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Politica & Istituzioni

Il vento è cambiato davvero…

Terremoto politico dopo le vittorie di Pisapia e De Magistris

di Franco Bomprezzi

Terremoto, frana, crollo, disfatta, ciclone, scossa: tante le definizioni per un risultato netto e inequivocabile dei ballottaggi per le elezioni amministrative. Il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi subisce una sconfitta pesante ben oltre le aspettative della vigilia. Le vittorie di Pisapia a Milano e di De Magistris a Napoli sono infatti il segno di una scelta popolare lontana dalle logiche di partito e del bipolarismo tradizionale. Ne ha fatto le spese, pesantemente, anche la Lega. E oggi i giornali, oltre a raccontare e documentare i risultati dei ballottaggi, analizzano e commentano.

“Il centrodestra perde da Milano a Napoli” è il titolo di cronaca che apre il CORRIERE DELLA SERA. Quasi venti pagine a seguire. Quattro i commenti che partono dalla prima. Due nazionali: “Effetto rompete le righe” di Massimo Franco, e “La Lega medita lo strappo” di Pierluigi Battista, e due di taglio metropolitano: “I dilemmi del neosindaco” di Giangiacomo Schiavi su Pisapia, “Tutti pazzi per l’ex pm. Ma durerà?” di Aldo Cazzullo su De Magistris. Ecco un passo di ciascuno. Franco: “In realtà, nelle pieghe di una delusione cocente si fa strada l’idea di un nuovo candidato a Palazzo Chigi: al governo, il dopo-Berlusconi è cominciato. Può darsi che non sarà formalizzato a breve termine e che il tentativo di galleggiamento prosegua. Ma il febbrile movimentismo della maggioranza e le tensioni nella Lega anticipano una difficoltà parallela e destinata a crescere, per le due leadership: quella del Cavaliere e quella di Bossi”. Battista: “ Con ogni probabilità, la Lega farà della richiesta di una nuova legge elettorale proporzionale, alla «tedesca», con lo sbarramento e senza l’obbligo di alleanze precostituite, il simbolo della rottura definitiva del patto oramai consumato che la tiene avvinta al destino di Berlusconi. Una richiesta che potrebbe ottenere il consenso non solo del Terzo Polo, ma anche della parte maggioritaria del Pd e persino della sinistra «radicale » rappresentata da Vendola. Il ritorno al sistema proporzionale potrebbe suonare come il segno della liberazione da vincoli di coalizione oramai percepiti come una gabbia soffocante, a destra, ma anche al centro e a sinistra”. Schiavi: “Pisapia ha raccolto cento Milano intorno a sé, la città delle donne e dei giovani, dei cattolici dell’impegno e del volontariato, dei ciellini e dei centri sociali, persino alcuni ex simpatizzanti di Lega e Pdl, delusi dai toni esasperati dei loro leader, Bossi e Berlusconi. Contesti culturali diversi aggregati intorno a una comune voglia di civismo che una parte importante della borghesia ha interpretato nei suoi circoli, con un tam tam che ha ricordato i tempi di un’altra Milano. È questo che è mancato a Letizia Moratti, stretta nella camicia di forza costruita su misura per Berlusconi, ostacolata per mesi dal partito a cui s’è iscritta forse più per necessità che per convinzione: il sostegno della società civile, che nel 2006 le aveva dato credito e che ieri l’ha sfiduciata, nonostante Expo, sconti sulle multe, abolizione dell’Ecopass e altri saldi elettorali. Da sindaco del centrosinistra che torna a palazzo Marino dopo una parentesi durata oltre diciotto anni, Giuliano Pisapia dovrà misurarsi sul terreno del buon governo, cercando di mantenere le aspettative dei tanti cittadini che gli hanno dato fiducia. E non sarà un compito facile”. Cazzullo: “Al di là del fascino personale che esercita—anche sulle elettrici —, de Magistris resta un personaggio discusso, e discutibile. Sanzionato dal Csm, come ai magistrati non accade quasi mai. Privo di esperienza amministrativa. Un vincitore che ha ancora tutto da dimostrare. Eppure la sua vittoria è segno non solo della rabbiosa frustrazione di una città bellissima, costretta da anni a convivere con i rifiuti, il degrado, la camorra. Eleggere un ex magistrato — anche se con fama di rigore più che di misura, di spregiudicatezza più che di equilibrio— indica che a un numero crescente di napoletani la città così com’è non va più bene”. Da segnalare, con il peso di un editoriale, la pagina di Francesco Verderami, la 6: “Misure fiscali e piano per il Sud. Parte l’assedio a Tremonti”. Scrive Verderami: “È un’operazione a vasto raggio, che coinvolge gran parte dei ministri del Pdl, e che sta per essere messa in atto con una lettera indirizzata al premier— primo firmatario Brunetta — perché «alla prima riunione utile di governo» venga inserito all’ordine del giorno il varo della legge delega per la riforma del fisco e il piano per il Sud. Si tratta di una mossa studiata durante l’ultimo vertice del Pdl, con il Cavaliere nei panni del regista. Ed è vero che ci sarebbero problemi «tecnici» , che secondo Gianni Letta bisognerebbe posticipare tutto, dato che l’ordine del giorno del prossimo Consiglio dei ministri è già fissato. Ma Brunetta, e con lui altri colleghi, sarebbero intenzionati a forzare la mano”. Merita infine una citazione il pezzo di Dario Di Vico a pagina 10: “La svolta laburista delle partite Iva ora spiazza il centrodestra”. Ecco un passaggio della sua analisi del voto: “D ue novità di carattere socio politico hanno tenuto banco in queste settimane a Milano ed entrambe hanno in qualche misura accompagnato la vittoria di Giuliano Pisapia. Il radicale pronunciamento di settori della borghesia più tradizionale e (soprattutto) lo spostamento di consensi dentro il lavoro autonomo, che pure aveva rappresentato storicamente una constituency del voto di centrodestra. La prima novità è stata scandita dalle interviste pro-Pisapia di diversi esponenti delle élite industriali e finanziarie e dalla nascita di un gruppo di saggi capitanati da Piero Bassetti. La seconda è stata fotografata da alcune analisi del voto del primo turno, realizzate dalla «Swg» per conto dello staff di Pisapia, analisi che segnalano come tra gli elettori laureati ci siano stati 30 punti di differenza a favore del centrosinistra e come tra i lavoratori autonomi Pisapia abbia sopravanzato la Moratti di ben 17 punti (tra i lavoratori dipendenti Giuliano stava sopra Letizia di 15 punti). A stare all’insieme delle elaborazioni «Swg» il centrosinistra avrebbe avuto dunque un elettorato più giovane, più colto, più inserito nell’attività produttiva mentre il centrodestra avrebbe presidiato meglio gli strati a bassa scolarità e più avanti con gli anni”.

“La disfatta di Berlusconi”: LA REPUBBLICA ovviamente apre con i risultati amministrativi, cui dedica le prime 22 pagine, fra resoconti, analisi e commenti. Inaugurati dall’editoriale del direttore, Ezio Mauro: “Cambiare è possibile”: «è finito il grande incantamento, il Paese vuole cambiare pagina. La svolta nasce nelle città che scelgono i sindaci del centrosinistra… ma il segnale è nazionale e parla chiaro». Per Berlusconi la prima lezione è che «non si può guidare un Paese e contemporaneamente parlare come se si fosse all’opposizione di tutto… Berlusconi trasmette sempre più – persino nella drammatica immagine del colloquio con Obama – l’idea di un leader alieno nelle istituzioni che dovrebbe non solo guidare, ma rappresentare». Un uomo di stato ora di dimetterebbe. Così non sarà, secondo Ezio Mauro, ma il cavaliere così contribuirà a rafforzare le forze responsabili e repubblicane. In effetti a dargli ragione, il retroscena di Francesco Bei: il cavaliere a Bucarest conferma con i suoi che vuole andare avanti, che intende stringere i bulloni del patto con la Lega, che intende fare riforme vere, che non possono essere fatte a costo zero (vero Tremonti?). Sarà, ma il Pdl comincia a perdere pezzi. Bondi si dimette da coordinatore (e intervistato spiega che sarà il capo a decidere, ancora), le varie fazioni si guardano in cagnesco rimproverandosi l’un l’altra. Più interessanti le reazioni dell’elettorato : “Sul web la base rompe il tabù «Silvio pensa solo ai fatti suoi»”. Liana Milella ha visitato i siti della destra e raccolto opinioni molto critiche. C’è sempre il Viva Silvio, ma ora accanto a prese di distanza molto nette: «io sono di destra ma ho votato Pisapia. Perché sono stanco di vedere sempre i disonesti che passano davanti agli onesti», dice uno; «spero abbia imparato la lezione, per dieci anni l’ho votato ma adesso basta. Un moderato non può votare per chi vuole dividere l’Italia», gli fa eco un altro. Da Napoli un sostenitore scrive: «Per vincere dovevate buttare fuori i camorristi. Avete salvato Cosentino dalla galera? E questi sono i risultati». Sul fronte Lega, il gelo di Bossi (che forse pensa a una fiducia a tempo, a Pontida il verdetto, il 16 giugno, dopo i referendum) e la presa di distanza di Flavio Tosi, sindaco di Verona: «dopo una sconfitta così sonora, rifletterei seriamente sull’ipotesi» di lasciare la leadership, dice a proposito del Cavaliere. Scontata la soddisfazione della sinistra. Bersani auspica un governo nuovo per fare la riforma elettorale e per andare al voto. Più interessante il punto di vista di Umberto Veronesi e quello di Curzio Maltese, a proposito di Milano. Il primo riafferma il «suo ruolo di capitale etica del Paese» che ha fatto di libertà, tolleranza, solidarietà i suoi pilastri. Quanto alla solidarietà, la cultura milanese in questo senso è solida ed è stata determinante. Curzio Maltese, in “La marcia tranquilla di Giuliano. Milano ora è una città liberata e Silvio non ha più il sole in tasca”, parla di laboratorio milanese. «Con la vittoria di Pisapia finisce la sinistra che imita la destra, il riformismo inteso come ultra moderatismo, la rincorsa disperata al centro». La seconda rivoluzione è l’uso di internet (la rete ha funzionato meglio e soprattutto oltre la tv). La terza novità riguarda i cattolici: «per la prima volta il cattolicesimo di base ha messo in minoranza lo strapotere di Comunione e liberazione… A rompere gli indugi è stato Don Colmegna, che non aveva mai parteggiato prima per un candidato sindaco… Pisapia è stato applaudito alle Acli e davanti alle chiese persino quando parlava del registro delle coppie di fatto». Quarto elemento di novità: l’invecchiamento della Lega (ormai anziana e assai “romana”). Formigoni dal canto suo rilancia: “O si cambia oppure perdiamo anche nel 2013”. si dice pronto a guidare il partito se Berlusconi si candida al Quirinale. Infine, sempre su Milano, un pezzo in cui Alberto Statera spiega la sconfitta dell’asse del cemento: Moratti ha perso perché troppo malleabile con questo asse e perché il suo lavoro sull’Expo è stato giudicato non all’altezza.

Apertura-autoconfessione per IL GIORNALE, il quotidiano della famiglia Berlusconi: “Grande psicodramma” il titolo a tutta pagina, e nella foto una bandiera del Che, ovviamente rossa, che sventola e oscura il duomo di Milano, scatto tratto dai festeggiamenti per la vittoria di Giuliano Pisapia.  Nonostante la campagna elettorale sia finita, il direttore Sallusti ci va giù pesante nell’editoriale: «Una parte dei moderati, non andando a votare, ha deciso di dare il via libera a un sindaco rifondatore comunista, Pisapia, già amico dei terroristi prima e dei centri sociali poi». Segue un’analisi, un filo meno arrembante, su quello che questa evidente sconfitta deve insegnare al “berlusconismo”, come Sallusti chiama il centrodestra. «“Evidentemente il problema sta soltanto nella maggioranza di governo, ha generato stanchezza e quindi mancanza di entusiasmo nel suo elettorato, in alcuni casi attratto, come capita ai mariti annoiati, dalla mignotta di turno». Colorito, ma efficace. All’interno, poca analisi ma il tentativo di focalizzarsi sulla ripartenza del centrodestra: “La Lega gela i corvi antiCav: «Avanti col Pdl per le riforme»”, e la dichiarazione di Berlusconi: «Abbiamo perso, ma ora ripartiamo dal fisco». E se il Pdl riparte, il Pd ha poco da festeggiare, secondo Il Giornale: “Riecco l’Unione: Bersani ostaggio di Prodi”, si dice a pag. 5, con «Il Professore (Prodi) che ruba il palco al segretario» durante i festeggiamenti di Roma, «e prenota il Quirinale». Fantapolitica? Chissà. La vittoria di De Magistris a Napoli viene invece raccontata con ironia: “Napoli adesso è libera, olé. Ma non la governavano loro?”, ci si chiede a pag. 8, ed è convinzione del quotidiano che “con de Magistris vince solo l’antipolitica”. Dice De Magistris: «Questa vittoria non è del centrosinistra. Con la mia giunta non renderò conto a nessuno».

“Non ci posso credere”. E’ questo il titolo di apertura de IL MANIFESTO sui risultati delle amministrative. L’editoriale è di Norma Rangeri, “Città aperte”: «Un voto di liberazione. Una svolta. I magnifici risultati di Milano e Napoli rompono l’incantesimo di un ventennio, travolgono i vecchi equilibri, infrangono lo stile di un ceto politico. Esplosi subito dopo la chiusura dei seggi, con percentuali da capogiro, emozionanti nelle proporzioni (specialmente quelle di Napoli), i risultati non giungono inaspettati» e ancora «C’è chi paragona questo straordinario risultato elettorale a quello delle elezioni amministrative del ’93 quando la valanga dei sindaci, eletti direttamente, anticipava il governo dell’Ulivo del ’96 sostanziandone il rapporto con il territorio. Iniziava allora il rinascimento napoletano di Bassolino, e molti giovani sindaci andavano al governo delle grandi città, dal nord al sud, da Palermo a Torino. Probabilmente qualcosa di analogo è accaduto anche nello smottamento prodotto dal voto di ieri, una scossa fortissima, anche psicologica, che potrebbe accelerare le elezioni politiche generali e inaugurare la stagione di un centrosinistra con una bussola puntata su un’alleanza di alternativa». Il quotidiano comunista dedica 7 pagine all’evento. Dal riassunto dei risultati al focus su Milano con un’intervista a Mario Fezzi, presidente dell’Agi (Avvocati giuslavoralisti italiani). Da Napoli, invece, intervista al regista  Mario Martone 3 il commento di Andrea Fabozzi al titolo “La magia di una soluzione originale”. Gli ultimi servizi a pagina 6 e 7 sono dedicato ai vari centri capoluoghi e non  dove ha vinto il centro sinistra. Su tutti l'”Uragano Zedda, la città svolta” dedicata alla elezione di Massimo Zedda, nuovo sindaco di Cagliari. Ma c’è spazio anche per Grosseto, Trieste e un focus sul Nordest. 

“Doppio ciclone sulla maggioranza”. È il titolo inequivocabile de IL SOLE 24 ORE, che ovviamente affida l’editoriale a Stefano Folli “Un patrimonio dilapidato da troppi errori”. «Quindici giorni il volto dell’Italia è cambiato. La trasformazione è   profonda e radicale. Certo, si tratta di un voto amministrativo, riguarda il governo delle città e manca la controprova che gli italiani voterebbero allo stesso modo se domani fossero chiamati a esprimersi nelle elezioni politiche. Sotto questo aspetto, i toni enfatici del governatore Vendola sembrano alquanto prematuri, per non dire inopportuni, in un centrosinistra che sa di essere solo all’inizio di un lungo percorso. Tuttavia quel che è accaduto a Milano, Napoli, Trieste, Cagliari, Novara e in altri centri assomiglia a una rivoluzione. Nel Nord si è spezzato il filo di una relazione speciale e ormai antica fra l’asse politico Pdl-Lega e l’Italia dei ceti produttivi. Pisapia a Milano ha vinto non in quanto pericoloso eversore, bensì come riconosciuto rappresentante di un «establishment» cittadino desideroso di aria nuova. E va dato atto al sindaco eletto di aver usato subito parole di riconciliazione. (…) . Diciassette anni dopo la prima vittoria, anch’essa a suo modo “rivoluzionaria”, di Silvio Berlusconi, i ballottaggi segnano il tramonto di un’era politica. Questo è il dato che non può essere misconosciuto. Il presidente del Consiglio può affermare che «il Governo va avanti» perché Bossi glielo ha garantito al telefono. Può assicurare che adesso “si faranno le riforme” perché tutti nella maggioranza ne sono convinti. Maroni e Calderoli possono accennare alla necessità di “un colpo di frusta”. È tutto legittimo, eppure è poco convincente. Le riforme che non si sono fatte quando il premier e la maggioranza erano in sintonia con il Paese, ora sono ancora più difficili. La verità è che un pezzo alla volta, anno dopo anno e mese dopo mese, Berlusconi si è mangiato il credito che aveva nella società e fra i suoi stessi elettori. È accaduto non per i complotti dei media, ma per i suoi gravi e reiterati errori. In troppi casi gli esponenti della maggioranza sembravano vivere in un mondo a parte, incapaci di comprendere quello che si muoveva appena sotto la superficie di un’Italia angosciata. Ancora un paio di mesi fa Umberto Bossi, un leader a cui non aveva mai fatto difetto la lucidità, andava dicendo: “Abbiamo quasi in pugno l’Italia”. Non stupisce che la Lega abbia seguito Berlusconi nel disastro e, anzi, abbia pagato talvolta il prezzo più salato». Altro commento che parte in prima, centrato su Milano, quello di Aldo Bonomi, “Fisarmonica meneghina”: «Oggi la politica ha il compito di richiudere lo strumento con cui suona il suo spartito, la sua “fisarmonica”. Suonando una musica meno urlata. Non dovrebbe essere difficile. A condizione che si parta dal riconoscere e riconoscersi in ciò che è cambiato ma che è già nei cinque cerchi della città. Riconoscendo che la grande Milano c’è già: si chiama città infinita. Non è cresciuta come stava scritto nei manuali di urbanistica ma è dalla progettazione dell’area metropolitana, dalla connessione tra città e contado della fabbriche e degli outlet, dalla modernizzazione delle reti di trasporto che connettono queste due sfere, che il futuro sindaco dovrà cominciare. Pensandosi come sindaco che tiene insieme la città infinita. Magari imparando da quel Salone del Mobile in cui città e contado già dialogano da sempre. Riconoscere e tenere assieme le mille imprese che fanno internazionalizzazione e viaggiano sulle reti lunghe con il pulviscolo del capitalismo molecolare, e la città dei servizi alle imprese, come già oggi fa Assolombarda.  Riconoscere che sul fronte della rappresentazione della città occorre tenere assieme la dimensione dell’impresa, l’urbanistica, il design e i nuovi soggetti creativi in un melting-pot culturale ed economico come già fa la Triennale. Riconoscere che Milano è città Anseatica, reticolare e aperta al mondo, con cui comunica attraverso due grandi porte: la Fiera che da Rho guarda a Malpensa e ai flussi di merci e persone verso le grandi regioni economiche del globo e la Casa della Carità, porta stretta da cui transita e arriva la nuova moltitudine che porta la vibratilità del margine sociale. Da includere e non da segregare. Imparando da Via Padova dove la società ha scelto di guardare in faccia il conflitto inter-etnico usando lo strumento antico della festa di tutte le associazioni compresi i commercianti del quartiere contro l’idea del coprifuoco o peggio del “rastrellamento”. Imparando dal Fondo famiglia e lavoro della Curia Ambrosiana che ha scelto di mettere al centro una nuova questione sociale fatta non solo di marginali quanto della fragilità di ceti che fino a poco tempo fa erano al di qua della linea di povertà. Non si può avere la presunzione di rappresentarsi attraverso l’Expo senza fare società». 

ITALIA OGGI ipotizza un’analisi del voto considerando che «il dato che al ballottaggio hanno votato 36mila donne in più rispetto a 15 giorni fa, potrebbe spiegare che è stato il voto femminile a determinare la batosta di Milano». Sempre sull’analisi ITALIA OGGI si sposta a Napoli. «percentuali shock,ma numeri flop per De Magistris.  In sintesi nel ballottaggio il pm  ha guadagnato 1.500 voti  solo di mezza città, 400mila elettori. «segno che  se non fosse stato sostenuto da tutto il così detto fronte delle opposizioni al Governo non ce l’avrebbe fatta. Di colpo De Magistris  si ritrova ostaggio dei partiti ma anche di un’alleanza allargata che sarà difficile  far andare d’accordo».  Su Milano, Gianpaolo Cerri «Tutti convinti che il voto anti Moratti sia, sic et simpliciter,  un voto su Berlusconi, gli alleati si interrogano, a Milano come a Roma, sul futuro della maggioranza e sulla tenuta della legislatura. Gli occhi sono puntati su via Bellerio a Milano, sede della Lega». Ma anche su Pisapia «che deve mandare messaggi rassicuranti alla Milano alto-borghese che l’ha votato, quartiere per quartiere, in uggia agli eccessi antiberlusconiani e non certo per il neomassimalismo del suo programma».

AVVENIRE: “Una scossa per cambiare” è il titolo a tutta pagina del quotidiano cattolico che nell’occhiello riassume così i risultati elettorali: «I candidati di centrodestra battuti da quelli di Sel e Idv. Maroni: dopo la sberla le riforme. Bersani: governo via. Udc: passo indietro per aprire una fase nuova e dare una casa ai moderati». Al voto “pieno d’attesa e di polemica” è dedicato anche il lunghissimo editoriale intitolato “Fase nuova probabilmente”. Scrive il direttore Marco Tarquinio: «Si profila una fase nuova per la politica italiana. Certo faticosa, ma interessante e coinvolgente come possono diventarlo – se condotte con lungimiranza – tutte le transizioni da un tempo politico a un altro… Il vecchio bipolarismo “furioso”, quello nato nel 1994 e che tre anni fa si era cercato invano di piegare in senso bipartitico, è in evidente crisi. Anche se il governo di centrodestra non è in crisi e, a quanto è dato di capire, per logica di sopravvivenza e per interessi convergenti di tutti i principali attori politici, non lo sarà fors’anche sino alla fine naturale della legislatura. Se sarà davvero così, ci sarà il tempo – pur in una stagione di governo difficile ed esigente – per aprire il cantiere della “ristrutturazione” di partiti e alleanze. E questo sarà certamente un bene. La primavera elettorale, come si vede, ha insomma prodotto frutti strani, attraenti e complicati. Ma stavolta i contorni del risultato e della tendenza che disegna appaiono piuttosto chiari. Le vittorie – a cominciare da quella di Giuliano Pisapia a Milano e di Luigi De Magistris a Napoli – fanno sempre rumore, si sa, ma le sconfitte non scherzano. Anzi, sono proprio le sconfitte a incidersi e a risaltare con più forza in questo verdetto di maggio… A piangere (metaforicamente, s’intende) è l’uomo che da 17 anni guida il centrodestra e che è diventato la figura (o, se si vuole, il fattore) perno del bipolarismo italiano, i leader dell’opposizione ridono e sorridono. Ma la loro soddisfazione e il loro ottimismo sono più di facciata che di sostanza. Il Pd, pur essendo la principale forza di alternativa, si ritrova con un “ruolo scudiero” proprio nelle due piazze simbolo di quest’elezione – Milano e Napoli – ed è rimasto lontano dai massimi storici di consenso giusto quanto basta perché si sia fatto spazio per l’insediarsi (diseguale tra nord e sud, ma a tratti prorompente) di proposte alternative più radicali della sua. … C’è da augurarsi, ora che non ci sia polemica da parte di nessuno con l’Italia che s’è espressa nel voto e con le sue attese vere e urgenti, ma si mettano in campo ascolto serio e risposte all’altezza. … Nulla è scontato quanto a soggetti in campo e scelte di schieramento. Chi dovesse pensare il contrario, avrebbe cominciato – pur riuscendo, ora, a prevalere – a ripetere errori già fatti e a preparare sconfitte “a orologeria” già vissute dai governi caduti nel 1998 e nel 2007. Se è davvero una fase nuova quella che si profila, lo capiremo anche da qui». Tra gli altri commenti all’interno quelli di Piero Bassetti: «Pisapia è un moderato, lo si è capito. Ma lasci a Roma i temi etici» e di Roberto Formigoni che sostiene: «Errore minimizzare la sconfitta. Agenda in 3 punti per rivincere puntando su economia, fisco e nuovo welfare”. Dei risultati di Napoli parla Lucio D’Alessandro, neorettore della prestigiosa università partenopea Sur Orsola Benincasa: «In una città stanca della gestione ventennale da parte dei partiti tradizionali, De Magistris ha rotto il sistema. Ora unisca la città. E pensi ai giovani».

Alle amministrative LA STAMPA dedica le prime 17 pagine dell’edizione di oggi, con titolo in prima “Ballottaggi, il crollo di Berlusconi”. È incentrato sulla figura del premier l’editoriale del direttore Mario Calabresi: “La magia perduta del cavaliere”. Per anni Berlusconi «ha proposto una sua visione del Paese mentre i suoi avversari hanno sempre reagito costruendo campagne contro di lui e demonizzandolo», in quest’ultima tornata elettorale è successo esattamente il contrario, scrive. Quella del Pdl a Milano, continua il direttore de LA STAMPA, è stata «una campagna di una tale rozzezza da aver allontanato la maggioranza dei milanesi del sindaco del centrodestra». A pesare nella sconfitta è stato anche un premier che «ha scelto di inseguire le sue ossessioni» invece di interpretare, e prevedere – come faceva in passato – cosa passa nella testa, nella pancia e nel cuore degli elettori. A pagina 4 LA STAMPA pubblica un’intervista a Roberto Formigoni, che è soprattutto un’autocritica: «Guai a minimizzare», dice il governatore della Lombardia, nel tempo che resta dell’attuale legislatura bisogna accelerare sulle riforme: quella tributaria «è dal 1994, che la promettiamo», una riforma del welfare che dia spazio alla sussidiarietà, «visto che lo Stato non ha più risorse», soprattutto il federalismo: «I nostri comuni virtuosi subiscono tagli lineari e non possono spendere i soldi per via del patto di stabilità». Ecco alcuni dei molti titoli de LA STAMPA, nelle pagine seguenti, sulle amministrative: “Bossi con la valigia pronta. Ma l’alleanza tiene, per ora”; “Vendola: Subito al voto, niente giochi di palazzo”; l’appello dei vescovi al dialogo “Cattolici oltre gli schieramenti per il bene comune del Paese”; “Novara, espugnato il feudo di Cota”;  “Terremoto anche a Trieste”. Un’apocalisse, insomma, del centrodestra.


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