Cooperazione & Relazioni internazionali

Libia, raid a tempo (in)determinato

Lega e Pdl trovano un'ambigua intesa, oggi il voto in Aula

di Franco Bomprezzi

I giornali continuano ad aprire con dovizia di pagine e di commenti sull’uccisione di Osama Bin Laden, ma nel frattempo l’Italia sta decidendo come comportarsi, dal punto di vista militare, in Libia, dopo lo strappo, parzialmente ricucito, fra la Lega e Berlusconi. Un tema che, senza l’irruzione planetaria del blitz in Pakistan, avrebbe sicuramente avuto le aperture dei quotidiani. Ecco la nostra rassegna sull’argomento.

“Il compromesso tra Pdl e Lega non cambia la missione in Libia” è il titolo di taglio a due colonne sulla prima del CORRIERE DELLA SERA. I servizi da pagina 22 a pagina 24, dopo il lungo blocco dedicato ancora a Bin Laden. “Libia, Pdl e Lega uniti al voto «Niente tasse e data per il ritiro»”, apre pagina 22, con la cronaca parlamentare di ieri, affidata a Paola Di Caro: “Si chiude oggi, con il voto sulle mozioni che di fatto non cambieranno il corso della nostra politica estera, la querelle sulla natura dell’intervento italiano in Libia, che ha diviso profondamente Pdl e Lega, ma soprattutto Bossi e Berlusconi. — come era ampiamente previsto alla vigilia, la maggioranza è riuscita a ricompattarsi e a presentare un documento comune, in sette punti, in cui pur riconfermando l’adesione ai contenuti della risoluzione Onu già votata in Parlamento alcune settimane fa, si chiede l’impegno del governo a concordare una data per il ritiro della Libia in accordo con Nato e Paesi alleati, e si impegna l’esecutivo a non aumentare le tasse per finanziare «la missione in oggetto» . C’è voluto un vertice mattutino presieduto da Berlusconi, che ha avuto modo anche di parlare velocemente con Bossi collegato da Gallarate, assieme ai ministri Frattini, La Russa, Maroni, Calderoli nonché ai capigruppi di Pdl, Lega e Responsabili per trovare l’accordo sul testo che resta quello presentato dal Carroccio, pur edulcorato in alcuni passaggi”. Resta invece intatto il dissenso tra Bossi e Berlusconi, che è rinviato a dopo l’esito delle elezioni amministrative. Maurizio Caprara, nella stessa pagina, racconta l’atteggiamento degli alleati: “La Nato: la missione finirà solo quando Gheddafi si ferma”. E di spalla, a pagina 23, il retroscena di Marco Galluzzo: “Il premier a Bossi: la quadra si trova se vi ricordate che siete al governo”. Che la situazione sia complessa, dal punto di vista di Berlusconi, lo si capisce da questo passaggio: “in privato il Cavaliere punta il dito contro la possibilità che la Nato si spinga sino a mettere in pratica dei raid mirati contro il regime libico e la famiglia di Gheddafi. Di certo c’è che la posizione del Cavaliere oscilla ancora fra la convinta adesione alle scelte compiute e il rammarico per averle subite senza troppa voglia. Non si poteva fare diversamente, ma resta la difficoltà a metabolizzare un conflitto che ha ormai quasi apertamente un solo obiettivo, eliminare un uomo che sino a qualche mese fa era uno dei suoi principali alleati, fra i primi partner economici, persino, a tratti, un amico. «Sono tre o quattro giorni che non dormo bene per questa situazione» , ha aggiunto ieri mattina, parlando con i ministri leghisti e i capigruppo della maggioranza alla Camera e al Senato, mentre qualcuno nel suo partito continua a chiedergli di ritagliarsi un ruolo maggiore, magari di mediazione con lo stesso Colonnello, visti i trascorsi. Qualcosa più facile da immaginare che da mettere in pratica e che forse aveva un senso nei primi giorni del conflitto e non a questo punto, mentre Gheddafi minaccia l’Italia di portare la guerra sul nostro suolo. Domani il Cavaliere incontrerà il segretario di Stato americano, Hillary Clinton. Assieme ai ministri degli Esteri dei Paesi che partecipano alle operazioni in Libia, il nostro governo farà a Roma il punto sulla situazione”. E la consueta Nota di Massimo Franco conferma: “Compromesso ambiguo che conferma le distanze fra Cavaliere e Senatur”. Scrive il notista politico del CORRIERE: “Se il vertice leghista voleva tenere il capo del governo sulla corda, l’operazione è riuscita. Ma se l’obiettivo era quello di smentire le decisioni prese da palazzo Chigi con la Nato sui raid contro Gheddafi, Bossi l’ha mancato”. E più avanti: “Ancora una volta, il paradosso è che un centrodestra diviso da tensioni anche elettorali alla fine vota unito. Le opposizioni, invece, presentano mozioni diverse”. E a proposito di opposizione, l’apertura di pagina 24: “«Tregua e conferenza di pace» Svolta del Pd sul conflitto” è il titolo del pezzo di Maria Teresa Meli, che scrive, fra l’altro: “Ma non era solo D’Alema a suggerire la prudenza. Per certi paradossi che solo la politica regala, anche i radicali, che hanno sempre contrastato la linea pro Gheddafi del presidente del Copasir, erano contrari alla mozione di tre righe. E avevano già preparato un loro documento, come aveva anticipato Marco Pannella domenica scorsa. Un documento che era piaciuto a molti veltroniani, da Giovanna Melandri ad Andrea Sarubbi, da Jean Leonard Touadi a Furio Colombo, che si erano detti pronti a sottoscriverlo. Lo voleva firmare anche Rosa Calipari, della mozione Marino. Insomma, per farla brevissima, il fronte anti-mozione prima stesura era amplissimo. Gira che ti rigira rappresentava mezzo gruppo parlamentare. Senza contare che sei deputati e cinque senatori avevano già annunciato che non lo avrebbero mai potuto votare. Si tratta, tanto per fare qualche nome, di Enrico Gasbarra, Gero Grassi, Vincenzo Vita, parlamentari del Pd che non diranno di sì nemmeno alla versione riveduta e corretta del documento. Si asterranno. Dunque, il pressing era tale che alla fine la paura di perdere voti alla Camera e al Senato, oltre che consensi nel Paese, è stata più forte della volontà di «coprire» politicamente il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha dato il suo benestare ai bombardamenti”.

I nuovi dettagli sul blitz conquistano il titolone de LA REPUBBLICA che sottolinea l’acquisizione dei pc del leader di Al Qaeda: “Tutti i segreti di Bin Laden”. In taglio basso la guerra vista da Montecitorio: “Bossi cede al Pdl, accordo sulla Libia”. Tre pagine di servizi all’interno, inaugurati da un pezzo di Alberto D’Argenio che riferisce gli incontri di ieri, a Palazzo Chigi. Berlusconi, Lega (senza Bossi) e responsabili; quindi cena con Tremonti. Il Pdl sposa la mozione del Carroccio, con auspicio di fissare un termine per le operazioni d’intesa con gli alleati. «Una soluzione salomonica (la Lega voleva subito una data di stop) che però viene subito bocciata su due piedi dalla Nato: “la missione durerà il tempo necessario”, afferma Rinaldo Veri, responsabile di Unified Protector». Sul cedimento berlusconiano, il retroscena di Francesco Bei che sottolinea i malumori all’interno del Pdl: “Ma i berlusconiani si ribellano «Commissariati da Tremonti e Bossi»”. «È Montecitorio l’epicentro della rivolta», scrive Bei, guidata «da Claudio Scajola e Antonio Martino». Banco di prova, il decreto antiscalate messo a punto da Tremonti, che passa solo per l’astensione delle opposizioni (18 deputati Pdl non lo votano). Il timore è che il Cavaliere debba ora pagare una serie di cambiali in cambio del sostegno fino alla fine della legislatura: la direzione di Rai2 a Paragone, la Consob a Milano, il vicesindaco della metropoli lombarda, uno o due sottosegretari in più (ma il rimpasto ci sarà, pare, solo dopo le elezioni). Anche nel Pd un po’ di maretta: Bersani e D’Alema cambiano la mozione introducendo un più forte richiamo alla diplomazia per paura di passare da «filo-bombardieri» (11 fra deputati e senatori erano pronti a non votare la precedente versione).

Su IL GIORNALE spazio alla Libia. Fausto Biloslavo firma a pagina 2 “Gheddafi non deve fare la stessa fine di Bin Laden”. «Uccidere il capoccia libico è tutta un’altra storia, che rischia di farci valicare una sottile linea rossa. Neppure Saddam Hussein, che di mattanze ai danni del proprio popolo se ne intendeva, è stato fatto fuori manu militari dagli americani. Lo hanno processato ed impiccato i suoi connazionali, anche se nemici storici. Non solo: far fuori Gheddafi, forse è una scorciatoia per sbloccare un conflitto impantanato, ma rimane un azzardo dagli esiti imprevedibili. Il Colonnello, che ha fatto il suo tempo dopo 42 anni al potere, è pur sempre un leader politico fino a due mesi e mezzo fa riconosciuto e omaggiato da tutti. Seppure golpista veniva accolto con fanfare ed onori, nonostante le sceneggiate beduine, perché aveva le chiavi del gas e del petrolio. Da un giorno all’altro è diventato sanguinario e pazzo, nella terminologia alleata, anche se a Bengasi, dall’altra parte del fronte libico, non ci sono proprio le educande della democrazia». A seguire “Mozione unica, l’accordo Lega-Pdl, fa perdere la testa ai democratici” di Francesco Cramer. «L’accordo pieno si raggiunge in tarda mattinata quando, a palazzo Chigi, si ritrovano attorno a un tavolo Berlusconi, i vertici di Pdl, quelli della Lega, e il capogruppo dei Responsabili, Sardelli. Manca Bossi. Un’assenza che pesa e che dimostra che tra Silvio e Umberto resta la ruggine. Screzi sul piano personale più che su quello politico, visto che la “quadra” tra gli alleati partorisce una mozione che verrà votata oggi dalla Camera. La mina invece scoppia in casa Pd. Undici deputati appartenenti all’area cattolica e alla sinistra interna dichiarano infatti di non voler votare la mozione presentata dal loro partito, considerata troppo “guerrafondaia”. Bersani, che aveva sperato nella spallata al governo, di fatto perde due volte: il governo regge e l’ala pacifista si ribella al leader». 

Nessun richiamo in prima, ma un’intera pagina dedicata alle mozioni sulla guerra in Libia che vanno al voto oggi alla Camera: a pagina 6 del MANIFESTO l’articolo di apertura si intitola “Nato, due no a Silvio e Bossi” e un titolino a metà articolo sottolinea “Bruxelles irritata col premier. Doccia fredda in diretta: la missione durerà «il tempo necessario»”. Nell’articolo si legge: «(…) La distanza tra i confusissimi “Brancaleone” italiani e il comando atlantico a Bruxelles è massima. Con tanto di replica in diretta all’intesa tutta vernacolare tra Pdl e Lega sulla missione contro Gheddafi. L’Italia chiede ai partner un “termine certo” per la fine delle operazioni? “Durerà il tempo che sarà necessario”, risponde serafico Rinaldo Vieri, il responsabile delle attività marittime di Unified Protector che – ironia della sorte – è proprio un ammiraglio italiano di stanza a Bagnoli. (…) Insomma, visto da lassù (e da Tripoli), l’impegno italiano non cambia né può cambiare nei termini chiesti e ottenuti dal Carroccio. I nostri Tornado continuano a bombardare sotto il comando alleato e le nostre navi pattugliano il Mediterraneo esattamente come prima. Tre ore di vertice tra ministri e dirigenti parlamentari di Lega, Pdl e “responsabili” hanno partorito un gigantesco topolino. (…)» Nell’articolo si passa in rassegna anche il rimpasto di governo e il “premio” ai responsabili: «(…) Quasi sicuri i 4 responsabili: Cesario, Pionati, Polidori e uno dell’ex Mpa tra Misiti, Belcastro e Milo. Ma non è affatto escluso che il Carroccio tanto litigioso si calmi con un paio di nuove poltroncine. L’ambiente nella maggioranza infatti resta teso. (…)» e prosegue: «(…) Per sfortuna dei nostri leader, il mondo reale esiste. E domani farà capolino nel vertice internazionale sulla Libia che Berlusconi ha voluto tanto fosse fatto a Roma dopo Parigi, Londra e Doha». Un secondo articolo a metà pagina 6 è dedicato invece al fronte delle opposizioni: “Astensioni e «non drammatizzare» Ma l’opposizione resta divisa”, al centro la riformulazione della mozione Pd fatta con i radicali «(…) le mozioni restano tre, ma il Pd riesce a attutire la polemica sanguinosa con i dipietristi, nel parlamento. Fuori, dovrà spiegare perché non ha esitato neanche un momento il suo sì alle bombe. (…)» e riferendosi agli undici “demopacifisti” continua: «La riformulazione della mozione Pd in realtà, oltre a rimediare a una linea politica tutta fondata sulla missione militare, viene presentata come una mano tesa verso loro, e quel 72 per cento di italiani che la pensa come loro. (…)». 
  
IL SOLE 24 ORE dedica alla questione Libia la pagina 11, con il Punto di Stefano Folli “Sulla Libia linea obbligata, ma il Parlamento è in sofferenza”: «Non è stato in ogni caso un bello spettacolo quello che la politica italiana ha offerto al mondo negli ultimi dieci giorni. Frattini dovrà far ricorso alla sua migliore dialettica per convincere il segretario di Stato americano e gli altri paesi del «gruppo di contatto» che non è successo nulla e che l’Italia resta un alleato credibile nella crisi del Mediterraneo, sullo sfondo di una politica estera coerente. In realtà ha ragione Emanuele Macaluso, quando sul «Riformista» scrive che proprio la crisi libica ha mostrato l’esistenza di un “vuoto politico” che riguarda tanto le forze di governo quanto quelle d’opposizione. E quando un paese finisce per spaccarsi sulla politica estera non può lamentarsi se il suo prestigio nel mondo crolla. Sta di fatto che anche il centrosinistra esce male dalla vicenda. Le distinte mozioni del Pd e dell’Udc sostengono senza riserve le decisioni dell’Onu e la missione Nato, ma il documento dell’Italia dei valori, super-pacifista e favorevole al ritiro unilaterale, va in direzione opposta. Il Pd dovrà quindi votare contro Di Pietro: il che determina una grave spaccatura tra forze che dovrebbero essere alleate sul piano politico ed elettorale. Una frattura che lascia il segno».

Nulla in prima per ITALIA OGGI sulle vicende libiche. Ne scrive invece Franco Adriano a pagina 3 nel suo “No a nuove tasse per la Libia”. Dove confeziona per i lettori un vero e proprio pastone: dal fragile accordo Bossi-Berlusconi a sostegno di una mozione targata Carroccio, alle accuse rilanciate del pentito di mafia Giovanni Brusca, dalla richiesta da parte dei ribelli di sostenere economicamente il loro operato all’apparente braccio di ferro tra Fini e Casini. Voto 5. Fra i commenti da segnalare  “Il Cav salva il governo ma resta debolissimo” di Marco Bertoncini a pagina 2. In cui si descrive un Berlusconi prigioniero del volere di altri, trascinato in una guerra che non avrebbe mai auspicato: che tenta di metter toppe a una coperta ormai troppo corta per chiunque. Il re è nudo, insomma, debole. Voto 6.

AVVENIRE ha un richiamo in prima: “Intesa Pdl-Lega: guerra a tempo. Ma per la Nato non è possibile”. A pagina 11 i servizi e i commenti. L’occhiello avverte: «Disinnescate le tensioni nella maggioranza, almeno fino alle elezioni amministrative. Il verdetto dell’aula per l’ora di pranzo. Tre i testi delle opposizioni: la seduta si annuncia movimentata». L’articolo di Marco Iasevoli spiega che «alla fine la mediazione è arrivata. Per incassare il sì della Lega sull’impegno in Libia il governo dovrà fissare e comunicare all’Aula una data limite per la conclusione dell’intervento militare, ma – e qui si misura il successo dei pontieri che hanno ovviato al gelo tra Silvio e Umberto – tale “termine temporaneo certo” andrà concordato con la Nato e i Paesi alleati». Bossi è soddisfatto: “A noi va bene e a Silvio non va male…”; Berlusconi: “Temo ritorsioni, non ci dormo ma serve responsabilità”. Ma le opposizioni bocciano senza appello la mozione: «Non avevamo dubbi che trovassero una quadra a modo loro – ha ironizzato il leader Pd Pier Luigi Bersani -, potevano metterci un po’ di quote latte e di giudici comunisti e andare all’Onu… Cercano di rabberciarsi, facendo venire meno la credibilità del nostro Paese». Ne consegue che «voti per amor di patria non ce ne saranno, perché questa mozione è troppo umiliante, è un pasticcio». Anche Rosi Bindi pensa che «la Lega gonfia il petto, ma anche sulla Libia non porta a casa nulla di concreto. Presto vedremo quale sarà la vera moneta di scambio su questa mozione che è un’arrampicata sugli specchi. L’unico risultato lo incassa Berlusconi che, per ora, mette in salvo solo il suo governo». Duro anche il Nuovo Polo. Il leader Ap Francesco Rutelli evidenzia l’aspetto del disimpegno dalle aree di crisi: «Il ritiro dei nostri militari da teatri importanti ci scaraventa nella serie B dei Paesi che contano a livello internazionale, è un compromesso scellerato per salvare il governo e umiliare l’Italia. La Lega impone alla maggioranza una ritirata ed è un danno enorme per il Paese». E Adolfo Urso, leader dei finiani “moderati” sostiene: «Finora l’asse Bossi-Berlusconi si è retto non solo su un’intesa politica, ma soprattutto su un rapporto personale. MA adesso lo scontro è diventato personale e quindi devastante, la Libia è solo un pretesto. Stavolta il linguaggio è diverso». Fuori dal coro il deputato del Pd Enrico Gasbarra che in una intervista spiega “Perché non dirò mai sì alle bombe” e non voterà la mozione del suo partito. Altri dieci tra onorevoli e senatori con lui.

“Intesa Lega-Pdl: Fine missione in tempi certi”. LA STAMPA apre un primo piano sulla crisi libica a pagina 16-17 partendo dallo scontro interno alla maggioranza, che pare destinato a ricomporsi attorno alla data di fine missione, che la Lega chiede venga comunicata al parlamento. «A parole vince la Lega» scrive Ugo Magri nel pezzo di apertura. «Anche perché Bossi, in queste astuzie un vero gigante, da Gallarate annuncia: “Passerà la mozione della Lega e la voterà anche Berlusconi”». Il testo esclude per il futuro «qualunque partecipazione ad azioni di terra sul suolo libico», che l’Onu per altro non autorizza, sottolinea LA STAMPA. Sulla data di fine missione è già arrivata la reazione Nato: «L’operazione durerà fino a quando le forze di Gheddafi non smetteranno di attaccare la popolazione civile». E domani atterra a Roma Hillary Clinton. In un pezzo dal titolo “L’ombra di Tremonti dietro il braccio di ferro”: il ministro dell’economia sarebbe contrario a un rifinanziamento della missione in Libia e d’accordo con Bossi, anzi, scrive LA STAMPA, avrebbe voluto riprendersi una buona parte dei 150 milioni attuali e far gravare tutto il peso dell’azione militare sul bilancio del ministero della difesa, cosa non riuscita per la strenua opposizione di La Russa. Ma il problema si riproporrà a luglio, a fondi finiti. Sarà quello il vero giro di boa, anche per gli equilibri di governo.

E inoltre sui giornali di oggi:

OSAMA
LA REPUBBLICA – Una controcorrente analisi di Lucio Caracciolo: “Ma l’America resta nel suo labirinto”. La tesi è che la morte di Bin Laden, che avrebbe dovuto coronare la vittoria degli Usa, rischia di segnare un altro «passo verso la sconfitta». Perché? Stanno rinascendo «la diffidenza e l’odio nei confronti dell’“alleato”  afghano-pakistano. Il labirinto dal quale Obama cerca di uscire da quando è entrato alla Casa Bianca. Ma che non lascia facilmente vivi chi vi si avventura». Dunque la convinzione di dover rispondere con la guerra all’11 settembre esce rafforzata dalla morte di Osama. Il conflitto ha contribuito però ad estenuare le finanze statunitensi: in termini globali è la Cina ad aver vinto la guerra al terrore «a spese dell’America e di noi altri occidentali. I rapporti di forza nel mondo sono espressi dal pauroso indebitamento dei dominatori del Novecento nei confronti dell’Asia riemergente».

IL MANIFESTO – “Foto finish” è il titolo di apertura del MANIFESTO che rinvia alle due pagina dedicate all’attesa degli scatti veri «dell’esecuzione di Osama bin Laden». Due le pagine dedicate al tema, mentre tre sono i richiami in prima per altrettanti articoli: una ricostruzione del blitz, il fronte Pakistan e un’analisi di Marco d’Eramo La guerra di Obama si muove con l’intelligence”, a pagina 5 l’articolo è intitolato “Il nuovo Grande gioco”: «(…) Con l’uccisione di bin Laden, Obama non solo ha distribuito nuove carte, ma ha cambiato i tavoli su cui la politica Usa e quella mondiale si giocano. Lo si vede dall’imbarazzato silenzio con cui gli esponenti repubblicani (in particolare quelli del Tea party) hanno reagito alla notizia. Per lo meno finché la disoccupazione non riacquisterà la sua preminenza nell’immaginario dell’elettorato statunitense, (…)» tra le conseguenze «una derubricazione della battaglia contro il terrorismo islamico, da conflitto militare a guerra di intelligence». La mossa di Obama quindi per d’Eramo ha spiazzato non solo i Tea party ma anche i progressisti «Basti pensare a tutte le organizzazioni dei diritti civili (da Human rights watch) all’Aclu (American civil liberties union) che non osano aprire bocca sul modo con cui è stato ucciso bin Laden benché sia ormai chiaro che la sua esecuzione è avvenuta in spregio a ogni legge internazionale (ora la Casa bianca ammette che Osama non era armato). Il disorientamento dei progressisti è rivelato dal fatto che solo un paio di deputati “di sinistra” si sono levati a chiedere una riduzione delle spese militari (…)» E conclude: «(…) Nell’800 il “Grande Gioco” era proprio quello che aveva come posta l’immensa area tra la Turchia e l’India. Allora a giocare il Gioco erano Gran Bretagna e Russia zarista. Oggi, venuta meno l’anomalia jihadista di bin Laden, il Grande Gioco si ripresenta nella sua forma più genuina, come scontro tra Cina e Stati uniti, scontro di cui il Pakistan è da più di trent’anni la casella essenziale il cui controllo condiziona tutto il resto».

AVVENIRE – “I segreti dello sceicco” strilla AVVENIRE che nel Primo Piano da pagina 3 a pagina 7 parla della fine di Osama, dei file del suo pc trovati nel covo pachistano e delle minacce all’Italia. Dopo il blitz in America salgono i consensi per il presidente Obama, che domani va a Ground Zero. Il Viminale innalza il livello di protezione con più controlli per sedi istituzionali, uffici pubblici, ambasciate e linee aeree. “Siamo base logistica del terrorismo islamico” avverte un articolo di Nello Scavo: «Come fonte di finanziamento, le cellule utilizzano anche le rimesse degli immigrati destinate ai Paesi dei quadranti asiatici. Tra le nuove leve, l’anno scorso furono individuati a Perugia due insospettabili studenti universitari».

PRECARI SCUOLA
CORRIERE DELLA SERA – A pagina 34: “Piano per la scuola, pronta l’assunzione di 65 mila precari”. Scrive Lorenzo Salvia: “Un piano per assumere a tempo indeterminato 65 mila precari tra insegnanti, bidelli e segretari. Un piano che, a differenza di quanto previsto fino a pochi giorni fa, potrebbe non essere spalmato su tre anni ma scattare in un colpo solo a settembre, con l’inizio delle lezioni. Potrebbe essere questa, per la scuola, la novità più importante nel decreto sviluppo che il consiglio dei ministri discuterà domani. Non si tratta di assunzioni che faranno aumentare gli organici totali che anzi, per effetto dei tagli decisi con la Finanziaria 2008, continueranno a scendere anche l’anno prossimo. Ma della regolarizzazione dei cosiddetti «precari stabili» , che vengono assunti ogni primo settembre e licenziati a fine giugno non per sostituire qualcuno ma per coprire posti liberi. La decisione finale non è stata ancora presa ma ieri ne hanno discusso i tecnici dei ministeri dell’Istruzione e dell’Economia. Ed è stato proprio lo staff di Giulio Tremonti a suggerire la strada possibile per limitare al massimo l’impatto sui conti pubblici. È vero che l’operazione non avrebbe un costo elevato perché quei 65 mila stipendi lo Stato li paga già adesso. Ma in più ci sarebbe la cosiddetta ricostruzione della carriera, cioè il riconoscimento degli scatti di anzianità maturati durante il precariato”. 

RINNOVABILI
ITALIA OGGI – Doppia pagina, la 20 e la 21 sulla green economy e affini. Fotovoltaici per alimentare bar e ristoranti sul mare in attesa dell’estate, un disegno di legge della commissione ambiente sulla certificazione energetica degli edifici proposta dalla Lega. Le ultime (poche) dal decreto Romani.

LAVORO
IL MANIFESTO – Richiamo a metà della prima pagina per il referendum alla ex Bertone di Torino “Quel sì (sofferto) al 90 percento «Ora il Lingotto deve trattare»”, si segnala l’articolo di Lori Campetti che inizia in prima pagina e l’annuncio dell’intervista al sindaco Chiamparino. Gli articoli si trovano alle pagine 2 e 3 dedicate al voto delle tute blu che hanno votato «a favore del piano capestro, lo stesso di Pomigliano e Mirafiori. Un plebiscito sofferto per spuntare l’arma Marchionne». Si legge: « La Bertone non si governa senza e contro la Fiom. L’esito del referendum truffa con cui la Fiat puntava la pistola alla testa dei 1091 dipendenti minacciandone il licenziamento in caso di vittoria dei no, ha dato un esito impensabile senza la decisione delle Rsu Fiom di votare sì per scaricare l’arma di Marchionne (…) Nell’angolo ora non ci sono i lavoratori Bertone ma la Fiat che non ha più alibi, deve investire e trattare con chi li rappresenta: la Fiom. Basterà a Marchionne il voto dei lavoratori, accompagnato dall’indicazione delle Rsu Fiom di esprimersi criticamente, rabbiosamente, per il sì? Oppure pretenderà, come alcuni dei suoi collaboratori più assatanati, che Landini in persona vada a prostrarsi al Lingotto chiedendo “per favore, non abbandoni la Bertone e l’Italia”? (…)». A pagina 3 l’intervista a un Chiamparino che nell’articolo si sottolinea è «visibilmente soddisfatto della scelta delle Rsu Fiom della Bertone».


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