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La ricetta sicura per integrare i rom? La casa

Nei campi non scolarizzato un minore su 4, appena 7 su cento invece fra quelli che vivono in un'abitazione

di Sara De Carli

Da qualunque parte la si guardi, al cuore della questione rom c’è sempre la casa. Per questo la prima cosa da fare è modificare radicalmente e urgentemente l’approccio istituzionale e superare la modalità dei campi, che hanno ormai mostrato tutta la loro inadeguatezza per rispondere ai bisogni di Rom e Sinti. A dirlo è la prima indagine nazionale su rom e sinti, presentata questa mattina alla Triennale di Milano all’interno della restituzione alla città del progetto europeo “EU inclusive” realizzato da Fondazione Casa della Carità per l’Italia in partnership con Soros Foundation Romania, Fundaciòn Segretariado Gitano in Spagna e Open Society Institute Sofia in Bulgaria. La ricerca italiana, condotta su 1.668 persone, è stata coordinata da Donatella De Vito, responsabile per la Casa della carità del progetto Eu Inclusive ed è stata realizzata in collaborazione con l’Aaster di Aldo Bonomi. Questo convegno “Rom e sinti, un’indagine nazionale” è il momento finale del progetto per quanto riguarda l’Italia, al pari dei convegni che sono stati organizzati anche in Romania, Spagna e Bulgaria. L’11 luglio, a Bucarest, invece, si terrà la conferenza internazionale che concluderà ufficialmente l’intero
progetto “EU Inclusive”.

 

ALTRO CHE NOMADI – Sono venuti in Italia per lavorare e migliorare la propria condizione, come tutti i migranti. La ricerca smentisce innanzitutto il luogo comune che vede rom e sinti come nomadi per cultura, come tratto identitario specifico. «Al contrario – scrivono i ricercatori – emerge una forte volontà di inserirsi in modo permanente in Italia attraverso la costruzione di progetti migratori stanziali in netto contrasto con il forte senso di precarietà in cui, nel nostro Paese, i rom versano da anni». Ha un prpogetto migratorio stanziale ed è disponibile a rimanere in Italia l’85% dei rom che arrivano dall’ex Jugoslavia e il 62% di quelli provenienti dalla Romani. Più bassa la percentuale tra chi arriva dalla Bulgaria (24%), ma «anche dove i progetti migratori sono costruiti attorno a un benessere da esportare che prevede un ritorno nel paese d’origine, i tratti della migrazione non si discostano da quelli di altre nazionalità presenti nel nostro Paese». Se i rom sono venuti per rimanere, la casa diventa ovviamente questione cruciale.

 

CASA E SCUOLA  – Ma leggiamo i dati al contrario, per capire. Il 19% di rom e sinti non sa leggere né scrivere. La situazione migliora ovviamente tra i più giovani, ma c’è ancora oggi un 15% di giovani sotto i 20 anni che non ha conseguito alcun titolo di studio, dato che rivela una persistenza dell’abbandono scolastico ben al di sotto dell’età dell’obbligo. La ricerca dice che le famiglie che vivono in insediamenti irregolari, il 23% presenta minori non scolarizzati: questo valore scende al 12% tra le famiglie che vivono in insediamenti regolari e arriva addirittura al 7% per chi vive in casa. Un abisso. «Vivere in un campo significa abitare ai margini del tessuto urbano, lontani dai servizi, tendenzialmente isolati dal punto di vista della connettività dei trasporti con i mezzi pubblici. La frequenza scolastica per i bambini rom è innanzitutto un problema di carattere organizzativo, perché richiede uno sforzo logistico non richiesto a chi vive in situazioni maggiormente integrate dal punto di vista spaziale». Una forte riduzione della dispersione scolastica quindi «può essere attesa solo risolvendo il problema dell’isolamento e della segregazione spaziale, uscendo dalla logica dei campi e integrando i rom nel tessuto urbano, per metterli in condizione di avere scuole più vicine e usufruire dei normali servizi di trasporto destinati a tutta la collettività».  

 

CASA E SALUTE – La marginalità dei rom è mediata dalla marginalità spaziale del luogo in cui abitano, in un circolo vizioso difficile da rompere. La segregazione, anche dove non è spaziale, è sempre etnica. Questo, accanto alle difficoltà logistiche nel raggiungere la città per lavorare, studiare, usufruire dei servizi, crea difficoltà oggettive nell’instaurare relazioni sociali e ad accedere ai servizi. Con la conseguenza che tra chi vive in casa o in insediamenti regolari ha la tessera sanitaria molto più spesso di chi vive invece in insediamenti irregolari: di questi ultimi, solo il 35% ha la tessera sanitaria. Così tra gli over50, solo il 27% è in buona salute.

 

CASA E LAVORO – La gran parte dei rom stranieri è venuta in Italia per lavorare, ma per rom e sinti il mercato del lavoro italiano risulta drammaticamente sfavorevole, con un tasso di occupazione che si ferma al 34,7%, circa dieci punti percentuali in meno del dato italiano (44,3%, dati Istat al terzo trimestre 2011). Poco meno della metà degli occupati è un lavoratore autonomo, gli occupati irregolari sono l’11% e i regolari il 19%. Complessivamente i lavoratori dipendenti con un contratto a tempo pieno e indeterminato sono solo il 6,7%. Il 4% degli intervistati si è dichiarato occupato ma senza fornire altre spiegazioni, probabilmente perché lavora irregolarmente. Il tasso di disoccupazione è del 44%, gli inattivi sono il 37,8%. I motivi per cui rom e sinti diventano inattivi sono essenzialmente due: lo scoraggiamento e le responsabilità famigliari. Se questo è il quadro generale, ecco che succede analizzando il dato in rapporto alla casa: tra i rom che vivono in una casa, il 46% è occupato (più della media italiana). Tra chi vive in un insediamento regolare la percentuale scende al 33% e in un campo irregolare al 24%. Per trovare lavoro è molto meglio vvere in campagna o in città medio piccole, mentre nelle grandi città sopra i 250mila abitanti (Torino, Milano, Roma e Napoli) la quota di occupati scende al 27,6%. Meglio la città delle zone rurali, invece, per la discriminazione: nelle zone rurali e a Roma ha dichiarato di aver subito discriminazioni più del 60% dei rom e sinti, mentre nelle altre città ci si ferma tra il 35 e il 40%.


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