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Aldo Nove: «Ci stiamo giocando l’Italia»

In "Bingo Italia" lo scrittore mette in scena la realtà allucinata di un malato di slot, simbolo di un Paese sempre più fragile e disperato. L'unica via di scampo per questa povera Italia è il Punto Snai? L'abbiamo chiesto allo scrittore.

di Mattia Schieppati

Bingo Italia è il romanzo breve di Aldo Nove («scritto per rispondere a un'urgenza che sento, che vedo, che vivo», dice) uscito in ebook a inizi luglio, nella collana di "corsivi" del Corriere della Sera. È un percorso in bilico verso il “cuore di tenebra” dell’annullamento da videolottery, dove il gioco patologico è la causa, o forse la conseguenza, di una vita che ha perso la bussola. Sfaldati i rapporti interpersonali, crollate le speranze, sparita quella rete minima di solidarietà costituita dal tessuto umano della via in cui Maurizio, il protagonista, abita.

Aldo Nove, la “realtà” è il primo concetto che il monologo del tuo personaggio affronta e fa a pezzi. «C’è troppa realtà. Ovunque vai, c’è realtà. A volte penso che questa realtà è come una chemioterapia. Entra nel tuo corpo, per guarire il tuo corpo, uccidendo sia le cellule malate sia quelle sane», dice. Perché questo stordimento da realtà?
Perché per anni abbiamo inseguito la realtà, non la verità. E ora, finalmente, siamo nella realtà. Immersi completamente nella realtà. Non c'è altro spazio che non sia la realtà, non è rimasto margine per il sogno, che è l'elemento che ci proietta oltre la realtà. È finita anche quella parte di sogno più vicina alla realtà che erano le ideologie, che almeno davano la possibilità di costruire un progetto. Le due chiese, quella comunista e quella democristiana, avevano una prospettiva messianica, un’idea di futuro da portare nella realtà: andiamo in questa direzione, dicevano, ciascuna per la sua parte, perché è giusto, perché è meglio, perché lo vuole Dio, perché lo vogliono i lavoratori… Giusto? Sbagliato? Non lo so, ma so che adesso non c'è più nemmeno questo, non abbiamo più una prospettiva che non sia quella della sopravvivenza individuale, quotidiana. Così l’unico scarto potente dalla realtà lo dà la macchinetta del bar. Dove sei solo, con l’astrazione dei numeri, e hai un sogno: vincere. Perché anche se continui a perdere, sogni di vincere. È uno spazio in cui la realtà che fino a poco fa ti soffocava si annulla. E stai bene. Maurizio sta bene, è felice. Non gli interessa più di costruirsi una vita, perché può vincerla.

E come fa a costruirsela, da disoccupato? La fuga nel gioco è una delle conseguenze della crisi economica?
A un certo punto, Maurizio dice: «Quando ero più piccolo volevamo emanciparci dal lavoro. Adesso ci siamo riusciti ma ancora nessuno è contento. Non siamo mai contenti di nulla». È paradossale, ma è vero. La mancanza di lavoro ti nega la possibilità di lavorare per l’emancipazione dal lavoro. Di guadagnarti spazi di libertà che siano altro dal lavoro. Se all'uomo manca il lavoro gli viene a mancare una forma attraverso la quale definirsi, e questo sballa ogni prospettiva di pensiero, ogni equilibrio. Se tu nella tua giornata, nella tua settimana, hai un tempo destinato alla produzione e un tempo destinato alla liberazione, quel tempo che non è produzione è un tempo tuo. Lo senti, lo assapori, lo vivi. Se invece – e questa è la condizione di tanti – si parte dal fatto che non hai soldi, non hai prospettive di lavoro, e questo succede da un mese, da due mesi, da un anno, da anni, il tuo pensiero diventa quello. Oggi c’è un sacco di gente che non sta facendo nulla, eppure non ha mai tempo. Perché tutto ciò che non è dedicato a colmare quest’ansia è tempo vuoto, non è tempo libero. Il Punto Snai è una fuga atemporale da tutto questo, è un tempo in cui ti metti tra parentesi. È un’astrazione dalla complessità, e ti chiudi in uno spazio simbolico, schematico, e guardi i jolly, le pere e le ciliege che girano. Ore, giorni, ma non è tempo sprecato. Perché puoi vincere da un momento all’altro. E non avrai più il problema di trovare un lavoro. Sarai libero.

Maurizio dà una lettura spietata del mondo dell’informazione. Guarda il telegiornale e lo colpisce il fatto che «c’è un servizio sulla crisi, e sotto scorrono i titoli su un matto che ha ammazzato la famiglia, oppure c’è un servizio sul matto che ha ammazzato la famiglia, e sotto scorrono i titoli della crisi». Un’informazione che non informa, piatta, che “vomita realtà” senza riflessione, senza pietà, senza pudore…
È così, purtroppo. Mi inquieta, mi dà una grande tristezza questa gente che si ammazza perché non riesce a pagare il mutuo, o perché Equitalia si presenta alla porta. Sono drammi, singoli drammi umani, ma se li si analizza con sguardo un po’ distaccato – come fa Maurizio nel suo racconto – se si esce dal dramma del suicidio, si vede che c'è qualcosa che non va a livello di valori. Non ci si ammazza per il mutuo. Il mutuo non è un motivo abbastanza degno per ammazzarsi. Ho più empatia con chi si ammazza per amore, quello sì è un motivo grande, universale. Suicidarsi per Equitalia è l'atto estremo di una vita in cui manca tutto il resto, è la conseguenza – che in alcuni basta un nulla perché diventi dramma – dello stordimento complessivo in cui abbiamo vissuto negli ultimi 20 anni. Una vita da drogati, da ubriachi, al di sopra delle nostre possibilità, inseguendo e costruendoci ideali iniqui, e che proprio in quanto iniqui da un momento all'altro sono svaniti. E ora che cosa ci troviamo in mano? Niente, niente cui aggrapparci, e allora ti aggrappi alla leva della slot machine. E se ti scivola la mano anche da lì, ti ammazzi.

A Maurizio, come dice nell’avvio della sua confessione allucinata, piacciono tre cose: la realtà, Enrico Letta, il Punto Snai. Che c’entra Enrico Letta, in questa triade?
C’entra, nel senso che è centrale. Credo sia significativo il fatto che non ci sia mai stata una figura politica così insignificante nella storia del nostro Paese. L’unico precedente che mi viene in mente è quello di Giovanni Goria, altro giovane Presidente del Consiglio di transizione, che il vignettista Giannelli disegnava sul Corriere senza faccia. Ora, se possibile, la faccia di Letta è ancora più invisibile. Letta è la raffigurazione di quell’idea per cui non bisogna essere “divisivi”, non bisogna esserlo in nessun campo, e tanto meno in politica. Il che è un assurdo. La pretesa delle larghe intese in politica, a maggior ragione nella vita, significa una paralisi delle idee, una rinuncia della volontà. Che mondo è quello dove si va tutti d’accordo non perché si trova un accordo, ma perché si rinuncia al proprio specifico di umanità? E poi d’accordo in base a cosa, verso che cosa? Vuol dire votarsi al nulla. Ecco, Enrico Letta rappresenta il nulla. In questa fase critica della politica va bene lui, va benissimo, è di sicuro il migliore tra i rappresentanti del nulla, però deve essere una fase circoscritta.

L'intervista completa è pubblicata sul numero di settembre di Vita, in edicola e in abbonamento.
"Bingo Italia" può essere scaricato dai principali book store, al costo di 1,79 euro.


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