Politica & Istituzioni

Milano, il vento di Pisapia

Sorpresa per il risultato che punisce la Moratti e Berlusconi

di Franco Bomprezzi

Milano, Italia. Mai come adesso il voto milanese, che premia Giuliano Pisapia portandolo al ballottaggio con ampio margine sul sindaco uscente Letizia Moratti, è un caso nazionale, che cambia bruscamente il corso della politica nazionale. Il premier Berlusconi esce sconfitto dalla sua ricerca di referendum personale, e il voto di Torino, Bologna e Napoli passa in secondo piano. Ecco come i giornali di oggi raccontano la grande sorpresa delle urne.

“Sorpresa a Milano, Pisapia in testa” è il titolo a tutta pagina in prima sul CORRIERE DELLA SERA. Infografica con i risultati nelle principali città italiane e moltissimi pezzi e pagine a corredo dell’analisi del voto. L’editoriale, in prima, è di Massimo Franco: “Lo schiaffo”. Leggiamo le frasi conclusive: “Anche nella sconfitta, il presidente del Consiglio disegna il territorio circostante e lo condiziona: nel proprio campo e in quello avverso. Ma con un rovesciamento della percezione del suo ruolo che fa prevedere un periodo di instabilità e di altre rese dei conti nel centrodestra. In fondo, se ne può intravedere un assaggio nei voti mancati alla Moratti: consensi che sarebbe ingeneroso attribuire solo ai suoi errori. Le frasi fatte filtrare dal «cerchio magico» di Bossi, secondo le quali con Berlusconi la Lega perde, sono un indizio. Trasformano il tocco berlusconiano, che ancora nel 2010 faceva vincere la quasi sconosciuta Renata Polverini nel Lazio, in un handicap da «re Mida alla rovescia» . Probabilmente era forzata la visione precedente, ed è eccessiva l’attuale. Ieri è cominciato il ridimensionamento di un leader che dopo essersi presentato ed essere stato considerato da militanti e alleati come un demiurgo ora rischia di diventarne il capro espiatorio”.  Altro pezzo è quello di Giangiacomo Schiavi, già capocronista del CORRIERE e quindi conoscitore degli umori della metropoli lombarda: “La metropoli che non ama gli eccessi”. Scrive Schiavi: “Ci sono quasi sette punti di distacco a favore di Giuliano Pisapia nel voto di una città che si rimette al centro della politica, rifiutando l’immagine guerresca di una campagna elettorale impostata dal premier come referendum su se stesso. Non è servito sovrapporre la sua immagine a quella di Letizia Moratti; sono stati un boomerang i manifesti di Lassini con la vergogna delle accuse alla Procura. Milano non ha capito, ha disapprovato, si è sentita a disagio in una campagna incattivita da uno sfoggio di aggressività che ha trascurato i temi locali per giocare un’altra sfida: quella politica, delle battaglie giudiziarie di Silvio Berlusconi. Anche Letizia Moratti ha sbagliato, scivolando nei toni e nello stile: l’accusa, rivelatasi falsa e usata come arma dell’ultimo minuto nel confronto in tv, ne ha mostrato una faccia insolita, lontana dal fair play che si conviene a chi non deve urlare per farsi sentire. E Milano, città del dialogo, del civismo responsabile di Cattaneo, della moderazione che non ama i toni acuti, ha punito con severità entrambi: sindaco e premier”. E a proposito di Pisapia aggiunge: “Così è cresciuto giorno dopo giorno Pisapia, fino a quel 48,1 per cento di voti che per il centrosinistra rappresenta il massimo storico degli ultimi vent’anni. Sente alle sue spalle un vento di vittoria l’avvocato di Sinistra e libertà che piace alla borghesia e ai ceti popolari.. Lo stesso che qualcuno percepiva venerdì sera in piazza Duomo, con quarantamila persone che lo applaudivano al concerto di Vecchioni: mai si era vista una piazza di sinistra così convinta della possibilità di farcela, di arrivare a un ballottaggio con questi numeri nella roccaforte del centrodestra”. E Schiavi aggiunge: “Pisapia ha ricompattato un’area che sembrava dispersa, intercettando in città la voglia di uscire dagli schemi troppo vincolanti del berlusconismo. Gli hanno dato una mano la ritrovata passione civica e la necessità di un ascolto meno plastificato tra centro e periferia. Anche il voto di protesta raccolto dall’esponente della lista di Beppe Grillo è significativo. Sarà utile per Pisapia fra quindici giorni, anche se il suo problema sarà quello di non sbilanciare troppo la coalizione verso l’ala estrema”. E Berlusconi? Titolo di apertura a pagina 10: “Lo choc del Cavaliere. Telefonata «gelida» con il leader leghista”. Scrive Marco Galluzzo: “La parola «errori» ad Arcore si pronuncia. Ma per un padrone di casa molto demoralizzato sono ancora quelli degli altri: è colpa del partito che lo costringe sempre a fare tutto da solo, è colpa della Moratti che non sa comunicare e non sta simpatica ai milanesi, è colpa della Lega che non si è impegnata e che ha preso meno voti di quelli attesi. L’aria che tira, in un pomeriggio che difficilmente Berlusconi dimenticherà, è questa. Il Cavaliere è chiuso a casa, il suo portavoce Bonaiuti non commenta: si sa che il premier ha seguito lo spoglio in tv, che non ha fatto molte telefonate, se non una piuttosto fredda con Umberto Bossi e una con Denis Verdini, chiedendo di enfatizzare i dati nazionali, la raccolta complessiva di consensi e di vittorie, bypassando le notizie e le cifre su Milano. Sono frammenti di un’atmosfera plumbea, resa più pesante dal dato delle preferenze espresse dai milanesi per il Berlusconi capolista: alla fine rischiano di essere la metà delle precedenti Comunali”. Concludiamo con Francesco Verderami, che analizza il ruolo, adesso, di Napolitano: “Governo, riappare lo spettro della crisi E si rafforza il ruolo del Quirinale” è il titolo che apre pagina 11. Scrive Verderami: “È Napolitano il vero vincitore delle elezioni, è lui che agli occhi di Berlusconi è diventato oggi l’uomo forte della politica italiana, trasformandosi nell’unico punto di riferimento dentro e fuori il Palazzo, dopo che le urne hanno distribuito cocenti sconfitte e contraddittori successi. È sul Colle che secondo il Cavaliere siede il suo vero competitor, uscito rafforzato dal test delle Amministrative. Berlusconi infatti è consapevole che il risultato di Milano indebolisce il suo esecutivo e lo consegna nelle mani del Quirinale, più ancora che in quelle di Bossi. Se cadesse la «capitale» del patto tra il Cavaliere e il Senatùr, nulla andrebbe escluso: i maggiorenti del Pdl mettono nel conto persino una crisi di governo, nonostante i dati incoraggianti ottenuti sul resto del territorio nazionale, malgrado il centrodestra paia in procinto di allargare ulteriormente la propria maggioranza in Parlamento”. 

“Milano, la sconfitta di Berlusconi”: LA REPUBBLICA collega le amministrative al premier che tanto aveva fatto in campagna elettorale per trasformare la consultazione in un referendum sulla propria persona. Ora invece, scrive Bei, è preoccupato per il ballottaggio e ancor più per i rapporti con il Carroccio. La «Caporetto» del Pdl sarà affrontata oggi in riunione ristretta. «Pago gli errori di tutti», pare abbia detto il premier, «sapevo che Milano era difficile ma mi sono sacrificato lo stesso». All’interno del Pdl parte la polemica tra falchi e colombe. Sotto accusa il tandem iroso: Santanché e Sallusti. Per quanto riguarda la Lega, Rodolfo Sala parla di un «Bossi furioso» e della persuasione che il Carroccio abbia pagato all’appoggio alle leggi ad personam mentre le riforme andavano lente: «il governo dovrà essere più determinato nelle riforme», dice Calderoli. Nella base però si alzano voci che chiedono a Umberto di «stare coi piedi per terra». E molti leghisti hanno dato un volto disgiunto, non scegliendo donna Letizia (che dice: è un «segnale molto forte che dobbiamo saper cogliere. Da domani faremo una riflessione profonda. Ma da Milano deve ripartire una fase nuova della politica di centrodestra»). Ovviamente diversa la lettura di Pisapia: «Milano, che anticipa sempre tutto, ha capito la necessità di una svolta. Non solo tra i borghesi, tra gli intellettuali o al Rotary, ma nelle case popolari, tra i ceti produttivi, nell’associazionismo, tra i cattolici, tra i giovani». Filippo Ceccarelli, infine, ricostruisce il percorso che ha portato Milano a «tradire» il cavaliere, ricordando un premio ricevuto dal premier in piazza del Duomo, nel 2010: una cerimonia di auto-glorificazione già allora non in sintonia con la città. Sul piano generale, il commento di Massimo Giannini: “Un’altra Italia”. «La favola è finita», è l’incipit, «il berlusconismo come narrazione epica e proiezione carismatica cade sotto i colpi della nuda verità. Non c’è più spazio per la menzogna sistematica, la propaganda populistica, la manipolazione mediatica».

IL GIORNALE strilla “Tira una brutta aria” e non nasconde che a Milano Pdl e Lega sono in crisi. E Alessandro Sallusti scrive: «Non è andata bene. Anzi è andata maluccio soprattutto a Milano dove Letizia Moratti è stata sotto anche rispetto alle più pessimistiche previsioni. La sfida però resta aperta, sia a Napoli che a Milano. Il fronte anti-berlusconiano festeggia una vittoria che al momento, tale non è». IL GIORNALE sottolinea la «catastrofe elettorale per Fini perché Futuro e libertà non supera neppure il 2%. « Dove si è presentato da solo, il Fli stenta a superare il due per cento, umiliata delle liste civiche e partitini fai da te». A proposito della Moratti, Giancarlo Perna scrive: «Certo una batosta così, Letizia Moratti non se l’aspettava davvero. Non solo non ha vinto, non solo è costretta al ballottaggio, ma non parte neanche in pole position per il secondo turno». Eppure, il quotidiano titola a pagina 5: «Letizia, la lady che non molla mai. La Moratti è sulla scena da 17 anni. Dopo avere sistemato i conti in Rai e rimesso in piedi la scuola, stava risanando Milano». E Perna sussurra: «Sul risultato pesano qualche frase imprudente e il vizio di fidarsi dei consiglieri». La strategia della Moratti per il ballottaggio è scritta da Zurlo: «Gli spin doctor della Moratti faranno contrappasso, per la fluidità della situazione che si è capovolta nell’ultima settimane e potrebbe capovolgersi ancora. Certo da alcuni settori della borghesia più influente arrivano segnali che fanno presagire l’inizio di un’epoca nuova, ma con le suggestioni non si va lontano».

Pisapia in trionfo è la foto di apertura del MANIFESTO che titola “Che sballo”. Ai risultati di Milano è dedicato anche l’editoriale di Norma Rangeri “Siamo tutti milanesi”: «A Milano Berlusconi ha chiesto un referendum su di sé e lo ha perso. Se il voto del capoluogo lombardo era rivelatore di una svolta politica nazionale, la svolta c’è stata. Clamorosa e inaspettata nella misura indicata dalle percentuali del candidato Pisapia: oltre il 47 per cento. Il crepuscolo dell’estremismo berlusconiano non è più solo un’opinione, è oggi un dato reale confermato dall’elettorato. (…) È netto lo sbandamento del centrodestra in quel Nord dove le strategie elettorali di Bossi e Berlusconi hanno preso strade diverse, a volte contrapposte come al momento dell’aggressione di Moratti contro il “terrorista” Pisapia. E si sono fatti male entrambi perché se Berlusconi piange Bossi non si mostra alle telecamere per tutta la giornata. Il Carroccio o è fermo o perde in gran parte del nord. (…) » e conclude: «Pisapia e De Magistris sono i protagonisti di un cambiamento nel campo del centrosinistra, segnali di un Pd che non va, avviso di un cambio di rotta. Come, per un altro verso, indica il radicamento dei grillini, raccolto con un qualunquismo aggressivo a tutto campo. La ciliegina sulla torta arriva dalla Sardegna grazie al bulgaro 98 per cento di no al referendum consultivo contro il nucleare. A giugno arriverà anche quel voto. Nel frattempo, da oggi, siamo tutti milanesi». Sei le pagine interne dedicate alle elezioni che vengono annunciate dal sommario in prima: «Milano svolta, porta Pisapia al ballottaggio e assesta un colpo al cuore del berlusconismo. A Napoli De Magistris vince sul candidato del Pd. I protagonisti delle primarie trainano il cambiamento del centrosinistra. La Lega va male, il governo rischia la crisi. Plebiscito per il referendum sardo contro il nucleare». A pagina 2 l’articolo principale è “San Giuliano facci sognare” che inizia così: «La sorpresa ha dell’incredibile. Meraviglioso anche non averci capito niente. Il rischio adesso è che la testa cominci a girare. Troppi milanesi non hanno mai vissuto un momento come questo. Hanno vinto. A Milano. Suoni di clacson e canti in corso Buenos Aires, dopo una tornata elettorale. Roba mai vista, negli ultimi trentacinque anni, e nemmeno un luogo, una piazza, un posto dove andare a festeggiare. Dov’è la festa? Milano ieri notte ha improvvisato, ma si è divertita da pazzi. (…)» e conclude: «L’ottimismo della sinistra milanese, al di là delle percentuali, adesso potrà contare anche su quella «bella arietta che tira». Un clima che non potrà lasciare indifferente la «mitica» borghesia milanese (o poteri forti) che in questi mesi ha avuto un atteggiamento amichevole nei confronti della candidature di Pisapia, ma davvero poco o niente di più. Mancano due settimane. Adesso che può diventare sindaco per davvero, con lui bisognerà farci i conti». A pagina 3 accanto all’articolo “Dal Nord l’inizio della fine” «Una sconfitta è una sconfitta. Ma perdere voti in queste proporzioni – da Cagliari a Trieste – è un risultato storico (…)», si può leggere il graffiante commento di Alessandro Robecchi: “La grande opera di donna Letizia”. «Finalmente Letizia Moratti realizza a Milano una grande opera. La gigantesca Figura di Merda spuntata ieri tra Palazzo Marino e Arcore sarà senza dubbio apprezzata da tutta Italia e forse una delle grandi attrazioni dell’Expo. (…)Spaventare i milanesi non era facile, ma ascoltati consiglieri politici come Santanché, Sallusti, Belpietro e altri figuranti ci sono riusciti in pieno. A completare l’opera, Silvio Berlusconi ci ha messo la faccia, ha detto che il voto era un referendum su di lui, e questo ha deciso le sorti del primo turno milanese: un fuggi-fuggi generale tra gli elettori Pdl, e non solo di quelli che hanno figlie minorenni. (…) Da qualunque parte la si guardi, il muro milanese della destra che sembrava invalicabile si sgretolerà in malo modo e qualcuno ci resterà seppellito sotto, forse addirittura il governo nazionale, inadeguato e ridicolo non meno della giunta della signora Moratti alle prese con i suoi affari, i suoi immobiliaristi, i suoi 20 milioni stanziati per comprarsi una Milano che per una volta non pare in vendita». Pagina 4 è dedicata a Napoli con il titolo di apertura che guarda avanti alla necessità di un accordo tra Idv e Pd “Napoli, l’unione si fa per forza”. A pagina 5 occhio puntato sul Pd “Pd, è vittoria. Ma complicata”, titola l’articolo di apertura che riporta l’analisi sui risultati diseguali ottenuti dal partito di Bersani «Il leader del Pd: “Al Nord il vento è cambiato”. Prossimo obiettivo, agganciare i moderati. Divisi a Napoli per avere il ballottaggio”. Vendola: quando siamo credibili ci votano».  

“Milano punisce Pdl e Lega”. Titolo inequivocabile per l’apertura de IL SOLE 24 ORE, che affida il commento all’immancabile Stefano Folli: “Una lunga stagione al tramonto, ma la nuova è ancora lontana”: «L’Italia sta cambiando volto. La grande ingessatura di questi anni, che ha dato l’illusione, e spesso solo quella, della stabilità, comincia a sgretolarsi. Non s’intravede una prospettiva chiara, una coerente direzione di marcia, ma tant’è. Il risultato del primo turno a Milano è clamoroso, visto l’impegno personale del presidente del Consiglio che aveva trasformato la campagna in un referendum su se stesso. Non a caso Berlusconi capeggiava la lista del Pdl e dal suo punto di vista non aveva nemmeno tutti i torti: sentiva di dover giocare tutte le carte nella città-simbolo della sua avventura politica. In altri tempi la scommessa sarebbe stata vinta con facilità; ieri si è trasformata in un calvario. Testimoniato anche dal drammatico arretramento nel numero di preferenze individuali. A questo punto appare piuttosto mediocre il tentativo di scaricare ogni responsabilità su Letizia Moratti. È vero che il sindaco ci ha messo del suo, soprattutto negli ultimi giorni, con l’attacco sconsiderato a Giuliano Pisapia. Ma chi le aveva suggerito di abbracciare la linea oltranzista, così estranea alla sua storia personale e così incongrua in una città come Milano? Chi ha lasciato correre sul caso Lassini (autore dell’imbarazzante manifesto sui magistrati “brigatisti”)? Chi ha dato vita all’ennesima e infine stucchevole crociata contro i magistrati “eversori”? La verità è che Berlusconi e certi suoi consiglieri stavolta hanno sbagliato i calcoli. Forse il premier avvertiva che il terreno gli sfuggiva sotto i piedi e allora ha reagito con la forza della disperazione, sforzandosi di mobilitare gli elettori intorno al proprio carisma. Ma i miracoli non si ripetono in eterno. La sconfitta è arrivata nel peggiore dei modi, trascinando nel baratro la Moratti, che si è rivelata comunque un candidato debole e impopolare di suo, e quel che è peggio la Lega. Questo è senza dubbio il punto politico più scabroso. Il silenzio cupo e irritato di Bossi dovrebbe preoccupare Berlusconi più delle percentuali uscite dalle urne. La Lega sta contando i suoi voti. Vede che a Milano l’impronta berlusconiana l’ha danneggiata non poco. Scopre che altrove le cose non sono andate bene. Del resto, Bossi aveva più volte messo in guardia il suo alleato, dimostrando di non condividere i toni e i temi della campagna. (…) Dalle urne escono due Partiti Democratici. C’è quello che vince a Torino con Piero Fassino: vittoria limpida, figlia di una campagna condotta su registri di civiltà politica non meno che del positivo decennio di Chiamparino. C’è quello che si afferma a Bologna con qualche fatica, ma in fondo senza correre rischi.  Poi c’è un secondo Pd. Un Pd che nelle città chiave di Milano e Napoli ottiene i suoi successi sotto la bandiera di personaggi espressi da due alleati che si chiamano Vendola (Pisapia a Milano) e Di Pietro (De Magistris a Napoli). Alleati scomodi, ormai cementati intorno a Bersani come compagni di viaggio troppo ingombranti per essere sbarcati alla prima occasione. Il triangolo con Vendola e Di Pietro non è lo schema a cui pensava il vertice del Pd: né Bersani né D’Alema né per la sua parte Veltroni. Ma ormai è imposto dalla realtà elettorale. L’apertura ai moderati del cosiddetto “terzo polo” (peraltro modesto nei numeri e contraddittorio nelle scelte politiche) perde senso e verosimiglianza.  Bersani dovrà costruire adesso una credibile alternativa a un Berlusconi al tramonto. Ma commetterebbe un errore fatale se desse l’impressione che il traguardo è dietro l’angolo. Invece la costruzione di una sinistra di governo sarà ancora lunga e faticosa. Per ora sappiamo che esiste un asse obbligato con Vendola e Di Pietro. Si tratterà di spiegarlo agli italiani, non solo a Milano e Napoli. E poi di trasformarlo in una proposta concreta. Senza dimenticare l’avanzata del movimento «Cinque Stelle» dei seguaci di Beppe Grillo. Una protesta che è soprattutto anti-Pd, in grado di provocare un’impressionante dispersione di voti a sinistra. Segno di una diffidenza, quando non di un’ostilità, verso il centrosinistra e i suoi equilibri. Anche questo fattore peserà sul prossimo futuro. La strada è lunga, soprattutto perchè potrebbe aver ragione l’anziano Emanuele Macaluso, un uomo che la sinistra la conosce bene: il voto di ieri indicherebbe una crisi globale del sistema politico, talmente anchilosato da non riuscire a riformarsi, ma solo a esplodere e frammentarsi. Se è così, si può dire che Atene piange, ma Sparta non ride». Interessante il retroscena di Laura Serafini sui riflessi sulle Fondazioni bancarie “Un voto che riapre i giochi su Cariplo e San Paolo”: «Le aspirazioni della Lega, niente affatto celate, di poter acquistare maggiore voce in capitolo nell’espressione della terna di candidati in quota al Comune di Milano per la commissione centrale di beneficienza (il consiglio generale) della fondazione Cariplo (azionista con il 4,68% di Intesa) s’infrangono sull’arretramento politico del popolo verde registrato ieri rispetto alle elezioni regionali dello scorso anno. E se non bastasse, anche in province come Mantova, che hanno diritto a esprimere un esponente nella commissione centrale, si profila un testa a testa tra il candidato di centrosinistra e quello della Lega che porterà al ballottaggio. L’effetto probabile della prima tornata elettorale è che Umberto Bossi avrà meno margini per pretendere più poltrone e potere. Se poi Pisapia la spuntasse al ballottaggio, il risultato nel medio periodo sarebbe probabilmente quello di rafforzare l’attuale governance e in particolare il presidente Giuseppe Guzzetti, che pur essendo autorevole esponente della finanza cattolica meneghina e avendo costruito buoni rapporti con il ministro dell’economia, Giulio Tremonti, da sempre ha maggiori affinità con gli ambienti del centrosinistra». A pagina 11 focus di Roberto D’Alimonte sulla debacle leghista: “La Lega perde in 14 capoluoghi su 15”: «Contrariamente alle aspettative i delusi di Berlusconi non hanno votato Bossi. E così tutto il centrodestra arretra. Il problema non si presenta solo a Milano. Se così fosse la spiegazione potrebbe essere cercata in fattori locali. E quindi la rilevanza nazionale del voto andrebbe ridimensionata. E invece non è così. Rispetto alle ultime regionali Pdl e Lega perdono sistematicamente in tutto il Nord sia nei comuni che nelle province. La Lega perde in 14 dei 15 Comuni capoluogo dove era presente. Guadagna solo a Bologna. Perde più di 3 punti a Torino, 5 punti nella provincia di Treviso, 6 punti nella provincia di Pavia». 

ITALIA OGGI titola a tutta pagina “Grandi partiti indeboliti”. «Perdono tutti i grandi partiti. A Milano, Letizia Moratti ci ha messo del suo per fare un tonfo al primo turno, ma anche Silvio Berlusconi, capolista nel capoluogo si è reso corresponsabile della sconfitta e anche della lacerazione dei rapporti con la Lega. Ma anche il Pd non ha vinto. Non è infatti sufficiente l’exploit di Fassino a Torino: a Milano è stato il vendoliano Pisapia a battere la Moratti, non certo un Pd, così come a Napoli il candidato Pd Morcone è stato sorpassato da quello Idv, De Magistris. E i grillini si fanno strada, diventando decisivi a Bologna». In particolare sul capoluogo lombardo Giampaolo Cerri firma “Miracolo a Milano, è ballottaggio”. «La (temporanea?) defaillance di Letizia Moratti relativizza il ruolo e il peso dell’esposizione mediatica, degli investimenti a sei zeri in affissioni e spazi pubblicitari (anche per gli alleati come Terzi e Croci). Non conta neppure se l’esposizione è garantita da Silvio Berlusconi, sceso personalmente e pesantemente in campo per il primo cittadino uscente», spiega il giornalista che aggiunge, «Il vantaggio relativo di Giuliano Pisapia che, quantomeno, obbliga la Moratti e i suoi a sedersi al tavolo con gli odiati terzopolisti di Fini e Casini, ma soprattutto di ridiscutere con via Bellerio, sede della Lega, il ruolo di Matteo Salvini a vicesindaco, toglie proprio ai suoi l’argomento spesso ricorrente nelle discussioni preelettorali: la sproporzione di mezzi in campo e il ruolo del premier con le “sue” televisioni che sbilancia la competizione a vantaggio di una parte, quella dell’uscente». Un altro dato importante è la latitanza della Lega Nord nel sostegno al sindaco del Pdl. «Che cosa c’è dietro questa militata moderazione del celodurismo meneghino? Come si devono leggere i molti punti percentuali di voti leghisti che mancano a Milano, fra il 14 delle regionali 2010 e l’attuale e deludente 10? E solo un problema di pelle o di dna (il feeling fra i leghisti e donna Letizia non c’è mai stato) oppure siamo in presenza di un avviso politico bello e buono per blindare nel ballottaggio, Salvini nella poltrona di vicesindaco? E questi voti leghisti, inespressi o in libera uscita, potrebbero ritornare sulla Moratti, solo per l’agitarsi di un po’di vessilli verdi? Quasi alla vigilia del voto, dagli scranni europei del Pdl, il formigoniano Maurio Mauro aveva scaricato su Salvini una nota al vetriolo: non può fare il vicesindaco, aveva scritto, “perché a Strasburgo è stato approssimativo e assenteista”. Un attacco a freddo, che si fatica persino a collocare nella storico confronto, tutto lombardo, fra gli uomini del Governatore e la Lega e al quale Carroccio avrebbe risposto con uno strategico disimpegno, per rinegoziare tutto in vista del ballottaggio». Marco Bertoncini invece in un box a lato sottolinea il ruolo di Berlusconi con il suo “La sconfitta di donna Letizia. Ma il Cav ci ha messo del suo” in cui spiega gli errori di Berlusconi: ricandidare un sindaco senza popolarità e farlo mettendoci la faccia. 

 “Scossoni e conferme” è il titolo a tutta pagina del quotidiano cattolico AVVENIRE che all’analisi dei risultati elettorali dedica il primo piano da pagina 3 a pagina 11. Il commento è affidato al direttore Marco Tarquinio che nell’editoriale intitolato “A ragion veduta” sottolinea così voto e “messaggio” di maggio: «Da ieri sera l’attuale bipolarismo italiano è ben più seriamente in crisi nelle sue vecchie dinamiche e nei suoi vecchi equilibri di potere, mentre il governo di centrodestra è un po’ più stabile… Mentre un anno fa le vittorie del centrodestra divennero preludio soprattutto al deflagrare delle tensioni interne al Popolo delle libertà, le sconfitte, le battute d’arresto e le altre “lezioni” subite in questa consultazione dall’alleanza nazionale di governo Pdl-Lega dovrebbero indurre a rivedere – con giudizio – passo, agenda e linguaggi nell’esecutivo e in Parlamento… Ma non c’è dubbio che il segnale più eloquente è per Berlusconi. Il premier ha voluto e guidato una sorta di campagna referendaria su se stesso e il raccolto per il suo partito e per l’intero centrodestra (soprattutto nella città simbolo) è stato magro, il più magro da anni. Tanti faranno i conti con questo dato, e il Cavaliere che è anche un realista non potrà certo tirarsi indietro. C’è un elettorato che non accorre alle urne “a comando” e che comunque (e questo è un messaggio trasversale) è sempre meno disposto a votare solo “contro” o solo guardando alle note questioni dibattute da anni attorno o dentro alle aule di stistizia dove il premier è atteso o convocato. Abbiamo, poi, il fondato sospetto che questo elettorato renitente al plebiscito sia largamente “moderato” e questo, forse, spiega perché non ami affatto i comportamenti eccessivi, i ricorrenti toni incendiari di certa polemica e la preoccupante “distrazione” sulle questioni più impellenti per la gente che vive, lavora, mantiene la famiglia e paga regolarmente le tasse. Oltre che con i numeri bisognerà fare i conti anche con questi uomini e donne che votano (o non votano) a ragion veduta». A pagina 5 si parla della “Caporetto di Letizia Moratti” con il “patatrac” definitivo che si manifesta dopo le 23: «Dopo il ballottaggio, comunque vada, sarà resa dei conti. Il sindaco non parla. I vertici minimizzano o attaccano. “Non devo consigliare io a Silvio di ricordare ai milanesi che c’è un comunista a un passo da Palazzo Marino”, ha detto il ministro Rotondi. Durissimo il sottosegretario Santanché: “La vittoria di Pisapia sarebbe come portare il Leoncavallo a Palazzo Marino, sarebbe una cosa bestiale”… Gelo dalla Lega Nord… Un Bossi furibondo avrebbe urlato nel Quartier generale del Carroccio contro il Pdl… E in città ieri sera si sentivano i cori ”Giuliano, Giuliano” e i nuovi slogan “È la breccia di Pisapia”».

“Milano choc per Berlusconi”, titola in prima LA STAMPA, che parte dall’esito del voto nel capoluogo lombardo per analizzare gli scenari anche a livello nazionale: “Berlusconi perde, il governo rischia in parlamento” è il titolo che apre un articolo di Ugo Magri da Roma e a pagina 3: “Adesso Silvio accusa la Lega: ‘Distinguersi su tutto non paga’”. Il focus sulla amministrative a Milano è alle pagine 10 e 11: articolo di apertura sulla “festa” al Teatro Elfo-Puccini di Milano per Pisapia e a piede un’intervista all’ex sindaco Gabriele Albertini, che fra gli errori della campagna elettorale annovera «certi toni di demonizzazione del Terzo Polo». Nonostante questa strategia perdente l’ex sindaco si dice convinto che al ballottaggio proprio il Terzo Polo «convergerà sulla nostra area perché siamo figli della stessa storia». Un articolo di retroscena sulla Moratti a pagina 11, dal titolo “Il fantasma della Santanchè sulla sconfitta di Letizia”, descrive la Moratti arrivata ieri nella sede del comitato elettorale come una donna che ha abbandonato i toni della campagna elettorale delle ultime settimane, nelle quali è stata costretta «a recitare una parte non sua» dai falchi del Pdl. Ieri Moratti ha riconosciuto il buon risultato di Pisapia e ha detto che il centrodestra «deve fare una profonda riflessione», mentre i membri del suo staff erano «furiosi con la linea Giornale-Santanchè».


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