Cooperazione & Relazioni internazionali

Un inferno chiamato Gaza

Save The Children lancia l'allarme sulle condizioni dei più piccoli nella Striscia dopo 5 anni di blocco

di Redazione

L’unica fonte di acqua corrente disponibile a Gaza è terribilmente pericolosa perché contaminata da concimi e scorie umane. Con 1 milione e 700.000 persone ammassate in appena 365 kmq – di cui oltre 800.000 sono bambini – lo stato di salute per migliaia di persone è gravemente a rischio, a causa del blocco imposto nel 2007 al transito di merci e persone. Migliaia le famiglie impossibilitate ad acquistare o produrre derrate alimentari, ed il rischio di malnutrizione cronica resta alto, colpendo il 10% di bambini al di sotto dei 5 anni; l’anemia, solitamente provocata da deficit alimentari e in particolare di ferro, affligge il 58.6% dei bambini in età scolare, il 68.1% dei bambini tra i 9 e i 12 mesi e il 36.8% di donne in stato di gravidanza.

 È quanto rivela Gaza’s Children: falling behind, il rapporto lanciato da Save the Children insieme all’organizzazione Medical Aid for Palestinians (MAP), per denunciare le drastiche condizioni igienico-sanitarie di una popolazione messa in ginocchio dal duro embargo iniziato 5 anni fa (su Twitter l’hashtag è #EndGazaBlockade)

 “I bambini di Gaza vivono in condizioni di prigionia, intrappolati in un lembo di terra avverso che gli impedisce anche solo di sognare un futuro migliore – dichiara Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia –. Dall’inizio del blocco nel 2007, è raddoppiato il numero di bambini al di sotto dei 3 anni curati per diarrea, perché costretti a bere un’acqua tossica e nociva. Le condizioni igieniche nella Striscia si aggravano progressivamente, al punto che anche una banale diarrea ormai può essere mortale per i bambini di Gaza”.


Il sistema di scarico delle acque, infatti, è stato completamente danneggiato durante l’Operazione Piombo Fuso, e gli impianti per il trattamento sono sovraccarichi o a corto di carburante. I pozzi neri destinati alla raccolta delle deiezioni sono situati in prossimità delle abitazioni e, nei soli primi due mesi del 2012, tre bambini sono morti annegati nelle fogne a cielo aperto.


Migliaia di famiglie sono costrette ad acquistare acqua da privati, ignare che spesso anche quella possa essere contaminata o superare di almeno di 10 volte il livello di sicurezza consentito. Inoltre, gli altissimi livelli di nitrato – contenuto nelle feci e nei concimi – potrebbero causare alcune gravi forme tumorali e rappresentare una grave minaccia per le donne in stato di gravidanza.

Per la popolazione esistono solo due possibili vie d’uscita per lasciare Gaza, ma occorrono permessi speciali per oltrepassare un confine costantemente protetto. Per questi motivi, ad oggi, soltanto 1/5 dell’attrezzatura necessaria a riparare il sistema di scarico ha valicato il confine, mentre il resto è bloccato e stipato nei depositi.

“I bambini di Gaza, come quelli di tutto il mondo, dovrebbero poter godere dei diritti essenziali sanciti dalla Convenzione Onu per l’Infanzia e l’Adolescenza, primo tra tutti il diritto alla salute”, continua Valerio Neri. “I numeri purtroppo raccontano tutt’altra realtà: oltre all’emergenza igienico-sanitaria, dall’inizio dell’embargo nel 2007, 605 bambini sono stati uccisi nella Striscia di Gaza, 2,179 quelli feriti durante i conflitti. La comunità internazionale ha l’obbligo politico e morale di intensificare al massimo gli sforzi, per garantire quanto prima una maggiore sicurezza ai bambini, condizioni sanitarie umane e la fornitura di acqua potabile e sana.”


Inoltre il rapporto sottolinea come il 38% dei bambini a Gaza viva in povertà e ben 630.000 non godono degli standard di sicurezza alimentare. In media c’è un insegnante ogni 80 bambini e nell’anno scolastico 2010-2011, l’80% delle scuole pubbliche (pari a 311 su 392) ha dovuto assicurare un doppio turno per poter far fronte all’esigenza di scolarizzazione di 230.000 bambini.

Save The Children chiede:


• ad Israele la revoca del blocco e la libera circolazione di persone e beni da e verso Gaza, West Bank e Gerusalemme;


• l’avvio e l’implementazione di progetti di riqualificazione sanitaria delle acque, con una pianificazione dei lavori chiara e puntuale;


• alle Autorità Palestinesi di agevolare la fornitura rapida di servizi sanitari e di materiale medico per l’intera popolazione;


• alla Comunità Internazionale, un serio impegno per la definizione di interventi strutturali e strategie a lungo termine che contribuiscano a migliorare le condizioni di vita dei minori a Gaza, anche dopo la fase di emergenza.

 


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