Economia & Impresa sociale 

Crollo del Rana Plaza: coinvolta Benetton

Dopo la smentita ufficiale, l'amministratore delegato ammette: nell'edificio crollato una ditta locale aveva prodotto direttamente per l'azienda fino a un mese fa, e continuava a lavorare in subappalto. Decisive le foto di indumenti firmati tra le macerie

di Gabriella Meroni

C'è anche l'italiana Benetton tra le aziende che facevano lavorare gli operai tessili morti nel crollo del Rana Plaza, l'edificio di nove piani collassato a Dacca, in Bangladesh, lo scorso 24 aprile e dal quale sono stati estratti finora oltre 900 morti.

A rivelare la connessione tra l'edificio messo sotto accusa per le condizioni di lavoro disumane e la struttura fatiscente è lo stesso amministratore delegato di Benetton, Biagio Chiarolanza, intervistato dall'Huffington Post USA. Secondo quanto dichiarato dal manager, Benetton ha acquistato un lotto di 200mila t-shirt dalla ditta locale New Wave Style, che aveva sede proprio nel Rana Plaza. Al momento del crollo, tuttavia, l'azienda italiana non si riforniva più dalla New Wave da circa un mese, mentre un altro fornitore di Benetton aveva continuato ad acquistare merce dalla ditta del Rana Plaza. Gli ordini in corso da girare poi a Benetton al momento del crollo erano due, ha confermato Chiarolanza.

Il fornitore ufficiale – è la ricostruzione dell'Huffington Post che cita una fonte anonima – avrebbe avuto dei problemi a rispettare gli accordi, e avrebbe quindi subappaltato parte del lavoro alla New Wave e ad altre ditte locali. "Benetton aveva sospeso i contatti diretti con la New Wave da un mese", ha spiegato il manager, "perché non poteva garantire gli standard qualitativi e di efficienza che richiediamo ai nostri fornitori".

Quindi, riassumendo: Benetton aveva smesso solo un mese prima di ritirare direttamente merce dal Rana Plaza, ma continuava a ricevere articoli fabbricati nel palazzo maledetto grazie a un subappalto. In totale, sempre secondo quanto affermato da Chiarolanza (oltre che documentato da alcune carte pubblicate dal Wall Street Journal), Benetton aveva commissionato alla New Wave 200mila t-shirt, prodotte tra dicembre 2012 e gennaio 2013. "Un ordine decisamente piccolo" per Benetton, che comunque specifica che le magliette prodotte al Rana Plaza sono state poi spedite da Dacca in tutto il mondo, ed è impossibile localizzare in quali negozi siano arrivate.

Per Benetton si tratta di una marcia indietro clamorosa: poche ore dopo il disastro, un comunicato ufficiale dell'azienda aveva smentito categoricamente che nel palazzo crollato si producessero articoli del marchio, salvo poi essere smentita dalle fotografie scattate dall'Associated Press che il 29 aprile documentarono articoli con etichetta Benetton sparsi tra le macerie. L'azienda allora ammise di aver commissionato "un solo singolo ordine" a una azienda con sede al Rana Plaza, aggiungendo che un fornitore aveva "talvolta subappaltato il lavoro" alla stessa azienda.

A sua difesa Benetton ha portato le enormi dimensioni della propria produzione: l'azienda è attiva in 120 paesi del mondo e lavora con 700 aziende tessili; in Bangladesh vengono prodotti dal 2 al 4% degli articoli del gruppo, mentre la gran parte viene dalla Cina. Comunque nessuna procedura di audit era stata mai condotta da Benetton sull'azienda con sede al Rana Plaza, secondo Chiarolanza "perché lavorava con noi da pochissimo tempo". Tra i marchi coinvolti nella tragedia c'è anche la spagnola Mango, che pure ha ammesso di rifornirsi da aziende del Rana Plaza e di non aver mai condotto ispezioni all'interno dell'edificio per accertarne le condizioni di lavoro e di struttura (il palazzo era stato costruito senza le dotazioni di sicurezza previste dalla legge).

E pensare che anche il Dipartimento di Stato americano aveva fatto sapere, il giorno dopo la tragedia, che «alcune società che lavoravano nello stabile sembrano avere legami con numerose imprese negli Stati Uniti e in Europa e noi continueremo a discutere con queste imprese del modo in cui possono migliorare le condizioni di lavoro nel Bangladesh». Secondo la stessa fonte, non c'è solo Benetton ad avere partner commerciali al Rana Plaza, ma nella lista figurano anche la Itd Srl, o la Pellegrini Aec Srl e la De Blasio Spa. Un'altra ditta, la Essenza Spa, che produce il marchio Yes-Zee, ha confermato di essersi rifornita al Rana Plaza, dove le mani delle donne bengalesi si prodigavano per le multinazionali occidentali per soli 28 euro al mese. tra i marchi europei hanno ammesso il loro coinvolgimento le inglesi "Primark" e "Bon Marche", le spagnole "Mango" e "Corte Ingles", la canadese "Joe Fresh". Tutte le grandi marche coinvolte hanno già annunciato risarcimenti a favore delle famiglie coinvolte negli incidenti del tessile, mentre l'ammissione di Benetton è solo di oggi.

Da tempo Benetton è mantenuta sotto osservazione dai gruppi che si occupano di tutela dei diritti dei lavoratori del tessile. In particolare già alcuni giorni fa la campagna Abiti Puliti aveva affermato di avere le prove di un coinvolgimento di Benetton nella tragedia del Rana Plaza, ma le rimostranze dell'organizzazione non avevano trovato molto spazio sui media (e per la verità non lo trovano neppure oggi, a seguito delle ammissioni di Benetton) e neppure si erano alzate voci decise dalla società civile.

Tra le richieste che Abiti Puliti avanza nei confronti del gruppo con sede a Treviso c'è quella di entrare in contatto con Abiti Puliti e i sindacati locali a Dacca per fornire supporto alle vittime della tragedia; contribuire al fondo di risarcimento per le famiglie delle vittime e per i feriti; firmare il Bangladesh Fire and Building Safety Agreement, un programma di azione che include ispezioni indipendenti negli edifici, formazione dei lavoratori sui loro diritti, informazione e revisione delle norme di sicurezza per rimuovere le cause che rendono le fabbriche del paese insicure se non rischiose per migliaia di lavoratori.

 

Nella foto AP, un indumento con etichetta Benetton ritrovato tra le macerie del palazzo crollato a Dacca


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