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Con la cultura si mangia. E noi ve lo dimostriamo

Sul numero di questo mese una sorprendente inchiesta sulle imprese giovanili che puntano su creatività e patrimonio artistico. Un fenomeno con dimensioni in crescita e capace di coniugare campetenze intellettuali e coesione sociale

di Giuseppe Frangi

Un Colosseo nel piatto, una torre di Pisa come bicchiere. Nell’immagine della copertina del numero di luglio di Vita (firmata anche questo mese da Francesco Poroli che potete vedere in alto sulla destra) si sintetizza la grande domanda a cui abbiamo tentato di rispondere: la cultura oggi può essere una prospettiva di lavoro per un ragazzo in cerca di un suo fututo?. Sappiamo che Giulio Tremonti, con tono un po’ sprezzante, aveva sentenziato che con la “cultura non si mangia”. Ma alcuni indizi fanno pensare che l’ex ministro dell’Economia non avesse presente quel che in realtà sta avvenendo nel nostro paese. In questi primi mesi del 2013 infatti abbiamo assistito ad un fenomeno sorprendente: ai bandi lanciati da alcune fondazioni per sostenere la costituzione o il consolidamento di imprese giovanili che hanno puntato sulla cultura, si sono presentati centinaia e centinaia di candidati, travolgendo le più rosse previsioni. Ogni progetto presentato coinvolgeva ovviamente ben più di un giovane, e la gran parte ha dimostrato un tasso di innovatività che dimostra la forza di questi stessi progetti. Nell’inchiesta che trovate sul numero del magazine in edicola da domani si raccontano tante esperienze di imprese in crescita; e tanti protagonisti raccontano e spiegano la crescita di questo fenomeno.

Non è un caso che tutti i bandi, a partire da quello delle Fondazioni ex bancarie, fUNDER35, si caratterizzino per un salto di qualità: non si premia più il miglior progetto, ma le migliori idee di impresa. Cioè si punta a incoraggiare investimenti che mettano radici e che garantiscano non visibilità momentanea ma occupazione duratura.

Certo restano aperte tante questioni, a cominciare da una facilitazione normativa che sarebbe essenziale; ma manca in Italia anche uno statuto dell’impresa culturale, a cui il legislatore sta lavorando e su cui di devono stringere i tempi. Del resto l’ideatore di fUNDER35, Marco Cammelli (presidente della Commissione per le Attività culturali di Acri, l’Associazione delle Fondazioni) ha annunciato che le Fondazioni stanno preparando un piccolo dossier di misure utili da presentare al governo. «Quella culturale è un’impresa “polisenso” come qualsiasi ente di produzione di servizi. È una realtà matura che va riconosciuta: non è più semplice attività del tempo libero», ha spiegato.

Sono valutazioni che corrispondono alla realtà: infatti uno dei fattori sorprendenti di questo fenomeno è anche la sua capacità di innovazione. Quando si pensa ad un’impresa culturale oggi non si pensa più a un qualcosa che subentri allo stato laddove lo stato non può arrivare. Non ci sono ad esempio proposte per imprese che si professionalizzino nelle guardianie di musei o nel gestirne i servizi. Il profilo delle nuove imprese è molto diverso e cerca di rispondere a domande di un pubblico nuovo o di inventare servizi che non esistevano ma che combinano possibilità di profitto e benessere delle comunità.

Perché l’idea che la cultura sia un giacimento dal quale attingere è un’idea sbagliata quanto quella di chi pensa che con la cultura non si mangi. La cultura è un patrimonio; ma il patrimonio è lettera morta se non viene valorizzato da un investimento umano, se non viene trasformato in esperienza interessante e coinvolgente per gli uomini di oggi. Nel dna di queste nuove imprese c’è proprio la vocazione a rendere vivo il patrimonio, di restituirlo in forme creative alla sensibilità del nostro tempo.
 

 

 


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