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Le fondazioni e la loro governance. Uno studio

Presentato oggi a Roma, nella sede di Acri, il volume “La governance delle fondazioni: leader al servizio della filantropia”, opera di Fabrizio Cerbioni e Giacomo Boesso, frutto di un'accurata ricognizione sul campo

di Redazione

Le problematiche di governo di istituzioni quali le fondazioni rappresentano un punto di riflessione fondamentale. Basti pensare che dirigere e amministrare una fondazione comporta le medesime difficoltà che affronta un imprenditore nella conduzione della propria impresa o un amministratore delegato nel gestire una società quotata. Criticità sorgono inoltre a causa della scarsa misurabilità dei risultati prodotti da progetti sociali di lungo respiro finalizzati al contrasto di specifiche situazioni di disagio o carenza (culturale, sanitaria, artistica, etc.) sul territorio o sulla fascia di popolazione obiettivo.

Interessanti sputi di riflessione sul tema lo offrono Fabrizio Cerbioni, professore ordinario di Economia aziendale all’Università degli Studi di Padova, e Giacomo Boesso, professore associato alla stessa cattedra, con il volume “La governance delle fondazioni: leader al servizio della filantropia” (McGraw-Hill editore), scattando una fotografia del modello di governo a oggi adottato dalle principali fondazioni italiane, a valle di un’accurata ricognizione sul campo.

Alla presentazione del volume, oggi a Roma, nella sede dell’Acri-Associazione di Fondazione e di Casse di Risparmio Spa, insieme agli autori hanno partecipato il viceministro dell’Economia e delle Finanze Stefano Fassina, il presidente di Assifero Felice Scalvini, il presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti (nella foto). A coordinare il dibattito Riccardo Bonacina, direttore del mensile del non profit Vita.

Dal lavoro di Boesso e Cerbioni emerge che è necessario che le fondazioni siano dotate di risorse e competenze adeguate, ma anche di processi e meccanismi di governo efficaci. Qualità, competenza e adeguatezza dei meccanismi di funzionamento dei consigli di amministrazione rappresentano condizioni necessarie per garantire l’efficacia e l’efficienza del loro operato.

«Se nel Cda c’è capitale umano di qualità questo apprende alla svelta e può muoversi con successo anche su iniziative mai sperimentate prima nella propria vita professionale», afferma Cerbioni. «Studi anglosassoni ci dicono che il board che funziona è quello che “regala” o “investe” più ore al di fuori delle riunioni degli organi nell’affiancare i livelli operativi. Senza sostituirsi ad essi ma indirizzandoli e consigliandoli nell’implementazione dei diversi progetti»
Boesso aggiunge che: «Per quanto riguarda in particolare le Fondazioni di origine bancaria il nostro studio evidenzia che esse sono attori filantropici insostituibili nel nostro contesto e di assoluta rilevanza nel panorama europeo. Lo sforzo profuso nell’autoregolamentazione della governance per consentire la formazione di organi di governo “proattivi” (al servizio della Fondazione e in grado di anticipare eventuali criticità imparando dal proprio vissuto) è la strada da perseguire con sempre maggiore forza. Un buon Cda è un asset di enorme valore, l’unico in grado di garantire un’ottima resa “sociale” dei propri patrimoni. Un buon Cda, tuttavia, si coltiva nel tempo, mappando i profili necessari e mettendoli al lavoro».

I due autori approfondiscono il tema considerando quasi 150 variabili utili a rilevare l’attitudine degli organi delle fondazioni a perseguire adeguatamente i profili strategici della gestione secondo criteri di efficacia e di efficienza. Ne emerge un quadro variegato, non riconducibile alla diversa natura delle fondazioni o a elementi di natura dimensionale o territoriale, che evidenzia come, a prescindere dall’origine e dalla strategia di ogni fondazione, un Cda aggiornato sulle tendenze nel non profit, organizzato in sottocomitati interni di lavoro e supportato da strumenti di controllo sulla gestione sia sempre, in media, in grado di migliorare le prestazioni della fondazione.

Il volume di Boesso e Cerbioni è il primo a mettere chiaramente a fuoco il ruolo svolto dagli amministratori nel caratterizzare il modello gestionale di una fondazione e la sua capacità di adattarsi, a fronte di modifiche nelle strategie perseguite, per centrare gli obiettivi sociali auspicati. Esso dimostra che in una fondazione convivono la necessità di rappresentare democraticamente i cittadini e quella di coinvolgere gli stakeholder, cooptare nei Cda le competenze specialistiche necessarie per investire al meglio il patrimonio fondante, mettere ogni amministratore concretamente al servizio della fondazione e che, soprattutto, non esiste una “ricetta” a priori per combinare al meglio i diversi ingredienti, ma che questa sia funzione della strategia sociale che la fondazione vuole implementare, la quale può variare dal mecenatismo classico alla filantropia strategica.
 


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