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Cooperazione & Relazioni internazionali

Senegal sull’orlo della guerra civile

Scontri e morti dopo la candidatura di Wade e lo stop a Youssou Ndour

di Joshua Massarenti

Tre morti in 48 ore. E’ il bilancio della protesta che sta dilagando dopo l’autorizzazione concessa dal Consiglio costituzionale senegalese al presidente uscente Abdoulaye Wade di candidarsi per la terza volta consecutiva alle elezioni presidenziali.

Quelle previste il 26 febbraio prevedevano la partecipazione del musicista Youssou Ndour (in foto), ma i cinque ‘saggi’ del Consiglio (nominati da Wade) hanno bocciato la sua candidatura sostenendo che la star internazionale non ha saputo presentare un numero sufficiente di firme valide. Non è quindi servito a nulla il ricorso deposto da Ndour due giorni fa che sosteneva di aver superato la soglia delle 10mila firme richieste. Tutto regolare invece per quanto riguarda Wade.

Un anno dopo il suo accesso al potere nel 2000, la nuova Costituzione impose un limite di due mandati per il presidente, ma secondo il Consiglio la normativa non riguarda il presidente, già eletto quando la legge entrò in vigore nel 2001. La decisione ha mandato su tutte le furie l’opposizione senegalese, che potrà comunque contare su quattro candidati giudicati idonei a concorre alle presidenziali.

Ma i veri protagonisti della fronda anti-Wade sono stati Youssou Ndour e i leader del ‘Mouvement du 23 juin’, la coalizione di partiti politici dell’opposizione e della società civile che contesta la candidatura di Wade. Durante le manifestazioni e i primi scontri scoppiati con le forze dell’ordine, il coordinatore di M23, Alioune Tine è stato arrestato, per poi uscire libero ieri sera al termine di un lungo braccio di ferro con il potere.

Dal canto suo, Youssou N’Dour ha fatto appello alla comunità internazionale affinché esprima il suo disaccordo per la conferma della lista dei candidati alle presidenziali di febbraio. «Il processo di colpo di Stato costituzionale è stato messo in atto; 52 anni di costruzione della democrazia sono stati spazzati via. Siamo stati traditi da questa decisione vergognosa», ha detto NDour alla stazione radiofonica francese Radio France Internationale. «Faccio appello quindi a tutte le forze del paese, ai fratelli africani e alla comunità internazionale di esprimere il loro disaccordo contro questo colpo di Stato istituzionale e costituzionale», ha dichiarato il cantante.

I sostenitori di Wade accusano il movimento 23 e Ndour di essere all’origine degli scontri violentissimi che si sono verificati a Dakar con il linciaggio di un poliziotto e Podor (nel nord del paese), dove un giovane e un anziano hanno trovato la morte durante una manifestazione.

Di fronte all’escalation di violenza, la Comunità internazionale non ha tardato a reagire. Da Washington, la portavoce del Dipartimento di Stato, Victoria Nuland ha dichiarato che gli Stati Uniti “rispettano il processo politico e legale, e il fatto che (Abdoulaye Wade sia autorizzato a candidarsi per un terzo mandato, ma il messaggio che gli mandiamo non cambia: la dignità di un capo di Stato consiste a lasciare il posto alla nuova generazione”.

Una richiesta chiara rispedita immediatamente al mittente dal ministro della Comunicazione e responsabile della campagna elettorale di Wade, Hadj Amadou Sall, secondo il quale “è troppo tardi perché Wade è già candidato. La sua candidatura è stata dichiarata ricevibile da un’istituzione costituzionale competente”.

Molto più attendista è stata la posizione presa da Parigi. Da ex potenza coloniale, la Francia si rammarica del fatto che “tutte le sensibilità politiche non possano essere rappresentate” alle presidenziali. Addirittura imbarazzante è stata la posizione presa dall’Unione Europea che, rifiutando ogni commento sulla terza candidatura di Wade, ha condannato le violenze e invitato l’opposizione e il governo a dialogare.

Ma il dialogo sembra impossibile. In un commento scritto per il giornale francese Le Monde, l’ex Segretario generale di Amnesty International e membro del partito socialista senegalese, Pierre Sané, “l’impasse è totale”. Wade “non ha altro in mente che tentare di imporsi al potere con il bluff e questo fino alla morte. Ma i senegalesi non sono più disposti ad accettare questa strategia”. Il presidente uscente “è quindi incastrato, per questo ha scelto una fuga in avanti ad oltranza che rischia di mettere in pericolo la nazione e la regione”.


Ma il sentimento che Wade sia ormai uno pseudo-monarca impazzito e isolato nella sua torre d’avorio. Secondo l’inviato speciale di Le Monde, il presidente senegalese è ancora popolare “tra i cittadini del mondo rurale” e soprattutto “può contare sull’appoggio della potentissima confraternita dei Mourides”. Inoltre, il movimento del 23 giugno appare diviso. Lo ammette Cheikh Banba Dieye, sindaco di Saint-Louis e membro di M23.

“Siamo divisi tra i partigiani del confronto diretto con il potere, di cui faccio parte, e coloro che non fanno altro che difendere i propri interessi. Alcuni si vedono addirittura presidenti oppure sono disposti a lasciare il movimento non appena ne avranno l’opportunità. La nostra generazione ha dei conti in sospeso con coloro che ci hanno preso in giro dall’indipendenza”. Senza nominarli, Dieye punta il dito contro membri influenti di M23, tra cui ex ministri di Wade come Idrissa Seck, Macky Sall, Cheick Tidiane Gadio, passati nei ranghi dell’opposizione dopo essere stati banditi dal palazzo presidenziale.


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