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Reddito di cittadinanza attiva, così i conti tornano

Angelo Miglietta, professore ordinario di Economia e gestione delle Imprese, IULM di Milano ed ex segretario generale della Fondazione Crt interviene sulla proposta lanciata da Vita: «Le risorse si possono trovare»

di Angelo Miglietta

Fra i temi collegati con l’ipotesi di introduzione del reddito di cittadinanza attiva merita qualche approfondimento la questione del relativo finanziamento. I detrattori di tale iniziativa trovano infatti nell’ammontare di risorse necessarie da reperire nel bilancio pubblico una barriera insormontabile. Vorrei proporre alcune alcune idee per superare queste difficoltà, posto che di sicuro non si può operare sulla leva dell’incremento della spesa pubblica, per i noti vincoli del parametro del deficit/pil per un Paese con un carico eccessivo di debito/pil (sinistramente atteso al di sopra del 130% in quest’anno). Pietro Ferrari Bravo ha stimato questa somma in un importo massimo di circa 25 miliardi di euro l’anno.

La strada maestra, per dare un beneficio che peraltro va ben oltre il reperimento delle risorse finanziarie, è naturalmente quella della riduzione della spesa in burocrazia, che ormai, a tutti è chiaro, rappresenta la vera voragine dei conti italiani, burocrazia che oltretutto è causa prima del nostro gap di di competitività: ma interventi di questo tipo richiedono un lavoro intelligente e minuzioso, che gli stessi burocrati ostacolano pervicacemente e con grande successo, come la triste storia del nostro Paese negli ultimi 40/50 dimostra. Peraltro recuperare i 25 miliardi (al massimo) necessari non dovrebbe essere molto difficile, su un monte spesa pubblica di circa 800 miliardi di euro. Ma con simili ostacoli e vischiosità non pare possibile, allo stato e con i vincoli cogenti che subiamo, percorrere la strada maestra.
Appare rischioso, ancorchè fondato sul piano scientifico, assumere che tale maggiore spesa per il reddito di cittadinanza possa essere finanziata con il ricorso agli effetti benèfici del keynesiano “moltiplicatore della spesa pubblica”. Se è vero che ciò certamente accade, è pure vero che il contributo non è puntualmente individuabile e perciò proprio per la situazione drammatica delle finanze pubbliche italiane non può essere utilizzato.

Non resta che ipotizzare un’alternativa, inevitabilmente di tipo fiscale, che però deve essere individuata in modo da rendere minimo o magari nullo l’impatto negativo dell’aggravio. La valutazione degli effetti reali delle imposte è infatti estremamente rilevante per rendere minimo l’effetto recessivo che ad esse inevitabilmente si collega, come a tutti ben noto dopo i recenti interventi di inasprimento fiscale, così drammaticamente recessivi e in definitiva controproducenti rispetto alla finalità di ridurre l’impatto deficit/pil. Un strada particolare, nella fattispecie, potrebbe essere quella di tramutare il prelievo fiscale in una sorta di prestito subordinato, da restituire ai contribuenti ove i benefici che potrebbero essere generati dalle attività svolte attraverso il lavoro dei percipienti il reddito di cittadinanza attiva (e qui si capisce perché anche economicamente oltre che moralmente è fondamentale che sia esso attivo e non un sussidio). In altre parole i redditi generati da questo tipo di attività, opportunamente organizzate secondo uno schema di ricorso al terzo settore invece che all’amministrazione pubblica (rinvio sempre a Ferrari Bravo qui su Vita "Ok al reddito di cittadinanza, ma che sia attivo, nelle correlate) dovrebbero essere destinati a restituire in tutto o in parte non imposte ma quello che si rivela il “prestito forzoso” rappresentato dal prelievo di partenza per sostenere il finanziamento dei 25 miliardi di euro. Tali redditi, ovviamente, non dovrebbero essere gravati da imposta ma appunto essere destinati al rimborso dell’imposta-prestito. Anche un rientro dei parametri del deficit e del debito su pil a livelli più sicuri potrebbe far scattare il rimborso, come già avvenne all’epoca della sovraimposta per consentire all’Italia l’ingresso nella moneta unica all’inizio degli anni 2000. Si noti che all’Erario resterebbe comunque poi il beneficio dei maggiori incassi, a titolo per esempio di imposte indirette, legate ai consumi che questa spesa di 25 miliardi di euro andrà certamente a finanziare: considerando un’aliquota media del 10% si tratta di un introito di 2,5 miliardi. Ciò significa, evidentemente, che il fabbisogno massimo da finanziare scenderebbe a 22,5 miliardi.

Come ottenere allora questo “prestito forzoso” nel modo meno impattante per l’economica e quindi meno recessivo? In primo luogo da un incremento temporaneo dell’imposta sul capital gain. Infatti l’aliquota oggi ammonta al 20% per quasi tutti i capital gain, al di sotto degli standard europei. Essa potrebbe essere temporaneamente innalzata al 25%, rimanendo nella media del continente. L’attuale fase di forte ripresa delle quotazione dei titoli consente un elevato ammontare potenziale di imponibile, e quindi un momento in cui il gettito pare davvero promettente. Inoltre tale imposta non sarebbe recessiva sia perché relativa a guadagni “inattesi” e rispetto ai quali la sensibilità è minore in confronto con i redditi da lavoro dipendente: essa dunque  sarà percepita semmai come un minore incremento di ricchezza incrementale, con modeste possibilità nella variazione del modello di consumo e conseguente impatto sull’economia reale. Sapere poi che si tratta di un prestito temporaneo con buone probabilità di rimborso attenua ulteriormente i già ridotti effetti recessivi. Un ulteriore ambito di recupero di gettito è rappresentato dall’innalzamento (sempre coi meccanismi appena illustrati) dell’aliquota sui capital gain sui titoli di stato dal 12,5% al 25%, mantenendo ferma l’imposta sui relativi interessi al 12,5%, per favorirne la sottoscrizione (anche se mi pare un effetto piuttosto psicologico che realmente significativo). Qualora poi tale importo non fosse sufficiente, si potrebbe ricorrere a una modestissima e sempre temporanea imposta-prestito attraverso una mini-micro-patrimoniale sulle attività finanziarie, stimate a fine 2012 in circa 3.500 miliardi. Ogni 0,1% equivale a 3,5 miliardi di gettito, dunque con effetti potenziali importanti, oltretutto in una fase di crescita del valore delle attività economiche. Non voglio fare ipotesi sull’IMU sulle prime case di valore di chi ha redditi e/o patrimoni maggiori, per non entrare in un campo dove la Ragione è scappata davanti allo tzunami della demagogia. In ogni caso sempre in presenza di una previsione di restituzione, secondo i profili indicati.

Pare dunque chiaro che il progetto è certamente finanziabile senza creare effetti recessivi sull’economia, anzi in una prospettiva di equità. Ricordando però il monito di Friedman (dunque in una visione liberista e avversa all’assistenzialismo statalista): poichè “siamo tutti disposti ad aiutare i poveri, a patto che tutti contribuiscano a pagare”,…è giustificato “l’intervento dei poteri pubblici al fine di alleviare la povertà, ossia…di stabilire un livello minimo per le condizioni di vita di ogni membro della comunità.”…”Se l’obiettivo è quello di soccorrere i poveri, dovremmo istituire un programma mirato ad assisterli direttamente”. Appunto, il reddito di cittadinanza attiva, che si rivela così perfino coerente con le più lucide visioni di mercato e liberiste, beninteso se costruito badando alla libertà degli individui e fondandolo sul lavoro del terzo settore, non di certo sul “paternalismo benevolo” dello Stato, che tanto male ha fatto alla società italiana.


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