Attivismo civico & Terzo settore

Per i migranti irregolari la sanità non è (ancora) un diritto

di Sara De Carli

Venticinque anni fa, mentre Si può dare di più vinceva il Festival di Sanremo e Margaret Thatcher iniziava il suo terzo mandato, un medico milanese cominciò a visitare nel suo ambulatorio quel pugno di immigrati che ai tempi circolavano in città. In poco tempo quel medico, Italo Siena, contagiò altri colleghi. Fu così che nacque il Naga, un’associazione che oggi a Milano garantisce 15-18mila visite mediche all’anno per i cittadini stranieri senza permesso di soggiorno, che non hanno diritto a nessun tipo di assistenza sanitaria.
I 25 anni per quelli del Naga non sono un traguardo da festeggiare. «Italo Siena aveva bene in testa che il Naga nasceva per estinguersi», spiega Stefano Dalla Valle, da 17 anni al Naga prima come medico poi nella direzione sanitaria. «Il nostro compito è illuminare un’area di bisogno insoddisfatto, affinché la sanità pubblica veda quel bisogno e se ne faccia carico. Poi, dovremmo sparire. Certo, davanti al bisogno diamo delle risposte, ma rifiutiamo una delega, una convenzione illimitata, la supplenza». Se questa era l’idea iniziale (ed è tuttora un tratto identificativo dell’impostazione del Naga, che per questo motivo non fa nessun contratto a tempo indeterminato, perché «a quel punto chi penserebbe più ad estinguere il bisogno di salute degli immigrati e il Naga? Ci costruiremmo sopra un palazzetto…», spiega), oggi i numeri del fenomeno migratorio e il quadro politico in cui si è inserito fanno dire a Dalla Valle che «più il tempo passa e più mi rendo conto che la nostra visione è senza prospettive e che di noi ci sarà bisogno almeno ancora per altri 25 anni».

Sanità all’italiana
Sulla carta l’Italia sarebbe un paradiso dal punto di vista del diritto alla salute. Insieme a Francia, Belgio e Spagna (che però proprio in questi giorni ha annunciato che a partire da settembre garantirà solo le urgenze) è tra i pochissimi Paesi europei che riconoscono agli immigrati irregolari il diritto all’accesso alle cure, indipendentemente dallo status giuridico. Il problema è che molte Regioni non hanno mai emanato una direttiva per applicare la legge nazionale e così «ogni azienda ospedaliera fa quel che le pare. Abbiamo fatto più volte un monitoraggio: stessa patologia, stesso ospedale, giorni diversi, risposte diverse. Non c’è niente di peggio della capricciosità, che degenera in arbitrio», denuncia Dalla Valle.
L’ultimo caso documentato è quello per i cittadini comunitari, che da quando sono nell’area-euro non hanno più diritto al codice STP – Straniero temporaneamente presente senza che ci sia un’indicazione univoca sul codice con cui sostituirlo: «Un terzo dei pazienti non sono messi nelle condizioni di usufruire delle cure. Ogni ospedale fa a sé, nel male e nel bene. Il problema è che nel primo caso nessuno andrà mai a rimproverarlo, nel secondo forse sì».
I giornali denunciano il ricorso improprio al Pronto soccorso (anche da parte degli italiani), ma per gli irregolari che non hanno il medico di base a cui rivolgersi, è l’unica soluzione. «Per loro il bisogno di salute è esasperato: non hanno alcuna forma di tutela, e per lavorare e guadagnare soldi devono stare necessariamente bene», racconta il medico. Per gli irregolari c’è il Pronto soccorso oppure il volontariato, tertium non datur. «Facciamo noi la medicina di base, ma quando c’è bisogno del secondo livello, di fare una tac o una visita specialistica, iniziano i problemi», continua. È una sorta di flipper, e l’immigrato è la pallina: il Pronto soccorso gli prescrive visite di approfondimento o farmaci costosissimi usando il ricettario bianco (anche se sarebbe obbligato a farlo sul ricettario regionale rosso), che non ha alcun valore e il Naga paradossalmente si sobbarca, attraverso i suoi benefattori, i costi di farmaci che se fossero prescritti sul ricettario regionale costerebbero molto meno. Al contrario, quando un medico del Naga invia un irregolare in ospedale, con l’unico ricettario di cui al momento dispone, quello bianco, «ce lo rimandano indietro perché non ha il permesso di soggiorno né la ricetta rossa. Ma è ovvio, se ve lo abbiamo mandato noi! Queste persone hanno una “doppia malattia”: la loro e il fatto di non essere curati».
Le cose forse stanno per cambiare. La Asl, infatti, ha appena proposto al Naga e al resto del non profit milanese che dà assistenza sanitaria agli immigrati, di fornire direttamente il codice STP e di prescrivere sul ricettario rosso.

Anziani, i nuovi immigrati
«Ci rendiamo conto che il contesto del welfare è cambiato e che in questo modo i pazienti sarebbero curati meglio, però…». Però? «Quando si fa supplenza, più la si fa e più si incoraggia l’interlocutore a non impegnarsi. È inutile che la moglie si lamenti che il marito non lava mai i piatti, se poi li lava sempre lei… Questo passaggio aprirebbe un vulnus enorme, che farebbe cambiare natura al Naga perché non solo non si scompare ma si supplisce ancora di più e lo si fa gratuitamente». Dalla Valle parla di «sussidiarietà impropria», ma allo stesso tempo, dice, «il mondo è cambiato, non possiamo far finta di niente». Per esempio, i tanti anziani e italiani impoveriti che già da sette o otto anni bussano alle porte del Naga e i passi indietro fatti in dieci anni sulla presa in carico pediatrica dei minori stranieri. «Stiamo pensando di riaprirla, dopo che invece questo era stato un punto su cui avevamo raggiunto l’obiettivo di scomparire. Sarebbe davvero beffardo…». Dalla Valle scuote la testa e si prepara a spegnere altre candeline.


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