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Economia & Impresa sociale 

Addio a Wangari Maathai

Morta a Nairobi il Nobel per la pace 2004. Un'intervista

di Redazione

È morta a Nairobi, dove era in cura per un tumore Wangari Maathai, prima donna africana a ricevere il Nobel per la pace. Nel 2004 il riconoscimento le arrivò per «il suo contributo alle cause dello sviluppo sostenibile, della democrazia e della pace». Ripubblichiamo l’intervista che l’inviato di Vita, Joshua Massarenti le fece in occasione del Forum sociale del 2007 a Nairobi.

Vita: Signora Maathai, lei partecipa a questo Forum nella triplice veste di Premio Nobel per la pace, cittadina keniota e parlamentare africana. Che sensazioni prova?
Wangari Maathai: Straordinarie. Accogliere il Forum Sociale Mondiale in Africa, e in particolar modo a Nairobi, nel mio paese, mi riempie ovviamente di orgoglio. Credo che si sia trattato di una scelta obbligata, l?Africa essendo il continente più martoriato dalla guerra, dalla fame e dalla povertà.

Vita: Quali sono, a suo avviso, le sfide principali di questi Forum?
Maathai: Ci sono punti sui quali dobbiamo mantenere un’attenzione molto alta. Tra questi, penso ovviamente all’ambiente, ma anche alla questione legata al debito. Vede, la crisi del debito estero rimane un ostacolo determinante per la lotta contro la povertà, sia in Africa che in America Latina e Asia. Nonostante i progressi compiuti da alcuni paesi africani in tema di politiche di buon governo e, più in generale, di democrazia rappresentativa, molte altre nazioni rimangono soffocate sotto il peso del debito, alimentando un vero e proprio circolo vizioso che vede i governi africani nell’incapacità di poter erogare risorse finanziarie a favore della good governance, la quale a sua volta è chiamata a garantire la trasparenza delle politiche di finanziamento in settori vitali come la salute, l’ambiente e l’educazione.

Vita: Eppure parte del debito estero è stato cancellato?
Maathai: È vero che ai paesi fortemente indebitati è stato cancellato oltre 64 miliardi di dollari, ma sull’Africa rimane ancora un fardello pari a 200 miliardi di dollari. Ora, è bene ribadire che i soldi richiesti dalle istituzioni finanziarie e dai governi ricchi sono illegittimi perché fondati su vecchi finanziamenti concessi a governi e regimi ultracorrotti. Perché un contadino senegalese deve pagare per le politiche scellerate di un Mobutu? E poi me lo lasci dire: chi è al riparo di questo debito sono sempre gli stessi, cioè le classe africane più agiate, mentre chi viene realmente colpito sono i più poveri. Penso agli abitanti delle baraccopoli di Nairobi che molti partecipanti del Forum e giornalisti hanno visitato in questi giorni. Bene, chi mai pensa alle conseguenze che ogni giorno il debito fa pesare su questi cittadini? Alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale probabilmente nessuno. In ballo non è soltanto una questione di solidarietà da rivolgere nei confronti dei poveri, ma di giustizia sociale a cui un giorno qualcuno dovrà rispondere. Da cui la necessità di urlare al mondo il nostro disappunto e ribadire la nostra volontà di lottare fino all’ultimo affinché l’intero debito venga cancellato.

Vita: Che cosa si aspetta quindi da questo Forum, e più in generale dalla società civile?
Maathai: Molti mi fanno questa domanda. Io credo che il Forum mondiale sia un’occasione straordinaria per scambiare idee confrontarci sulle battaglie che ognuno di noi sta portando avanti. Ma la cosa più importante è poi essere in grado di fare rete. La sopravvivenza del Forum sociale mondiale dipende dal modo con cui riusciremo ad allargare il network. È l’unica via possibile per rendere incisive le nostre iniziative, sia nei confronti dei governi del Sud del mondo che quelli appartenenti alla sfera più privilegiata del nostro pianeta.

Vita: Professoressa Maathai, lei rimane ottimista?
Maathai: Guardi, sia a livello individuale che tra le associazioni, giunge sempre il momento in cui uno si interroga sull’opportunità o meno di portare avanti battaglie che molti danno perse in partenza. Io le risponderò con una storia che ho sentito in Giappone. È la vicenda di un uccellino confrontato alla furia delle fiamme che stanno devastando la sua foresta. Mentre tutti gli altri animali fuggono dalla foresta, l’uccellino decide di tornarci portandosi appresso un po’ d’acqua per buttarla nel fuoco. E così avanti e indietro sotto lo sguardo sbigottito degli animali. Ma sei pazzo. urlano i suoi amici. “Rischi di morire, e poi la tua acqua non basterà a spegnere il fuoco”. Ma l’uccellino risponde: “Non so se riuscirò a spegnerlo, ma sono convinto che quello che sto facendo va semplicemente fatto”.

Qui l’intervista con Wangari Maathai in occasione del Npbel 2004


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