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Cooperazione & Relazioni internazionali

Adozioni: Kirghizistan, un paese complicato

Dopo la truffa subita da alcune coppie italiane, interviene Daniela Bacchetta, vicepresidente della Cai, «sono in corso verifiche per risolvere un problema che rischia di avere una ricaduta negativa su tutto»

di Antonietta Nembri

Il mondo della adozioni internazionali è finito sotto i riflettori. E per l’ennesima volta per una brutta storia. Quella che racconta oggi il quotidiano “La Stampa”, infatti, è la storia di una truffa sulla pelle di aspiranti genitori, ma anche sulla pelle dei bambini. Viene denunciato un inganno ai danni di una trentina di coppie italiane che erano in procinto di adottare i propri figli in Kirghizistan e che invece dopo la speranza e la gioia hanno vissuto la cocente delusione di scoprire che non solo non avrebbero potuto adottare i bambini che avevano imparato a chiamarli “mamma e papà”, ma che l’intermediario dell’organizzazione a cui si erano affidati e che avevano trovato sul posto si è rivelato essere un truffatore che aveva abbinato più coppie allo stesso bambino, o addirittura che i piccoli non erano per nulla adottabili. Una truffa bella e buona, che rischia di colpire anche se indirettamente gli enti che si occupano di adozioni internazionali e che operano con professionalità e nell’interesse dei minori in stato di abbandono.
La storia raccontata dal quotidiano torinese è incentrata sulla vicenda di una famiglia truffata in Kirghizistan durante il percorso adottivo: le bambine che erano stata abbinate ai due genitori adottivi in realtà non erano adottabili mentre l’intermediario è sparito dopo essersi fatto pagare in contanti. Da notare che quest’ultima è una pratica che la Cai (la Commissione per le adozioni internazionali) e l’etica hanno sempre imposto di evitare.

«Un corto circuito». Daniela Bacchetta, vicepresidente della Cai usa questa espressione per descrivere quanto accaduto in Kirghizistan, «un paese complicato», aggiunge. Ma non vuole generalizzare.
«Come Commissione l’iter prevede che quanto gli enti si accreditano per un Paese descrivano la struttura operativa in loco e per quanto riguarda i collaboratori locali devono inviare curriculum ed estratti penali, esperienze, referenze, tutte le certificazioni del caso» spiega. Ammette poi che ci sono stati casi «di persone diverse che operavano, collaboratori, ma quando l’attività si consolida in un Paese le nostre stesse rappresentanze diplomatiche si fanno parte attiva, vedono che la persona che si presenta non è quella segnalata dall’ente».
L’avvio delle attività di un ente accreditato all’adozione in un determinato Paese è un momento delicato «le prime coppie sono un po’ pilota, per questo raccomandiamo sempre di iniziare piano, perché il sistema va provato nei fatti» continua ancora Bacchetta.

E il corto circuito? Per la vicepresidente nasce anche dalla concomitanza tra avvio dell’attività di adozione con l’Italia e la situazione interna del Paese «ora su questa vicenda siamo in contatto con tutti gli attori, sono in corso delle verifiche anche delle autorità kirghise, oltre che nostre, siamo in contatto con l’ente coinvolto (l’Airone) stiamo facendo tutte le verifiche del caso e non da ieri» si lascia sfuggire. I fatti sono emersi ora, ma non sono di pochi giorni fa «e non riguardano trenta famiglie stiamo verificando ma sono di meno» tiene ancora a precisare Bacchetta che però ammette «che c’è ancora molto da accertare e la Commissione sta facendo tutto quello che è in suo potere per risolvere il problema che rischia di avere una ricaduta negativa su tutto».   

C’è amarezza al Ciai (Centro Italiano Aiuti all’Infanzia) per questa storia che getta discredito sulle adozioni internazionali. «Nonostante il grande lavoro svolto in questi anni, è bene ricordare che la Cai – Commissione adozioni internazionali ha la possibilità di vigilare sugli enti e sul loro operato in Italia, mentre tutto ciò che accade sul versante estero resta ancora un nervo scoperto, a partire dalla scelta dei referenti locali da parte degli enti», dice Graziella Teti, responsabile adozioni internazionali del Ciai.
Insomma, quanto denunciato mostra uno dei nervi scoperti del sistema: l’importanza della scelta dell’ente da parte delle aspiranti famiglie adottive.
«Gli enti devono dimostrare alle coppie esperienza, conoscenza del Paese nonché dotarsi di strumenti e parametri etici per controllare ed evitare queste situazioni: inoltre devono fare attenzione a scegliere i propri referenti locali, che magari promettono di realizzare alti numeri di adozioni», aggiunge Teti. «Imporre scelte etiche significa anche sapersi fermare, a volte, di fronte a proposte troppo facili».
Conoscere il Paese, sottolinea Ciai, significa essere presenti in loco, con progetti di cooperazione, essere in grado di padroneggiare le varie situazioni direttamente e non a distanza.
Infine, a corollario di questa vicenda che getta inevitabilmente un'ombra sul mondo delle adozioni internazionali, Graziella Teti conclude che «occorre uscire dalla logica delle “performance” numeriche delle adozioni: i numeri sono importanti ma bisogna essere sicuri che ogni adozione portata a termine sia stata compiuta nell'interesse dei bambini, realmente in stato di abbandono»


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