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Cooperazione & Relazioni internazionali

La Sardegna taglia le adozioni

Giunto a termine e non rinnovato il finanziamento per incentivare la presenza degli enti autorizzati sull'isola e abbassare così i costi per le coppie interessate ad adottare

di Sara De Carli

Addio ai contributi della Regione Sardegna per gli enti autorizzati alle adozioni. Le coppie sarde che intendono intraprendere il percorso adottivo torneranno a doversi sobbarcare – oltre a tutte le altre spese – quelle di frequenti viaggi sul continente, per recarsi nelle sedi degli enti per la formazione e i colloqui. Questo del contributo regionale agli enti autorizzati era un progetto partito nel 2009, a seguito della Delibera della Giunta Regionale n. 51/11 del 24/09/2008 – Adozioni nazionali e internazionali: organizzazione degli interventi di sostegno alle famiglie adottive e Istituzione di equipe territoriali integrate (in foto l'attuale presidente Ugo Cappellacci).

La premessa lì riportata era che dal 2000 al 2007 in Sardegna erano stati adottati solo 242 bambini, contro i 18.280 entrati in Italia: una media che negli anni intorno al 2006 era intorno ai 35 bambini l’anno. Sul numero così basso sicuramente pesava il fatto che in Sardegna solo due Enti svolgono tutta la procedura adottiva nell’Isola, altri dispongono di uno sportello telefonico. «L’insufficiente presenza nel territorio di Enti autorizzati porta i sardi ad effettuare viaggi presso le sedi centrali dell’Ente alle quali le famiglie sarde hanno conferito incarico, con conseguente aggravio degli oneri da sostenere: oltre ai costi per le attività rese dall’ente in Italia e i costi per le attività rese all’estero, le famiglie devono sostenere i costi relativi al viaggio e al soggiorno per tutte le fasi dell’iter adottivo, dalla partecipazione alle giornate di formazione, al colloquio per il conferimento incarico, al colloquio per la proposta di abbinamento».

Grazie a quell’idea, AiBi, CIAI e Procura Generale della Congregazione delle Missionarie Figlie di San Girolamo nel 2010 avevano aperto una sede in Sardegna, beneficiando di 90mila euro da parte della Regione. N.A.A.A. Onlus e SoS Bambino, che operano da tempo con propria sede in Sardegna, avevano invece  presentato un progetto per l’accoglienza e l’inserimento del bambino adottivo, beneficiando anch’esse di 30mila euro ciascuna. Negli anni fra il 2009 e il 2012 le adozioni concluse in Sardegna sono state un numero significativo, con un picco di 87 adozioni nel 2010. Ora le cose potrebbero tornare indietro.

«Purtroppo il progetto “Adozioni internazionali Sardegna” venuto a naturale scadenza nel 2012, non è più stato rinnovato dalla Regione stessa e ora gli Enti Autorizzati dovranno decidere se continuare a tenere aperte le proprie sedi, recuperando i costi dalle famiglie oppure se costringerle ad andare nuovamente sul “continente”», spiega Marco Griffini, presidente di AiBi. «L’idea era ottima. La Sardegna, come già il Veneto e la Provincia di Bolzano hanno scelto la strada giusta di supporto alle adozioni, peraltro già indicata dalla legge 183, che prevede la creazione di protocolli regionali e di collaborazioni fra gli enti. Le famiglie avevano un contenimento dei costi, intorno al 20% in meno, eliminavano le spese di viaggio e soggiorno durante tutto l’iter e avevano una sede vicina a casa, che è un valore incommensurabile», spiega.

La sede di AiBi per ora resta aperta, ma con un grosso punto interrogativo: «Proprio oggi Marco Cremonte, il responsabile delle sedi Italia di “Amici dei Bambini”, si è recato in Sardegna, dove incontrerà tutti i livelli istituzionali e anche alcune importanti realtà associative, come ACLI e Domus de Luna, per verificare le concrete possibilità di proseguire con l’attività. «Vorremmo restare, anche per dare un segnale in un momento in cui la situazione delle adozioni internazionali è davvero preoccupante», conclude Griffini.
 


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