Famiglia & Minori

Diamo una stanza a chi vuole diventare grande

Luisa e Aldo - Associazione Mondo di comunità e famiglia

di Redazione

Il progetto si chiama Bed&Breakfast protetto, ma non c’entra con le vacanze. È uno strumento che accompagna i ragazzi in quella “zona grigia” che sta tra l’affido e la piena indipendenza. Aldo, Luisa e Yasser l’hanno provatoC’è una lezione che i miei figli non dimenticheranno: aver avuto davanti agli occhi l’esempio di un ragazzo come loro, che per venire in Italia ed essere la persona che oggi è, ha dovuto fare molta fatica».
Luisa, 48 anni, educatrice, vive con suo marito Aldo e i due figli oggi adolescenti in un condominio solidale dell’Associazione Mondo di comunità e famiglia, in un paese di 500 anime in provincia di Varese. “L’esempio” di cui parla è Yasser (il nome, per motivi di privacy, è di fantasia), ragazzo marocchino giunto in Italia a 14 anni con lo status di minore non accompagnato che, dopo tre anni in comunità, ha avuto la possibilità di rendere più soft il passaggio verso la piena indipendenza passando attraverso l’esperienza del Bed&Breakfast Protetto®, un progetto attivato dal Cam – Centro ausiliario per i problemi minorili di Milano.
Questa forma di accoglienza non è un affido familiare vero e proprio, ma non è nemmeno un semplice servizio di affitta-camere: alla famiglia che si mette a disposizione viene chiesto che l’ospite abbia una stanza a uso esclusivo, che la cena venga condivisa, che la colazione sia lasciata a disposizione, che ci sia una presenza adulta in casa al termine dell’orario di scuola/lavoro e che, in una prima fase dell’accoglienza, si provveda alla pulizia e all’ordine della stanza dell’ospite. Non ci sono responsabilità genitoriali, insomma. La famiglia che si mette disposizione ha l’obbligo di partecipare a un “gruppo” mensile, un’occasione di mutuo auto-aiuto da cui nascono idee ed energie nuove. La peculiarità del servizio è tutta nell’aggettivo “protetto”: protezione per il minore che, nel cammino verso l’indipendenza, ha un posto che lo tiene alla larga da sbandate. Non una famiglia che si prende cura di lui, ma quasi. Ma c’è “protezione” anche per chi apre la propria casa a un adolescente estraneo, e ha bisogno di un supporto di tipo psicologico, emotivo e organizzativo.
«La nostra esperienza è partita da un avviso affisso alla bacheca del condominio: l’idea del Cam ci è sembrata compatibile con il nostro stile di vita. Presa la decisione, non ci restava che frequentare il corso e aspettare l’assegnazione di un ospite». Il corso di formazione è decisivo: vengono dettate le “regole” del B&B, e chi si avvicina ingolosito dal ritorno economico, quando capisce di cosa si tratta, fa retromarcia: i mille euro che chi ospita riceve mensilmente sulla base di un contratto a progetto sono un compenso che da solo non basta a dare la forza per un viaggio in cui, nella migliore delle ipotesi, non mancano scontri, incomprensioni, timori, indecisioni. «Il nostro progetto doveva durare due anni, affinché Yasser completasse il triennio di studi come elettricista». Il ragazzo è entrato nelle vite di Luisa, Aldo e dei loro figli a 17 anni: al termine del biennio gli è stato messo a disposizione un appartamento sopra quello della famiglia ospitante.

La prima volta, sul divano
Oggi, che di anni ne ha 21, Yasser ha scongiurato la scadenza del permesso di soggiorno per motivi di studio con un’assunzione a tempo indeterminato e ha preso casa da solo vicino alla sua “famiglia italiana”. «Il suo pregio è la tenacia nel perseguire gli obiettivi: ha le idee chiare». Luisa apprezza la serietà e il senso di responsabilità di Yasser, ma quello che non dice subito è che anche per una famiglia così aperta al mondo come la loro ci è voluto tempo per fidarsi ciecamente: «Oggi ridiamo quando ricordiamo i suoi primi tempi in casa: al Cam ci avevano avvisato che all’inizio lo avremmo visto poco. Yasser, invece, si è piazzato sul divano senza schiodarsi mai, tanto che io e mio marito faticavamo a trovare momenti per scambiarci in libertà le nostre impressioni. Lui c’era sempre».
Probabilmente Yasser sentiva l’esigenza di recuperare la dimensione familiare interrotta. Ma Luisa ha mai avuto dubbi? «I miei figli sono abituati a trattare tutti quelli che entrano in casa senza alzare barriere. E, soprattutto il piccolo, ha cercato immediatamente un contatto fisico con Yasser, che ha stabilito subito un rapporto molto stretto. Dico la verità: non sapevamo ancora con chi avessimo a che fare, quali disagi il ragazzo si portasse dietro e quel continuo contatto, da mamma, mi ha dato qualche pensiero». Poi, però, una sera Yasser ha raccontato la sua storia partendo proprio dai fratelli. Lì è stato tutto chiaro. «Serviva tempo: la quotidianità ha reso tutto più naturale». Compreso il momento del distacco. «Abbiamo sentito che per Yasser era il momento di fare l’ultimo salto verso l’autonomia: e quando oggi viene a cena da noi, ci riempie di felicità».


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