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Senso civile contro infantilismo

Sono in corso i lavori di ArtLab2013 a Lecce, un laboratorio innovativo di riflessioni e strategie. Il testo dell’intervento del direttore di Vita Giuseppe Frangi

di Giuseppe Frangi

Territori, cultura, innovazione. Sono le tre parole chiave di ArtLab2013, in corso a Lecce in questi giorni. Per affrontarle bisogna partire da una ammissione sincera: oggi viviamo un grave ritardo nella connessione tra queste tre categorie, perché prevale una visione utilitaristico strumentale che riporta a dinamiche, che per quanto generose, sono ancora novecentesche. Sono tre categorie che, per quanto dialoghino, non hanno ancora trovato una connessione vera tra loro.

Quali sono i nodi non risolti o non affrontati che restano sul percorso? Il primo è il rapporto con il passato. Quando si dice territori e quando si dice cultura, significa far riferimento a situazioni in cui – in un paese come l’Italia – la storia passata gioca un ruolo decisivo, volenti o nolenti. Il patrimonio è fattore materiale imprescindibile, e altrettanto si può dire per la cultura che l’ha generato e che ne è scaturita. Il passato oggi viene vissuto come situazione appaltata o agli specialisti o alla burocrazia culturale. Questo a causa un deficit gravissimo nella formazione collettiva (l’aver premiato crocianamente la filosofia rispetto alla storia dell’arte nel sistema scolastico italiano ha generato questo grave scollamento). Io credo sinceramente che nel percorso di riconnessione tra passato e presente, debba giocare un ruolo fondamentale, che è civile prima ancora che culturale, una centralità della storia dell’arte. Lo si è visto recentemente nel caso dell’Aquila, dove la più intelligente e strutturata modalità di affrontare il tema del centro storico come solo luogo genetico della futura possibile convivenza, è stata proprio quella di mille storici dell’arte mobilitatisi il 5 maggio scorso. L’insostituibile funzione civile della storia dell’arte è quindi la prima scommessa sulla quale insistere: è lì che si approfondisce la consapevolezza di cosa sia cultura in rapporto a un territorio, premessa indispensabile per elaborarne versioni innovative, frutto di una dimensione di appartenenza ritrovata e non di strategie di marketing.

Il secondo punto che volevo toccare riguarda il tema della cultura come luogo esperienziale. Oggi la cultura è finita ai margini anche perché la sua portata esperienziale è stata ridotta allo svago, cioè alla divagazione, che non ha nessi con le domande e ai bisogni che toccano la vita. La cultura è intrattenimento, spesso anche quando si configura come impegnata. È infatti una trappola in cui è caduta spesso anche tanta cultura impegnata (mi riferisco ad esempio a certe derive in cui a volte cade l’arte contemporanea, trasformata in una sorta di luna park per adulti colti). È una cultura che io definisco “distrattiva”. Nel suo decalogo sulle tattiche con cui il capitalismo esercita il suo controllo sociale sul mondo, Noam Chomsky, ne inseriva una che mi ha sempre fatto pensare: è il processo di infantilizzazione e di puerilizzazione degli individui. L’esperienza come ha detto Mario Perniola, è un’altra cosa: è un’istanza etico-estetica verso il miglioramento incessante di se stessi, che attribuisce la massima importanza non a ciò che uno è (questa è appunto la tentazione puerilizzante) ma a quello che uno vorrebbe e dovrebbe essere. Il nesso tra territorio e cultura è un nesso vitale se quest’aspirazione indiviudale diventa un’aspirazione condivisa. Così la cultura può rimettere in movimento dei veri processi sociali.
 


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