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Sanità & Ricerca

Scola all’Istituto dei Tumori. «No all’accanimento terapeutico»

Il Cardinale meneghino ha incontrato il personale medico e i pazienti della struttura

di Redazione

«Occorre valutare caso per caso, ma è necessario rispettare la vita fino all’ultimo alito, rifiutando ogni accanimento terapeutico»: così, ha parlato il cardinale Angelo Scola nel corso della sua odierna visita all’Istituto dei Tumori di Milano, dove ha incontrato medici, personale e pazienti. Scola ha toccato il delicato tema del “fine vita” sollevato dalla recente morte del Cardinal Martini; nel suo intervento ha incoraggiato lo sviluppo delle cure palliative: «La domanda di guarigione ha sempre in sé una domanda più grande di salvezza e sul senso della vita», ha detto l’Arcivescovo.

Perché la tecnica da sola non basta per curare: occorre avere sempre ben in mente, come sottolinea Scola, che«il livello di profondità di una istituzione deriva dall'unione di vari aspetti: competenza, ricerca, attitudine umana, apertura e speranza». Si lascia scuotere dalle domande dei presenti, l’Arcivescovo. Come Antonella, che viene dalla Toscana e racconta: «Arrivata qui mi sono trovata sola. Devo ringraziare molte persone che mi hanno aiutato e devo riconoscere la tensione spirituale dei cappellani». Adele attende una visita di controllo, Nino è in cura da un anno e mezzo: «Sto affrontando la malattia come una opportunità per vivere meglio la mia vita – dice -. Sta avvenendo grazie alla vicinanza di molte persone».

Il cardinale Scola è particolarmente colpito da queste parole, che continuerà a citare in tutto il suo discorso, come una chiave di senso rispetto a tutto quello che è possibile dire in simili contesti. Riconosce il ruolo fondamentale delle cure palliative, nel momento in cui la guarigione non è piu possibile, e le paragona alla medicina genomica: «Perché come questo tipo di nuova medicina è proporzionata al singolo, così la medicina palliativa deve prendersi cura della persona. Fino all’ultimo».

L'Arcivescovo ha ricordato come «studi biologici dicano che la capacità di vita dell’uomo è intorno ai 120 anni, ma voi che siete a contatto diretto con il dolore e la sofferenza – dice rivolgendosi direttamente agli operatori sanitari del nosocomio – e toccate con mano la partecipazione dei loro cari, sapete che questa fiducia complessiva e sacrosanta nelle scienze mediche non genera di per sè felicita, ma si accompagna troppo spesso alla crescita di fenomeni depressivi nelle società avanzate».

A guidare l’arcicìvescovo di Milano c’erano i due cappellani dell’Istituto dei Tumori, don Tullio Proserpio e don Giovanni Sala. Ha detto don Proserpio: «A noi, sacerdoti, non è dato di trovare le risposte, ma di accompagnare i malati e i familiari in questo percorso, che può portare, alle volte anche a riconciliazioni insperate».


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