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Imu: Il nodo da sciogliere

Nel nostro ordinamento occorre affrontare una volta per tutte «la mancanza di una identificazione unitaria tra scopi (socialmente meritevoli di tutela) perseguiti dalle organizzazioni non profit e agevolazioni fiscali». Il commento di Alceste Santuari al parere del Consiglio di Stato

di Alceste Santuari

Il Consiglio di Stato, sezione consultiva per gli atti normativi nella adunanza di sezione dd. 27 settembre 2012 si é espresso censurandone alcune disposizioni sullo schema di regolamento del minsitro dell'economia e delle finanze recante regolamento avente ad oggetto la determinazione delle modalità e delle procedure per stabilire il rapporto proporzionale tra le attività svolte con modalità commerciali e le attività complessivamente svolte dagli enti non commerciali di cui all’art. 73, comma 1, lettera c), del TUIR, ai fini dell’applicazione dell’esenzione dall’imposta municipale propria di cui all’art. 7, comma 1, lettera i), del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504.
 
A tacere della "risposta" che ora il Governo é tenuto a dare a questa parziale bocciatura dei contenuti versati nello schema di regolamento in parola (un nuovo regolamento ovvero un intervento legislativo) la vexata queastio relativa alle attività commerciali vs. attività non commerciali sembra non trovare mai pace. Al riguardo, tuttavia, é opportuno evidenziare che la soluzione a questo problema é e sarà sempre difficile per la ragione che nel nostro ordinamento che pure contempla precetti costituzionali quali gli artt. 2, 38 e 118 solo per citarne alcuni e leggi ordinarie dello Stato (citiamo la l. n. 328/2000 per tutte) nei quali si riconosce il valore "assoluto" del contributo, apporto e ruolo delle organizzazioni non profit, ancora si fatica ad individuare il "filo rosso" che definisce l'azione delle organizzazioni non lucrative: la finalità ultima (di natura collettiva ovvero di pubblica utilità) cui le attività (oggetto sociale) sono e debbono essere preordinate.
 
In Italia, manca una identificazione unitaria tra scopi (socialmente meritevoli di tutela) perseguiti dalle organizzazioni non profit e agevolazioni fiscali. Le agevolazioni esistono sì, ma quali riconoscimenti delle attività svolte in sé e non in quanto espressione ed epifenomeno delle finalità perseguite.
Ed è proprio questo il punto cruciale che merita di essere dibattuto, affrontato e risolto, se davvero si vuole promuovere una welfare society fondata sul principio di sussidiarietà. In questa riflessione deve poterci stare la considerazione attenta sulle modalità più opportune ed efficaci di considerare le attività commerciali realizzate dagli enti non profit. Qualche mese fa, sul punto il Presidente Monti nel suo intervento in Commissione al Senato ha ancorato la previsione di agevolazioni fiscali al fatto che le attività debbono essere senza scopo di lucro e che l’attività sia rivolta al perseguimento di finalità di interesse generale.
 
E infatti il dato fattuale da cui partire è la finalità perseguita che, se meritevole di tutela giuridica in quanto di pubblica utilità, deve poter essere valorizzata e sostenuta attraverso forme di incentivazione ovvero di sostegno anche di natura fiscale. Se l’attività perseguita dalle organizzazioni non profit in senso lato si configura quale attività imprenditoriale (e quindi commerciale secondo i parametri tributari), in quanto si rivolge ad un mercato pagante, al pari di quello che potrebbe realizzare una impresa tradizionale, allora è necessario valutare la “funzionalità” di tale attività allo scopo di pubblica utilità perseguito.
Non occorre scomodare comparazioni circa i costi inferiori che l’azione delle organizzazioni non profit è in grado di assicurare rispetto agli interventi diretti delle istituzioni statali (comparazione peraltro talvolta fuorviante in quanto perpetua la contrapposizione tra Stato e società civile) per affrontare l’apporto delle organizzazioni senza scopo di lucro. Si tratta di difendere le finalità di pubblica utilità perseguite dalle organizzazioni non profit e da quelle riconducibili all'esperienza della Chiesa, quindi, stabilire le giuste connessioni tra attività svolte e quelle finalità. In secondo luogo, in un contesto moderno, aperto, europeo e competitivo, poi, serve apprezzare lo svolgimento da parte delle organizzazioni non profit di attività imprenditoriali e commerciali (in questo senso, abbiamo già un esempio positivo nella disciplina dell’impresa sociale).
 
In un simile contesto, sembra essere ancora di attualità quanto contenuto nella circolare del Ministro degli Interni Peruzzi datata 23 dicembre 1862 (anno in cui venne approvata in Italia la prima “Grande Legge” sulle Opere Pie): “Io so bene che per vetustà e per ricchezza le nostre Opere Pie nulla hanno da invidiare alle più civili nazioni, se pure non siano loro al di sopra. So che molte delle nostre Opere Pie sono state esempio per modelli stranieri e che non risentono di modificazioni urgenti. Credo poi di asserire che dovunque, dopo la caduta del dominio clericale, i singoli governi prima dello sviluppo del regime costituzionale, avevano esercitato larga influenza nelle Opere Pie, tanto da considerarle come loro dipendenti al pari quasi di ogni altro pubblico ufficio. Male si opporrebbe chi credesse nella nuova legge di trovare tracciato l’ordinamento da imporsi ad ogni singolo ramo delle beneficenza, ovvero i modi diretti per far prosperare le Opere Pie o per isradicare gli abusi che vi fossero introdotti[…] Tale non può essere una legge fondamentale organica della beneficenza, la quale mira ad uno scopo più elevato e conforme ai dettati della libertà: cioè quello di sottrarre le Opere Pie dall’intemperante influenza governativa e dal vassallaggio verso altri poteri ed ordini sociali cui non erano state originariamente soggette, per condurle sotto al regime dei loro amministratori ed alla tutela di quelle autorità provinciali e comunali che, bensì al Governo, ma in molti rapporti compiutamente autonome, emanano per elezioni periodica dal grembo della popolazione, ne studiano i bisogni e debbono sapere come provvedervi”.
 


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