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Sostenibilità sociale e ambientale

Una mappa di sopravvivenza nel Giappone degli isotopi

di Redazione

Giovedì, 24 marzo.
Cosa scrivono i giornali italiani
Sono passate due settimane dallo spaventoso terremoto e conseguente tsunami che ha investito il Giappone settentrionale. I 15 giorni più lunghi della mia permanenza decennale in questo arcipelago. Prima gli eventi naturali, poi l’incubo nucleare. Un incubo che non smette di pesare sulla vita quotidiana. La stampa internazionale sembra non capire questa situazione di attesa. Alimenta paure. Come non ricordare la Fox che annuncia di aver scoperto una centrale nucleare a Shibuya, in pieno centro a Tokyo? O a certi articoli di Repubblica o Corriere? «Io Beppe, l’ultimo italiano rimasto a Tokyo», titolava il Corriere lo scorso 15 marzo. È uno dei titoli che resterà, di questa tragedia. Come, l’ultimo italiano? Qui siamo in tanti, non se n’è accorto nessuno? E Repubblica on line che replica con un servizio fotografico intitolato «Saitama, lo stadio-rifugio dei contaminati». Notizia falsa. Non sono contaminati; le immagini si focalizzano sulle persone che indossano la mascherina bianca, popolarissima in Giappone per proteggersi dal polline in primavera, non dalle radiazioni. Sempre su questo sito, il 23 marzo: «Tokyo, vietata l’acqua ai bambini». Falso. Perché l’acqua non è stata vietata ma sconsigliata, perché non in tutta Tokyo e perché solo ai bambini con meno di 12 mesi. Sono sottigliezze, a certe latitudini, ma le parole hanno un peso e qui hanno un peso ancora più grande. I lettori spesso si limitano ai titoli. Traggono da lì la loro “visione”.

Venerdì, 25 marzo
Chi ci crede alla Tepco?
Com’è, lì, la situazione? Me lo chiedono in tanti, amici preoccupati, forse più di me. C’è preoccupazione per le condizioni della centrale nucleare a Fukushima. I giapponesi, un po’ per pragmatismo, un po’ per forzato ottimismo e un po’ perché non c’è altro da fare, hanno subito ripreso le loro attività quotidiane. Sbaglia però chi crede che non dubitino di quanto viene detto loro dai media e dal governo. Tutte, e dico tutte le persone con cui ho parlato (per lo più casalinghe, e non attivisti ecologisti), mi hanno espresso le loro perplessità sulle notizie date, specialmente dalla Tepco. Insomma, se da una parte c’è una giusta fiducia verso le autorità e gli specialisti al lavoro, dall’altra c’è una netta preoccupazione che tutta la situazione non filtri chiaramente attraverso i canali ufficiali. Ma non viene percepito come un complotto: le responsabilità della Tepco sono altissime, ma non esiste alcuna “macchina segreta”, come hanno lasciato trapelare alcuni giornali occidentali, e sostengono molti blog anti nuclearisti nostrani. È la loro tesi, ma è falsa. Il che mi ricorda una cosa che un mio amico mi disse tempo fa: «Quando apri la macchina del potere, magari ti aspetti ingranaggi complicatissimi, ma molto spesso – tac! – la apri e ci scopri solo un elastico».

Sabato, 26 marzo
Un’idea di rivoluzione
Giornata di pessimismo. Secondo la stampa locale e straniera, per risolvere la situazione dei reattori potrebbero servire mesi. Resta da vedere quanto grave e quanto ampio sarà l’impatto ambientale del disastro. Continuano intanto le preoccupazioni per l’estate, quando a causa della calura soffocante la domanda energetica nella zona del Kanto (che comprende Tokyo) supererà l’erogazione massima possibile. Si vocifera già del possibile spostamento di uffici a Nagoya od Osaka e di misure per diminuire il consumo. In tante notizie preoccupanti questa mi sembra un raggio di luce, perché stringere la “cinghia energetica” potrebbe significare cambiare stile di vita, rivalutare le proprie priorità e cominciare una specie di piccola rivoluzione energetica. La società giapponese di solito si muove unita e compatta: si realizzerebbe così quello che molti scrittori, pittori, cineasti e artisti già da un po’ di tempo a questa parte stanno spingendo a fare.

Lunedì, 28 marzo
Nell’incubo, in apnea
L’umore va a ondate. Oggi è uno di quei giorni in cui si sogna la risalita, fosse pure allucinatoria. Le condizioni effettive dei reattori per lo spettatore esterno sembrano oramai dominio della meccanica quantistica: ciò che succede là dentro è un po’ come il principio di indeterminazione di Heisenberg, cambia a seconda dell’osservatore (e della sua politica energetica). Che cosa resta da fare al cittadino medio che non si arrende? Una strada, quella praticabile al momento attuale, è mantenere uno sguardo parallattico sulla questione. Prendere le informazioni, vengano esse dal Giappone – non sono poi così monolitiche – o dall’Occidente e metterle insieme, senza però scegliere, ma lasciando che si depositino formando un’ideale mappatura del presente. Su questa mappa poi disegnare un percorso di “salvezza”, controllare gli isotopi che si disperdono, i venti, il materiale radioattivo nei cibi, i pericoli veri e quelli presunti, prendere tutte le precauzioni necessarie ma allo stesso tempo continuare la propria vita, ridisegnarla se necessario secondo parametri di salute (nel senso più ampio del termine). Imparare a con-vivere col pericolo, qui e ora. Riservando a quell’orlo che divide il presente dal futuro la potenza di inventare delle possibili vie di fuga da questo incubo nucleare, che non è solo qui in Giappone ma è dovunque, oramai non solo nucleare ma come una lunga apnea da cui tutti, e intendo il mondo intero, aspettiamo di risalire.
In periodi così speciali, il superfluo viene lanciato fuori bordo, le letture e le visioni cinematografiche prendono delle strade inaspettate. Non c’è poi molta voglia di leggere come distrazione, però paradossalmente mi sono accorto che da quando è cominciato tutto questo, i libri di filosofia politica o di storia che prima leggevo con piacere mi fanno vomitare, mi sono buttato su quelli di tono più personale: si torna a leggere Meister Eckhart. Stesso nel cinema. Non c’è davvero la predisposizione d’animo per vedere dei lavori di critica sociale, o all’opposto film che strizzano l’occhio citazionista al critico. Sono stato invece rapito da un bel film quasi bucolico girato da uno studente quattordicenne nell’isola di Okinawa e dalla rivisione di un film minimalista su una ragazza che insegue i gatti a Tokyo. Come dire, la vittoria del potere di guarigione dei paesaggi e dei luoghi cittadini, lo spazio contro il tempo frenetico delle notizie, l’assenza di punto di vista e la deriva senza scopo contro un’ideologica pesantezza dei fini e degli obiettivi.


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