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Un parroco nega la comunione ad un bimbo disabile

La motivazione: non è in grado di intendere e volere

di Redazione

È polemica sulla decisione del parroco di Porto Garibaldi, nel ferrarese, che non ha ammesso, il giovedì santo, alla prima comunione un bambino con un ritardo mentale, perché “incapace di intendere e volere”. «Si tratta di una violazione delle disposizioni canoniche, già assurdamente restrittive nei confronti di persone separate, divorziate o omosessuali, che non prevedono alcuna esclusione dall’Eucarestia per le persone inabili», denuncia Aurelio Mancuso, presidente Equality Italia. «Ci uniamo al coro di proteste sollevato da molte famiglie e dai compagni di scuola del bambino, che ha subito un’odiosa discriminazione», aggiunge Mancuso, «è evidente che nella chiesa cattolica molti prelati e sacerdoti hanno perso la bussola del messaggio evangelico, che proprio agli afflitti e ai malati riserva parole forti e chiare».

Per il sociologo Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori e consulente della Commissione parlamentare per l’Infanzia, «quanto accaduto è a dir poco assurdo, non soltanto sul piano etico, ma soprattutto sotto il profilo dei diritti fondamentali riconosciuti ai bambini. Il sacerdote, negando al piccolo la comunione, ha leso la sua dignità di persona».

«Ancora più incredibile risulta essere la motivazione addotta dal Vicario della diocesi, a parere del quale per ricevere il sacramento si dovrebbe essere capaci di distinguere il pane dall’ostia. Credevo», dice Marziale, «che il Sacramento fosse vincolato ad uno stato di grazia e purezza più che ad un test psico-attitudinale, rispetto al quale i preti non sono certo abilitati».

Il presidente dell’Osservatorio si dice «frastornato dall’episodio, che denuncia uno stato di oscurantismo culturale degno del peggior medioevo. Soltanto una revisione del sacerdote e di chi ne ha preso le difese», conclude il sociologo, «potrebbe riconciliare la Chiesa con la civiltà, anche cristianamente, compiuta».


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