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Politica & Istituzioni

Silenzio, parla Berlusconi

Nessuna novità nel discorso del premier alle Camere

di Franco Bomprezzi

Alla fine ha parlato: il discorso di Silvio Berlusconi alle Camere non ha però segnato clamorose novità o annunci a sorpresa. Caricato di molte aspettative o di eccessivi timori, è stato soprattutto un intervento per rassicurare la maggioranza, prendere tempo rispetto alla crisi, aprire almeno a un confronto con le parti sociali su possibili nuove e più incisive misure. Ecco come i giornali oggi hanno trattato l’argomento.

Partiamo dal CORRIERE DELLA SERA che apre con “Berlusconi: Paese solido, anch’io in trincea”. Lorenzo Fuccaro a pagina 2 riassume i passaggi fondamentali del discorso del premier: “Berlusconi parla ai mercati, parla ai cittadini, parla alle parti sociali, anticipando i quattro punti del patto «per la stabilità, per la crescita e la coesione sociale» che proporrà loro oggi; parla alle opposizioni, garantendo che non resterà «sordo» alle loro idee «se animate da spirito patriottico» , facendo suo «il saggio invito del presidente Napolitano» . L’agenda su cui si aprirà il confronto con sindacati, imprese, banche riguarda «la gestione della manovra e dei provvedimenti per lo sviluppo, gli investimenti nelle infrastrutture, il ruolo delle banche e quindi dei finanziamenti alle imprese e le relazioni industriali tanto nel settore privato quanto nel settore pubblico» . Il Paese «è solido e il presidente del Consiglio è in trincea perché ciascuno deve fare la sua parte» . Il premier invita così «tutti a rimboccarsi le maniche» . E tra le priorità annuncia, rivolgendosi agli attori internazionali che scrutano ogni mossa dell’esecutivo per rassicurarli, che «occorre un piano di azione immediato che risponda allo sviluppo dei mercati: dobbiamo considerare interventi che sostanzialmente azzerino il fabbisogno finanziario nell’ultima parte dell’anno, questo sforzo dovrà integrarsi con il crescente decentramento delle decisioni che è previsto dal federalismo fiscale» . Ricorda anche di avere firmato in mattinata due decreti sui costi della politica: uno istituisce «la commissione governativa affidata al presidente dell’Istat per procedere al livellamento delle cariche elettive e dei vertici delle amministrazioni italiane uniformandolo agli standard europei» ; l’altro definisce «modi e nell’uso delle auto blu per ridurne numero e costi» . Oggi più che mai, insiste, «dobbiamo agire tutti insieme per il bene dell’Italia e per costruire la ripresa dell’economia facendo ciascuno la propria parte e ricordando che la stabilità politica è da sempre l’arma vincente contro la speculazione» . Insomma, ed è la prima volta che Berlusconi lo dice in maniera così netta provocando la reazione delle opposizioni che rumoreggiano a queste parole, «nessuno nega la crisi, tutti dobbiamo lavorare per superarla. Non chiedo all’opposizione di condividere il nostro programma, ma auspico vivamente che possano contribuire con le loro idee, le proposte a fare emergere sempre di più ciò che serve al Paese»”. Il commento del CORRIERE è affidato alla penna affilata di Sergio Rizzo: “Le attese deluse”, due colonne in prima pagina. Scrive Rizzo: “Dal discorso in Parlamento del presidente del Consiglio era lecito aspettarsi molto di più. La decisione di parlare solo dopo la chiusura dei mercati poteva far supporre perfino qualche clamorosa sorpresa. Invece niente. Neppure una timida ammissione, verso un Paese che arranca nel pantano della crisi bombardato da quelli che chiamano «speculatori» , di aver sbagliato qualcosa. Semmai il contrario: i guai sono del mondo intero, a cominciare dai più bravi (gli Usa), l’Italia è solida, le sue banche sono solide, i conti pubblici stanno meglio di quelli altrui, il nostro sistema pensionistico è invidiato da tutti… Dulcis in fundo, il governo resterà al suo posto fino al 2013. Ma se il messaggio di stabilità che il premier intendeva lanciare ai mercati era tutto condensato in quell’ «hic manebimus optime» , stiamo freschi. Perché qui ha perfettamente ragione il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: per venire fuori da questa situazione serve uno sforzo straordinario di coesione nazionale. Alle sue parole ha fatto riferimento anche il Cavaliere, precisando che «oggi più che mai» è necessario «agire insieme» e che «tutti hanno il dovere di rimboccarsi le maniche» . Peccato che il segretario del suo partito, Angelino Alfano, abbia speso quasi tutto il tempo della propria replica per lanciare bordate all’opposizione. E peccato che il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, per tutta risposta, si sia detto disponibile «a fare un passo avanti» soltanto dopo «un passo indietro» della maggioranza. Ossia le dimissioni di Silvio Berlusconi. Dall’appello di Napolitano siamo quindi lontani anni luce”. Nelle prime pagine le reazioni dell’opposizione, la timida apertura di Casini, il primo discorso di Alfano da leader del Pdl, le parole di Marchionne, poi mitigate.

Il titolo di apertura de LA REPUBBLICA – “La crisi c’è, ma siamo solidi” – è circondato da altri titoli che delimitano la portata delle parole di Berlusconi: “Parole in libertà” (di Tito Boeri), “Il cavaliere e i mercati tra Scilla e Cariddi” (di Eugenio Scalfari) e “Silvio teme una spallata” (di Claudio Tito). Il tutto legato dalla vignetta di Altan, di per sé un commento: «Il succo: tenterà di ridurre le auto blu» commenta l’uno; «Sollievo dei mercati: la sua è grigia», gli risponde l’altro. Cominciamo con il fondatore del quotidiano che boccia l’intervento: «il topolino partorito dalla montagna è estremamente gracile: 7,5 miliardi fuoriusciti dal Fas, il salvadanaio che avrebbe dovuto sostenere le regioni meridionali… Con 7,5 miliardi non vi va lontano, tanto più che ci vorranno parecchi mesi per aprire i cantieri e assumere la manodopera necessaria. Ma ciò che rende grottesca questa trovata, la sola che ha dato un minimo di concretezza a quel discorso, è l’elenco delle opere e la loro tempistica. Nell’elenco appare niente meno che il completamento dell’autostrada e della ferrovia nel tratto Napoli-Salerno-Reggio. Sono trent’anni che se ne parla…». «Un Parlamento serio avrebbe dovuto seppellire con un’omerica risata quest’opera pubblica ballerina…». «I veri temi sui quali aspettavamo Berlusconi erano tre: il debito, la crescita e la fiducia dei mercati. Il presidente del Consiglio li ha elusi tutti». Analogamente critico Boeri: «forse Berlusconi avrebbe fatto meglio a non parlare. In questi frangenti i discorsi vuoti sono peggio dei non discorsi». L’economista sottolinea la portata del differenziale dello spread: 50 miliardi in più di oneri sul nostro debito. Questo implica che la percezione del rischio aumenta, dunque il premio aggiuntivo. «Si mette così in moto un circolo vizioso o “effetto valanga”», ipotesi rispetto alla quale «le reiterate affermazioni di Berlusconi secondo cui i “mercati si sbagliano” sono una confessione di impotenza». Per questo ieri servivano segnali forti. Che però non sono arrivati (anticipo pareggio di bilancio, rilancio lotta all’evasione, contenimento immediato della spesa). Tito invece nel suo retroscena richiama il pesante giudizio espresso da Marchionne («Paese senza leadership… È il momento della coesione. Al Paese serve credibilità. Chi compie scorrettezze dovrebbe lasciare»), dietro al quale, secondo il cavaliere, non c’è una iniziativa isolata: la paralisi del centro destra induce gli esponenti del mondo produttivo a trovare soluzioni alternative, scrive Tito, e questo preoccupa il premier (che in pubblico si dice certo che «Napolitano non avallerà scorciatoie tecniche»). Tra le reazioni estere, oltre a Jean Paul Fitoussi che in una intervista dice «il governo italiano è debole… ma i mercati sbagliano perché l’Italia è fondamentalmente sana dal punto di vista finanziario», si segnala il gelo della Bbc («il premier delude i mercati») e nella Nbc, tv americana, che ha commentato così: «nulla di nuovo, niente che possa calmare i mercati finanziari. Berlusconi non ha specificato nessuna nuova iniziativa né ipotizzato di anticipare le misure di risanamento già varate». Di «discorso lunare» ha parlato Bersani. Di Pietro ha chiesto al premier un passo indietro o almeno una «cartolina da Antigua quando lei se ne sarà andato». E Berlusconi ha sorriso…

IL GIORNALE affianca alla foto del Premier che parla il titolone “Berlusconi: ci salveremo. Ma la sinistra rifiuta un patto per l’Italia”, il sommario recita “niente nuove tasse, via a nuovi investimenti (Sud e non solo) e ai tagli della politica”. Di Vittorio Feltri l’editoriale in cui l’ex direttore riporta il succo del discorso di Berlusconi. Alessandro Sallusti invece firma “Marchionne l’ingrato” in cui spiega «lascia perplessi l’uscita di ie­ri di Sergio Marchionne, coraggio­sa guida di Fiat, sulla necessità che in Italia serva una nuova leader­ship. Marchionne ha poi smentito in serata che si riferisse al governo ita­liano. Prendiamo atto di una retromar­cia che sa di scuse rispetto a una uscita che in queste ore è da irresponsabili non solo nei confronti di Berlusconi ma dell’Italia intera. Vorremmo co­munque ricordare un paio di cose».  Di Fabrizio Rondolino “Il Pd vuole il voto per salvarsi dagli scandali”. «I democratici hanno ottime ragioni per chiedere le dimissioni del governo e le elezioni anticipate. Le difficoltà in cui si dibattono Berlusconi e l’esecutivo sono evidenti. Nei sondaggi il Pd risulta il primo partito. Con indubbia abilità, ha saputo cavalcare l’onda referendaria senza preoccuparsi di capovolgere le proprie posizioni. E l’alleanza con il Terzo polo, indispensabile per assicurarsi una vittoria certa in entrambe le Camere, è tanto più probabile quanto più vicine sono le elezioni. Ciò nonostante, il Pd in queste ultime settimane ha sempre evitato di chiedere esplicitamente il voto anticipato: in parte perché c’è chi – come D’Alema e Veltroni, seppur con sfumature e intenzioni diverse – preferisce un governo “tecnico” o “istituzionale” o “di transizione” che affronti l’emergenza economica e finanziaria e riscriva la legge elettorale. In parte perché il principale alleato potenziale del Pd, l’Udc, di elezioni anticipate non vuol proprio sentir parlare (e Casini lo ha ripetuto ieri alla Camera con grande nettezza). E in parte perché il Quirinale, a torto o a ragione, preferirebbe non sciogliere il Parlamento in una situazione di grande instabilità internazionale che rende l’Italia, vaso di coccio, particolarmente vulnerabile». Sul sito spazio al cambio di posizione dell’Udc, “Casini apre uno spiraglio e scarica Pd e Idv”  il titolo. Un po’ a sorpresa «il leader Udc Pier Ferdinando Casini spiazza gli “alleati” Pd e Idv e non chiude del tutto la porta in faccia a Berlusconi, come invece – secondo pronostico – hanno fatto ieri Pier Luigi Bersani e Antonio Di Pietro. L’esponente centrista chiede «un armistizio», anche se dopo la frase di Casini sulla “fine di una stagione politica come il ’92” il Cavaliere mugugna infastidito. La strategia del leader dello scudocrociato è chiara: Casini non crede che la fine di questa stagione politica significhi “la fine del berlusconismo”. “Se qualcuno pensa – sostiene il leader Udc – che rispetto a questi passaggi epocali la questione si risolva con una sorta di liquidazione politica, si sbaglia. O ci assumiamo la responsabilità di disegnare una fase nuova o se pensiamo che la fine politica di qualcuno coincida con il successo degli altri, sottovalutiamo quello che abbiamo avanti e la crisi che stiamo vivendo”. L’armistizio offerto da Casini è in tre tempi: l’invito al governo a fare subito un decreto per anticipare parti della manovra; la proposta di una commissione bipartisan per la crescita. E come faro, resta la proposta di una fase di decantazione “tra i principali partiti, non con improbabili governi tecnici, ma governi che nascano dalla volontà del Parlamento, dei partiti”. L’invito di Casini non è caduto nel vuoto: “Bisogna capire che cosa intende Pier Ferdinando con la sua proposta di una commissione per la crescita. Ma comunque ogni riflessione non schematica e faziosa” – ha commentato il presidente dei deputati Pdl Fabrizio Cicchitto – “è meritevole almeno di approfondimento”. 

“Le borse sotto agli occhi” è il titolo de IL MANIFESTO.  Micaela Bongi commenta: «Se è a Berlusconi che il Corriere chiede di pensare al Paese, è al presidente della Repubblica, la fiaccola nel buio, che i così detti poter forti consegnano  direttamente, almeno per ora, la guida del Paese incoraggiando ulteriormente il protagonismo del Quirinale. Almeno per ora, a Berlusconi va bene così per provare a galleggiare all’ombra del colle. Dovrebbe andare meno bene all’opposizione (non a Casini che propone una commissione  bipartisan per la crescita) e il nervosismo di Bersani ieri in aula lasciava tradire un qualche imbarazzo. Tanto che la risposta all’appello del presidente è stata dir poco contorta (abbiamo le nostre proposte, ma sarei per le elezioni se Berlusconi fa un passo indietro). E mentre si moltiplicano gli appelli  a nuovi sforzi e sacrifici per uscire dalle secche delle politica commissariata il Paese affonda nella palude. Almeno per ora». 

IL SOLE 24 ORE affida, come al solito, a Stefano Folli il commento politico sul discorso di Berlusconi, “L’urgenza della realtà, l’obbligo di cambiare passo” : «Sarà quindi vero che «la crisi è planetaria», come afferma il premier. Ma non la si può paragonare a una grandinata che prima o poi finisce e comunque poco ci preoccupa perchè noi disponiamo di un buon ombrello. La verità è più drammatica, come è ovvio. Ed è proprio questa urgenza della realtà che non si è avvertita a sufficienza nel discorso del presidente del Consiglio. Sotto questo aspetto si può parlare di un’occasione mancata. Troppo ottimismo di maniera, troppi riferimenti generici alle riforme (le eterne riforme sempre invocate e mai attuate), in due parole troppa retorica e poco “pathos”. (…) Il discorso del premier è apparso incongruo nel tono e poco convincente nei contenuti. Invece di alzare il livello del confronto e di parlare a nome di un Paese sofferente, Berlusconi è sembrato preoccupato soprattutto di spazzare via il fantasma del governo “tecnico”, riaffermando la granitica volontà di arrivare alla scadenza del 2013. Intento lodevole se la stabilità coincidesse con l’efficienza e la credibilità dell’esecutivo. Se viceversa la stabilità mascherasse l’immobilismo e la mancanza di scelte, allora sarebbe una ricetta persino insidiosa in tempi di turbolenza internazionale». Il discorso poi nelle pagine interne viene sviscerato e analizzato da svariati commentatori. La sintesi a pagina 5: «Un discorso che ha peccato di genericità e pochi impegni concreti, ma che ha comunque portato in primo piano l’obiettivo giusto della crescita, da attuare attraverso il metodo della coesione nazionale sollecitato dal capo dello Stato e anche dal Manifesto per la crescita del Sole-24 Ore. È quest’ultima la parte che conquista i voti migliori sotto l’aspetto dell’efficacia. Sarebbe stato meglio evitare invece, per esempio, il rimbrotto ai mercati che «non tengono nel giusto conto la nostra solidità». Un passaggio accolto molto negativamente sui mercati. La volontà di stabilità del governo, poi, viene apprezzata, ma pecca di una poco salda fattibilità politica. Sul pareggio di bilancio, infine, ci si attendeva decisamente di più: non è bastato ribadire l’impegno della manovra, bisognava annunciare un suo rafforzamento».

Nelle pagine interne di ITALIA OGGI solo cronaca del pomeriggio di confronto alle Camere, poca analisi.  La “nota politica” liquida l’intervento di Berlusconi con un lapidario “Propaganda certa, proposte fumose”, mentre Massimo Tosti, nella pagina degli editoriali, sottolinea come con la chiusura di ieri “Il Pd di Bersani è finito in un vicolo cieco”. Il quotidiano dedica invece l’apertura e una paginata di approfondimento al “Piano per il sud da 7,4 miliardi”, ovvero la delibera del Cipe che ieri ha sbloccato cinque grandi opere infrastrutturali (tra cui il progetto preliminare della Torino-Lione e quello definitivo della tangenziale esterna di Milano, che col Sud c’entrano poco) e 120 cantieri di medie e piccole dimensioni. Un provvedimento che “dovrebbe avviare un rilancio delle opere infrastrutturali per il Sud con lo sblocco dei fondi Fas”. “La delibera chiarisce che per accelerare la realizzazione degli interventi istituisce l'”azione di sistema piano nazionale per il Sud”, da attivare entro 30 giorni, che potrà sostenere forme di cooperazione con le amministrazioni centrali e regionali che dovranno gestire gli interventi”.

In prima pagina AVVENIRE titola “Italia solida, resistiamo”, «Berlusconi rassicura senza ricette. Bersani: vada via. E Casini “apre”». Marco Tarquinio firma l’editoriale “La fatica e il coraggio”. «Non immaginavamo di certo che un improvviso (e un po’ improvvisato) dibattito parlamentare d’agosto potesse segnare una svolta nella gestione politica della strana e feroce crisi» spiega il giornalista. «Certamente ha deluso un presidente del Consiglio che non ha saputo e potuto offrire niente di nuovo e di davvero mobilitante a un Paese reale tanto intimorito e sfiduciato quanto irato ed esigente con chi lo rappresenta e lo governa. Ma non è sfuggito che, al di là del dosaggio dei toni, come sempre capace di dividere l’emiciclo, Silvio Berlusconi abbia rivelato un’inedita propensione a fissare la cornice di un messaggio rassicurante (solidità del Sistema Paese, fedeltà agli obiettivi di bilancio concordati con la Ue, impegno ad azzerare il fabbisogno per l’anno in corso) lasciando sostanzialmente in bianco il quadro delle misure da concordare con parti sociali e interlocutori politici. Una porta aperta, insomma. Certamente hanno deluso anche i capi delle opposizioni di centrosinistra che hanno invocato l’uscita di scena di un governo palesemente azzoppato in alcuni uomini chiave e, da mesi, in evidente debito di ossigeno e di idee, senza però avere in tasca una soluzione di ricambio: non ci sono esecutivi tecnici all’orizzonte e neppure elezioni anticipate dietro l’angolo. Nessuno si aspetta da Pierluigi Bersani e Antonio Di Pietro la costruzione di una disinteressata stampella per il governo Berlusconi–Bossi–Scilipoti, ma forse questo era il momento di dimostrarsi capaci di offrire un intelligente e interessato puntello alle opere di difesa comuni. Non inattesa ma ugualmente interessante, forse l’unica vera nota positiva del confronto di ieri alla Camera, è stata la scelta dell’Udc di tenere i piedi per terra e gli occhi fissi sul problema, sino a proporre un “agosto di lavoro” per Parlamento, parti sociali e, naturalmente, governo. Pier Ferdinando Casini avrà fatto i suoi calcoli, ne siamo certi. Ma è un fatto che ha soprattutto trovato la lucidità per dimostrare che cosa può significare mettere in campo, in momenti cruciali per la vicenda nazionale, una politica di “opposizione responsabile”». All’interno spazio alle manovre politiche estive. Angelo Picariello firma “Colle-governo: pronti a tornare dalle ferie”, mentre nella pagina successiva Nicola Pini intervista Raffaele Bonanni segretario della Cisl, dal titolo “Guai attendere, misure entro Ferragosto”. 

Il Cavaliere è «senza benzina». Nel momento «meno adatto per lui e per noi». Così Massimo Gramellini in prima pagina di LA STAMPA dà forma alla sensazione provata ascoltando l’intervento di Berlusconi in Parlamento. «Non seduce e non indigna più. Annoia. Altro che nuovo predellino, questo è il discorso della sedia a dondolo: mancano soltanto la coperta sulle ginocchia e la papalina in testa». L’articolo ripercorre  le tante volte in cui il carisma di Silvio ha supplito alle mancanze politiche, ma ora «scongela il suo brodino senza riuscire a togliergli il sapore di frigo» e «persino l’Italia che si riconosceva in lui vorrebbe tanto cambiare specchio». Anche il pezzo di cronaca parlamentare dipinge la giornata di ieri come quella del «popolo dei trolley», in fuga verso le vacanze, mossa solo da un Di Pietro che ha accusato Berlsusconi di essere «il nuovo Alicio nel Paese delle Meraviglie»; ai più è quindi sfuggita la frase che ha chiuso la giornata, per bocca dell’onorevole Mario Pepe: «che Dio ce la mandi buona». La STAMPA poi dà conto del gelo della Lega nei confronti di Tremonti e ampio spazio a Casini «rientrato ufficialmente in gioco» non come fautore della tesi di Confindustria di affrettare la manovra ma con la proposta «di una commissione bipartisan per la crescita», che avrebbe due mesi di tempo per produrre risultati: «quando ha estratto il coniglio dal suo cilindro, sio banchi del Pdl si sono spellati le mani ad applaudirlo in 50/60». Una pagina dedicata a Marchionne e al suo «in Italia non so con chi parlare» e al «silenzio di ghiaccio» delle parti sociali, in particolare Cisl e Confindustria – le organizzazioni che nel primo triennio hanno sostanzialmente approvato le scelte di politica economica del governo – che ieri hanno evitato commenti ufficiali, «un silenzio che la dice lunga sull’insoddisfazione». 

E inoltre sui giornali di oggi:

GIOVANI E ALCOL
LA STAMPA – Dramma al party hawaiano diventato tradizione a Sestri Levante il primo martedì di agosto. Facebook l’ha tramutato in un evento da 30mila presenze, paradiso del binge drinking. La festa è finita con 51 ragazzi in ospedale, quasi tutti per etilismo, il più giovane ha solo 13 anni. 

OBAMA
CORRIERE DELLA SERA – Il presidente Usa compie oggi 50 anni e il Corriere gli dedica una pagina, la 14: “I (grigi) 50 anni di Obama”. Scrive Michele Farina: “Dice Barack Obama che in questi due anni e mezzo gli sono venuti molti capelli bianchi… «Per forza, è un lavoraccio. Tutti escono provati dalla Casa Bianca. Thomas Jefferson la definiva una “splendida sofferenza”. E ai suoi tempi il capo lavorava fino alle 2 del pomeriggio senza avere problemi di debito» . Robert Dallek, 77 anni, è il decano degli storici americani, specializzato in presidenti e obamiano della prima ora. Barack compie oggi 50 anni. Dov’è finita la sua audacia sexy? «Lui adesso è come un pugile sulla difensiva— spiega Dallek al Corriere —. Deve uscire dall’angolo e attaccare. Si giocherà tutto sulla disoccupazione. Ma deve anche recuperare lo smalto iniziale: gli americani non vogliono un leader che comunichi malessere» . Modelli? «Quello da non seguire: Herbert Hoover. Eletto prima del crollo del ’ 29, il giorno dell’insediamento gli dedicarono una rosa che porta ancora il suo nome. Ebbene, di lui si diceva che anche le rose in mano sua appassivano all’istante» . Barack «splendido sofferente» più che splendido cinquantenne”. 


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