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Cooperazione & Relazioni internazionali

Il mio fiore per Aung Suu Kyi

Incontro con la leader in Europa per ritirare il Nobel 1991

di Redazione

di Cecilia Brighi*

 

L’enorme sala del vecchio Palazzo dell’ONU è stracolma di gente. Anche nelle gallerie laterali, che si arrampicano su in alto per quattro piani, le persone si sono  piazzate in attesa, dopo aver conquistato il loro posto per assistere all’evento storico: l’arrivo della Lady.

Dai giorni precedenti, c’era stata una caccia ai badge. Tutti volevano esserci. In platea i delegati di tutti i paesi del mondo: imprenditori, governi, sindacati rimanevano incollati alle loro sedie con il timore che arrivasse qualche funzionario e gli rubasse il posto.

Finalmente arriva. Juan Somavia, Direttore Generale dell’ILO-International Labour Organization, alto massiccio con una barba bianca sembra quasi sospingerla e guidarla verso il podio. Lei piccola, minuta, quasi trasparente, catalizza l’attenzione di tutti. La enorme sala dove si tengono le plenarie ONU e quelle della Conferenza annuale dell’ILO, esplode in un applauso infinito. 

A dicembre scorso, a Rangoon, avevo avuto un lungo incontro con Aung San Suu Kyi. Era la prima volta che la Lady incontrava una sindacalista. Era un periodo molto intenso. Il suo partito doveva decidere se candidarsi alle elezioni. Una sfida ulteriore. L’avevo lasciata dicendole: «Spero che potremo rivederci a Ginevra all’ILO». E così è stato. Non ci potevo credere. Finalmente il sogno di anni di lavoro si realizzava.

Il compleanno di Aung San Suu Kyi, il 16 giugno, cade sempre nel corso della annuale conferenza ILO. Ogni anno, coglievo l’occasione del mio  intervento in quella sala e con enorme irritazione dei rappresentanti della giunta birmana, facevo gli auguri alla Lady agli arresti domiciliari e  ne chiedevo la liberazione immediata. Quest’anno lei era lì, e dai banchi assegnati alla rappresentanza di Myanmar (così il paese viene chiamato all’ONU) i rappresentanti del governo, l’ambasciatore, il ministro del lavoro, la stavano applaudendo. In piedi come  tutti gli altri.
Un intervento straordinario (vedi il video in allegato), con punte di ironia, rispetto al suo ruolo attuale e a quello possibile nel futuro di rappresentante di governo.

Non a caso ha scelto l’ILO per parlare al mondo di come immagina il futuro per il suo paese. Infatti da sempre l’ILO, l’unica organizzazione tripartita della famiglia ONU, è impegnata in Birmania da venti anni nella lotta al lavoro forzato. Dall’ILO sono partite le sanzioni internazionali alla Birmania. Dapprima con la sospensione del sistema di preferenze generalizzate della UE, e poi con una serie di sanzioni economiche approvate da molti paesi e sostenute dai sindacati di tutto il mondo. L’ILO ogni anno,nel corso della Conferenza annuale di giugno che vede riuniti tutti i governi, gli imprenditori e i sindacati del mondo, tiene una Sessione speciale per monitorare se il governo attua le raccomandazioni della Commissione di inchiesta decise nel 1998. Troppi anni sono passati e ancora oggi, nonostante i recentissimi passi avanti sul piano legislativo, il lavoro forzato  è una realtà in molti villaggi e piccoli centri.

La collaborazione con l’ILO  ha permesso ai giovani dell’NLD, il partito della Lady di diventare gli occhi e le orecchie dell’organizzazione in tutto il paese. In questo modo vengono raccolte costantemente le denunce di lavoro forzato e consegnate ai rappresentanti ILO che ne valutano la fondatezza.

Ora, al suo primo arrivo in Europa, con un processo lento e speriamo definitivo, Aung San Suu KYi, ha lanciato un appello al mondo perché il cambiamento sia accompagnato  da un forte sostegno alla promozione di uno sviluppo amico della democrazia. Un forte appello alla promozione di investimenti basati sui codici di migliore pratiche. Ed ha chiesto il loro monitoraggio e verifica del comportamento delle imprese per quanto riguarda il rispetto dei diritti fondamentali del lavoro e dell’ambiente. Investimenti che devono rafforzare le istituzioni democratiche e che garantiscano i diritti umani e del lavoro. Su questo punto ha fatto riferimento alla necessità di promuovere una agricoltura responsabile, la trasparenza e la responsabilità. E in modo molto chiaro ha criticato duramente l’assenza di queste due condizioni nelle imprese  di proprietà statale, che da sempre hanno controllato l’economia birmana. Obiettivi, come ha annesso la Lady, molto ambiziosi. D’altronde bisogna essere ambiziosi  e puntare in alto, per poter promuovere la democrazia.

Ha poi lanciato un appello a sostegno dei giovani, ormai senza speranza e non solo senza lavoro, della necessità di promuovere l’istruzione e la formazione professionale collegata al mercato del lavoro e un forte richiamo ai paesi vicini perché tutelino i lavoratori migranti birmani, che in Thailandia rappresentano l’80% dei migranti.

L’incontro più significativo è stato però quello con il Gruppo lavoratori. La Lady ha dedicato a loro una parte del suo tempo. È stato un incontro caldo e informale. Aung San Suu Kyi ha potuto ascoltare la voce di coloro che più hanno lavorato a sostegno della lotta al lavoro forzato. Un intervento del segretario generale de sindacato birmano  FTUB, che sta cercando ancora di uscire dalla clandestinità, l’intervento del sindacalista giapponese, del norvegese del Sudafricano ed il mio.

Io sapevo di avere poco tempo, ma ho potuto non solo ricordare l’impegno della CISL e degli italiani per la democrazia, ma anche il lavoro sulle imprese che in violazione delle sanzioni hanno continuato ad operare in Birmania. L’impegno futuro per monitorare gli investimenti e per costruire come lei ci ha chiesto, forti legami con i lavoratori birmani, perché escano dall’isolamento. 

Becki, del sindacato sudafricano, ha ricordato il monito di Mandela a coloro che dopo anni di prigione e di repressione hanno acquistato potere. «Non bisogna dimenticare i vecchi amici e gli alleati che hanno lottato insieme per la democrazia. Bisogna si farsi nuovi amici, ma coloro che hanno lottato insieme sono gli amici più preziosi».

Suu Kyi farà tesoro di questo monito e ha ricordato che proprio la lotta contro l’apartheid del popolo sudafricano è stata ed è tutt’oggi una grande guida nel difficile lavoro per la democrazia e per la giustizia sociale. «Cauto ottimismo», ha ancora sottolineato.  E molto cauti continuiamo ad essere noi sindacati, soprattutto nel monitorare l’accordo che l’ILO ha sottoscritto con il governo birmano per la cancellazione del lavoro forzato in tempi minori dei tre anni previsti. E un monitoraggio che cominceremo ad attuare sulle imprese che si stanno apprestando a una vera e propria corsa  “all’oro” birmano.

«Questa è la nostra nuova sfida», ho sottolineato nel mio intervento, «aprire tavoli di confronto con i grandi e piccoli investitori per evitare che un paese oggi ancora “vergine” sul piano industriale e dei servizi, possa essere  stravolto da investimenti senza scrupoli. E gli esempi sono sotto gli occhi di tutti».

Ho consegnato a Suu Kyi un mazzetto di fiori da mettere nei capelli al momento di ricevere, sabato, formalmente a Oslo il Premio Nobel per la Pace assegnatole nel 1991 e mai ritirato. Fiori di pace, fiori che rappresentano noi, il mondo del lavoro, che non l’ha mai lasciata sola e che continua ad accompagnare la sua lotta per la democrazia. C’è ancora molta strada da fare. Ci sono ancora troppi che vogliono mantenere gli occhi chiusi sulle violazioni dei diritti umani e sulla assenza dello stato di diritto nel paese, che le si ostina, giustamente a chiamare Burma e non Myanmar, come aveva fatto la giunta militare.

Qui il discorso integrale di Aung San Suu Kyi all’ILO

*Cecilia Brighi è responsabile Internazionale della Cisl. È autrice di “Il Pavone e i Generali. Birmania: storie da un Paese in gabbia”, edito da Baldini Castoldi Dalai


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