel Am di Goldman Sachs che parla di quote rosa che lei non sosterrebbe come strumento «per sostenere le carriere delle donne»

FACEBOOK
ITALIA OGGI – Apertura in prima “L’altra faccia di Facebook” e approfondimenti a pag 2 e 3 sui nuovi accertamenti da parte delle agenzie delle entrate e delle Guardia di Finanza sempre più attenti alle informazioni che circolano sul web. «Vantarsi su Facebook» scrive ITALIA OGGI in prima «dell’ultimo viaggio di lusso che ci si è concessi, o del fuoristrada che scala le montagne, o del collier appena regalato dal fidanzato è una tentazione alla quel in pochi sanno resistere. Il problema è che il web non sa mantenere i segreti e così i dati arrivano anche gli dell’Agenzia delle entrate e della Guardia di finanza, che li leggono però con occhi diversi». La tesi di ITALIA OGGI è sostenuta dal direttore generale dell’Agenzia delle Entrate Attilio Befera, che proprio la settimana scorsa «ha lasciato intendere che proprio sul rapporto tra fisco e social network sono in arrivo novità che potrebbero cambiare gli atteggiamenti dei contribuenti italiani, come peraltro è già avvenuto per quelli dei paesi più evoluti, Usa in testa».


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