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Education & Scuola

Cattedra addio. Ora c’è il touch screen

Il Fermi di Mantova è uno dei pochi istituti che sperimenta quest'anno l'aula 3.0. Spazi e strumenti ad alto contenuto tecnologico, studiati dal MIT, che facilitano l'apprendimento attivo. Ora tocca ai prof "svecchiarsi"….

di Sara De Carli

Se ci si pensa bene, la scuola è forse l’unico luogo sociale rimasto immutato da secoli. Tutto fuori è cambiato, ma la scuola come spazio fisico è identica a se stessa, separata da ciò che la circonda: lunghi corridoi, banchi in file parallele, qualche laboratorio in cui è confinata quella piccola parte di sapere per cui si ammetteva che il libro di testo da solo non bastasse. Non è sempre stato così, basta cercare nella memoria qualche ricordo dei peripatetici, di Platone e di Aristotele, ma da quando è tramontata l’epoca delle botteghe, le nostre scuole sono sempre state strutturate attorno al libro e al sapere simbolico. Se oggi però il protagonista dell’apprendimento deve davvero diventare l’alunno, quelle vecchie aule con i banchi in fila e la cattedra appoggiata sul piedistallo rialzato sono il simbolo di una contraddizione. Riflessioni, progetti ed esperienze ce ne sono: il problema sono i soldi.

L’aula del futuro? Sarà uno spazio policentrico, senza cattedra, con postazioni interattive, modulari e riaggregabili in maniera diversi a seconda delle attività. La scuola stessa dovrà avere ampi spazi per il confronto e la collaborazione, alternare zone di relax a postazioni per lo studio personale, pensata per stare aperta per tempi molto più lunghi di quelli attuali.

Una manciata di scuole in Italia ha già queste aule 3.0, in un progetto che vede coinvolti l’Indire, il Massachussets Institute of Technology (Mit) e European Schoolnet: l’istituto Fermi di Mantova (1.800 alunni per due indirizzi, Istituto Tecnico Settore Tecnologico e Liceo Scientifico delle Scienze Applicate, con tanto di test d’ingresso) è uno di questi. Ha inaugurato a marzo la sua prima aula Teal e durante l’estate ne ha attrezzate altre dieci. «Non possiamo aspettare di muoverci solo quando ci sono i soldi del Miur: hanno contribuito i genitori, moltissimo Regione Lombardia, qualche azienda del territorio… Noi dirigenti dobbiamo imparare a fare fundraising», dice la dirigente Cristina Bonaglia.

Così se ogni classe del Fermi ha Lim e wifi, ciascuna delle nuove aule ha quattro videoproiettori, quattro schermi, quattro lavagne tradizionali, in modo che ogni gruppo di lavoro – come pure ogni singolo alunno – possa proiettare e interagire con tutti.
E al posto della cattedra? C’è un maxi touch screen. «L’obiettivo non è la tecnologia in se stessa ma creare un ambiente funzionale a un apprendimento attivo. I ragazzi oggi sono abituati ad apprendimenti personalizzati, indipendenti dal docente, al problem solving, all’apprendimento top-down e lavorano molto bene in équipe. Lo spazio non può essere neutro rispetto a tutto ciò. La quarta meccanica dell’anno scorso era difficilissima, nell’aula Teal hanno ritrovano il loro ambiente, si sono trasformati. Si introduce la tecnologia perché è cambiata la didattica o per cambiare la didattica? Direi la seconda, anche se i prof stessi spesso sono imbrigliati in strutture vecchie».

Al Fermi così hanno smantellato il nesso aula-classe e l’aula è diventata un piccolo condominio dove tre o quattro docenti della stessa disciplina aspettano i ragazzi: «Il passo successivo è quello di andare anche oltre al gruppo classe, permettendo di lavorare con il cooperative learning per livelli di apprendimento, in sottogruppi di classi diverse, per progetti», dice la dirigente. L’anno scorso l’hanno sperimentato con sei prime, che su italiano, matematica e inglese avevano un’ora alla settimana in comune. Il progetto si chiama No w@ll class, che è pure una buona sintesi di come dovrà essere la scuola del futuro. Senza muri, in ogni senso. Così che tutti possano starci dentro. E starci bene.


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