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Rebeldia: occupiamo per i Beni Comuni

Parla Fausto Pascali, esponente della rete che si è insediata all'Ex Colorificio Toscano, per proporre un nuovo modo di gestire e guardare alla comunità

di Andrea Cardoni

«Perché ignorate erano allora dai viventi queste due parole, del tuo e del mio. In quella pia età tutte erano comuni le cose», scriveva Cervantes (“Don Chisciotte”).  Ma quando si incontra una occupazione non si parla solo di beni comuni, riuso, diritto, ma anche di nuove forme di comunità possibili, pratiche di disobbedienza, riproposizioni dello spazio pubblico,nuove economie e nuove forme di consumo, nuovi gruppi di acquisto solidale, altre forme di partecipazione alla polis, nuove forme di Welfare municipale. Ma soprattutto si tocca con mano quella che Spinoza considerava l’architrave delle libertà civili: la moltitudo.

Il 23 gennaio 2013 la multinazionale J-Colors chiede il sequestro preventivo dell’immobile Ex Colorificio Toscano, in via Montelungo a Pisa, uno dei simboli della storia industriale pisana occupato lo scorso 20 ottobre. Già a fine ottobre era stata sporta una denuncia per occupazione, senza richiesta di rilascio per l’immobile, che è in vendita da oltre 15 anni e, a quanto se ne sa, non esistono potenziali acquirenti nè progetti di recupero di alcun tipo. «Le strade sono la dimora della collettività», scriveva Walter Benjamin. «La collettività è un essere perennemente desto, perennemente in movimento, che tra i muri dei palazzi vive, sperimenta, conosce e inventa». Mancano pochi giorni alla manifestazione contro lo sgombero dell’Ex Colorificio e ne parlo con Fausto Pascali, uno degli esponenti di Rebeldia, la rete che ha proposto il Municipio dei Beni comuni a Pisa.

A che punto siamo con la richiesta di sgombero della J-Colors?
La vera domanda è: a cosa è dovuto questo cambio di atteggiamento da parte del poprietario dell’immobile? Quello che sappiamo è che la nuova denuncia avviene all’alba di una 3 giorni – United Colors of Commos – costituente per il Municipio dei Beni Comuni che ha proposto alla discussione politica una serie di tematiche e di campagne concrete che speriamo possano dare nuove prospettive al movimento. Forse, ma possiamo fare solo delle ipotesi, la proposta di un ritrovato modo di fare politica dal basso, della riattivazione di processi democratici e dall’evidenza che nell’Ex Colorificio Liberato ha trovato il luogo dove dialogare, crescere e fare politica insieme una serie di esperienze ha dato fastidio a qualche politico di professione che ha fatto pressioni nella direzione della chiusura. La nostra prima reazione è stata quella di suonare il campanello d’allarme e chiamare a raccolta le forze che abbiamo aggregato in questi ultimi mesi. Insieme abbiamo decisio la strategia di difesa: continuare, anzi moltiplicare le attività all’interno del colorificio e portare avanti le campagne emerse da United Colors of Commons. Ora in rete circolano 2 appelli nazionali contro lo sgombero: uno di giuristi e uno dei movimenti e delle reti sociali. Il 16 febbraio il Municipio dei Beni Comuni ha lanciato una manifestazione contro lo sgombero dell'ex- Colorificio per difendere gli spazi di partecipazione e di socialità come beni comuni a disposizione della cittadinanza.

Salvatore Settis, Stefano Rodotà, Alberto Lucarelli sono solo alcuni dei giuristi che hanno firmato il vostro appello: che tipo di diritto state portando avanti?
Bisogna cominciare a pensare che il diritto non è un qualcosa calato dall’alto inamovibile: le norme che regolano la società sono create dalla società stessa e per questo devono adattarsi di pari passo con la sua evoluzione. Vuol dire che siamo sulla strada giusta ed è bene che la rivoluzione del diritto normativo riguardo i Beni Comuni si evolva a stretto contatto con i movimenti che cercano di affermarne i principi di fatto.

Nell'appello si parla di “abuso del diritto di proprietà”: che tipo di proprietà proponete?
La proprietà non esiste: esiste un proprietario che ha diritto d’uso di un certo bene.
Nel momento in cui questo diritto d’uso non viene esercitato decade: il bene si libera all’uso di altri. Inoltre, e questo è già sancito dalla Costituzione, l’uso di un certo bene non è indiscriminato, ma la sua funzione sociale deve essere concertata e indirizzata tramite le istituzioni – quando assolvono i loro doveri – in base alle contingenti esigenze della società.

Da Occupy in America all’Italia, in questo periodo sono molti i movimenti che si stanno ribellando alle speculazioni e alle vendite delle varie proprietà con le occupazioni, stanno parlando di riuso e di beni comuni…
Il contesto di crisi economica attuale mette sempre più in evidenza le contraddizioni del nostro sistema economico. Si aggiunga anche la crisi di rappresentanza che i cittadini sperimentano sempre di più: una fabbrica fallisce, un centinaio di persone restano senza lavoro, un luogo rimane vuoto e abbandonato. La risposta attuale della nostra società è abbattere la fabbrica, dare lavoro temporaneo per costruire abitazioni che poi rimangono vuote perchè i lavoratori non hanno lo stipendo per pagarsi l’affitto o il mutuo. Oggi sembra che qualcosa si stia muovendo. Innazitutto si diffonde la convinzione che la delega ha perso il suo senso e che bisogna occuparsi direttamente delle questioni sociali. Dall’azione all’azione collettiva il passo è breve. Per definizione il prodotto dell’azione collettiva è un Bene Comune. E sul concetto di Bene Comune molte battaglie si stanno unificando, riconoscendo e sinergizzando.

Quale cultura sta nascendo da questo cambiamento?
Sicuramente siamo all’alba di una nuova stagione di lotta, che ha da una parte lobbies economiche di livello internazionale con in mano l’80% delle risorse del pianeta e il 100% delle istituzioni, dall’altra parte una frammentazione di movimenti che cominciano a riconoscersi intorno al concetto di Beni Comuni. Tra le parti una grande numero di persone lobotomizzate dai sistemi di comunicazione e spettacolo di massa. La lotta è impari, ma il futuro non è scritto. Per noi la chiave fondamentale è accompagnare alla fase critica e di conflitto, proposte concrete generate nei e dai territori.

Spesso parlate del riuso dello spazio: cosa significa per voi? Puoi fare un esempio?
Viviamo nella società del consumo e dell’usa e getta. Il riuso è un primo momento di riflessione in cui si riconosce che prima di buttare via un oggetto (o un luogo) è bene pensarci due volte. Il riuso di un oggetto significa evitare di produrne un altro, con il conseguente relativo risparmio di risorse materiali ed energetiche. Ma il riuso ha anche una valenza culturale importantissima, un’opportunità creativa che ci libera dai preconcetti. E così da un capannone per la macinazione delle polveri di vernice facciamo una sala concerti, da un deposito di materie prime una palestra per giocolieri, da un ufficio amministrativo una biblioteca. Da un pancale di legno tiriamo fuori panche per il giardino e cancelli per la separazione di spazi.

Con Rebeldia state proponendo anche una progettualità che prevede una nuova forma di economia.
Il recupero e il riuso sono una prima forma di opposizione al consumismo usa e getta. A questo si aggiunge il consumo critico portato avanti dai gruppi di acquisto solidale che cercano e scelgono prodotti biologici e per quanto possibile a kilometro zero. La scommessa attuale è creare un luogo dove gli artigiani, ma anche artisti e lavoratori della conoscenza, possano ritrovarsi per recuperare e mettere in condivisione vecchi saperi. Un tipo di lavoro che si armonizzi con l’ambiente sociale del colorificio, che ne sappia intepretare e soddisfare le esigenze. L’auspicio è che con il tempo, e magari la stabilizzazione, questo possa diventare una forma di risposta alla crisi in forma di reddito. Infine lo scambio economico: il colorificio è un luogo in primo luogo di relazione, dove è possibile stabilire rapporti di scambio, non necessariamente basati sul denaro: il baratto è un semplice esempio, ma potremmo andare oltre. Intanto cerchiamo anche di consolidare il rapporto con il Distretto di Economia Solidale dell’Alto Tirreno che da tempo opera mettendo in rete esperienze di economia alternativa.


Con le vostre scelte state portando avanti anche un modo propositivo di fare cittadinanza attiva e politica: una iniziativa che vi augurereste dal prossimo Presidente del Consiglio?
Dati gli attuali candidati, i programmi e soprattutto il modo con cui si è arrivati alle candidature, l’iniziativa più sensata sarebbe dimettersi. Se proprio volesse rimanere attaccato alla poltrona, dovrebbe cercare di rimettere in discussione alcune politiche calate dall’alto dell’Unione Europea (penso al Fiscal Compact in primo luogo) e dare spazio alle proposte di iniziativa popolare: per esempio dare esecuzione al risultato del referendum sull’acqua pubblica, portare avanti il referendum sulla riforma del lavoro, ascoltare le campagne che chiedono di reindirizzare i soldi destinati all’acquisto di armi.

Ultima: la navetta supersonica verso l'aeroporto si farà?
Purtroppo l’attuale amministrazione della città di Pisa, ha una naturale predisposizione a spendere soldi in faraonici progetti-vetrina che prosciugano le casse del Comune e restituiscono alla città, quando i progetti si concludono, benefici effimeri lasciando nel degrado le aree periferiche. Se aggiungiamo l’incapacità di ascolto e dialogo con la cittadinanza attiva, direi che, se l’amministrazione verrà confermata alle prossime elezioni, la navetta si farà. Certo è che noi osteggeremo quanto più possibile questo processo”



 


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