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Cooperazione & Relazioni internazionali

Colella: «Cara Kyenge, ecco le priorità per salvare le adozioni»

Continua il dibattito aperto dal servizio di Vita sulle adozioni internazionali. Interviene Anna Maria Colella, direttore dell'unico ente pubblico, l'Arai. Che dice: «i problemi sono ormai strutturali»

di Sara De Carli

Problemi «ormai strutturali», che non possono più essere «rinviati». Primi obiettivi? Ridisegnare la composizione della Cai, incentivare la cooperazione, aumentare la vigilanza. Continuano gli approfondimenti sul tema adozioni internazionali, legati all’ampio servizio sul numero di VITA in edicola. Interviene Anna Maria Colella, torinese, direttore dell’Agenzia regionale per le adozioni internazionali della Regione Piemonte, unica esperienza pubblica in questo campo. Che propone un’idea che farà molto discutere: «un servizio pubblico per le adozioni internazionali delle Regioni».

Quali sono le principali criticità del sistema adozioni internazionali oggi in Italia?
In un periodo di grandi difficoltà sentiamo tutti la necessità di sostenere la volontà di quelle famiglie che vedono nell’adozione di bambini in stato di adottabilità il compimento del loro progetto di genitorialità. Purtroppo l’adozione internazionale, ricca di significati e valenze sociali, è afflitta da problemi ormai strutturali, tali da non essere più opportuno rinviarne l’analisi e valutare proposte di soluzioni.
Cosa è necessario fare?
Sicuramente è necessario a livello nazionale promuovere e incrementare i rapporti europei con intensi e costruttivi confronti sulle alcune tematiche d’interesse comune. È necessario avviare un più stretto confronto con le amministrazioni regionali perché adeguino linee di intervento ed organizzazione delle équipe psicosociali che operino nel settore delle adozioni alla luce del nuovo scenario internazionale. Va ridisegnata la composizione della Commissione per le adozioni internazionali in modo tale da permettere decisioni a livello centrale in modo più rapido e incisivo e attivando confronti con tutti quei soggetti che possono dare un grande apporto alle decisioni delle strategie in termini di buone pratiche ed esperienze senza che necessariamente facciano parte dell’Autorità centrale.Va sicuramente incentivata la cooperazione per contrastare l’abbandono dei minori nei termini di collaborazione tra enti, in modo che diventi veramente e sempre di più una “cooperazione paese” e non una cooperazione dei singoli enti. Un altro obiettivo importante deve essere quello della vigilanza della Cai sull’operato degli enti in Italia e all’estero, che dovrebbe essere rafforzata.

Anna Maria Colella, direttore Arai


Cosa muoversi invece sul fronte culturale, per non perdere quel grande patrimonio di disponibilità dell’adozione internazionale che fa essere l’Italia il secondo paese al mondo per adozioni?
È necessario un ulteriore impegno di formazione su temi che finora sono stati poco affrontati a livello di coppia, e un concreto impegno di tutti i soggetti coinvolti in particolare nella fase della proposta di abbinamento, per aiutare la coppia a valutare – se possibile anche con la collaborazione degli esperti territoriali – l’effettiva e concreta capacità di accoglienza di un bambino o più fratelli con specifiche caratteristiche “special needs”, per poi predisporre un progetto di accompagnamento nella fase di post adozione quando si manifestano esigenze di inserimento scolastico o altre problematiche. Tra le iniziative che Arai sostiene c’è la gestione di un numero verde, “ADOZIONI IN RETE” che fornisce una consulenza pedagogica rispetto all’accoglienza del bambino adottato, oltre che informazioni in merito al mondo dell’adozione.
La diminuzione dei numeri delle adozioni impone un ripensamento del modello di enti autorizzati, anche in ragione di una loro sostenibilità economica? In che direzione andare?
La presenza di più di 60 enti autorizzati iscritti all’Albo mette in difficoltà le coppie nella loro scelta per il conferimento di incarico in quanto ritengono difficile districarsi e decidere “a chi affidarsi), e considerata la diminuzione del numero delle adozioni realizzate negli ultimi anni da ciascun ente in ciascun paese, questo può essere una causa di aumento di costi sia per i servizi resi in Italia che nei servizi all’estero. Vorrei chiarire subito però che non penso affatto che solo gli enti autorizzati dai grandi numeri devono essere presenti nella realtà italiana: esiste in questo settore prima di tutto il problema dell’etica, della trasparenza, della competenza dei professionisti e della qualità dell’accompagnamento. Una riorganizzazione degli enti e delle autorizzazioni ad operare in paesi stranieri può significare una possibilità in più di avviare un percorso, compatibilmente con le poche risorse a disposizione, di sostegni pubblici per la preparazione e la formazione delle coppie in Italia.
L’esperienza di ARAI come ente pubblico ad oggi è un unicum, peraltro anche con numeri non particolarmente elevati. Cosa ci ha insegnato?
La normativa nazionale sulle adozioni internazionali ha affidato alle regioni la possibilità di istituire un servizio pubblico per le adozioni internazionali. Tale opportunità è stata colta dalla Regione Piemonte dal 2004 ed è stata un’ottima scelta per la qualità che si può dare negli interventi per la vicinanza delle coppie. Il limite è il fatto che l’ARAI può prendere in carico coppie di altre regioni soltanto se con queste convenzionata, e quindi non è stato facile per i primi otto anni di vita del servizio avere la disponibilità di coppie, ad esempio, disponibili ad accogliere fratelli. Al giorno d’oggi non è più pensabile l’attuazione della legge che ipotizzava la creazione di singoli servizi regionali, perciò la collaborazione tra regioni è indispensabile. Partendo dalla necessità, e dalle richieste delle coppie stesse, di mettere a disposizione delle coppie nella loro regione servizi pubblici specializzati, stiamo sviluppando un percorso per ampliare la presenza di ARAI in più Regioni.
Dove?
Grazie alla stipula di apposite convenzioni l’Arai garantisce i propri servizi anche alle coppie della Liguria, Valle d’Aosta e Lazio e a breve anche a quelle della Calabria. Sarebbe auspicabile giungere in Italia – dal basso con competenze e professionalità regionali – ad “un servizio pubblico per le adozioni internazionali delle Regioni”. Al fianco degli enti privati, non in concorrenza, ma tanti enti autorizzati che ci conoscono bene, queste peculiarità le conoscono e ci sostengono. In questi anni abbiamo realizzato 64 progetti di formazione in 14 paesi, formato 3000 operatori nei paesi stranieri.
Per realizzare più adozioni?
Direi di no, visti i numeri. Sicuramente per promuovere con trasparenza e competenza insieme a tanti altri enti, Cai in primis, la cultura dei diritti dei minori.
 


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