Economia & Impresa sociale 

Le Bcc in assemblea. 20 anni da record. Ora il rischio Europa

A 20 anni dall’adozione del testo unico i numeri confermano che l’eccezione identitaria funziona. Intervista al direttore Generale Sergio Gatti: «Ma le norme europee puntano a omologarci. Lo diremo al premier Letta»

di Giuseppe Frangi

Vent’anni di una storia tutta in crescita, dove la crescita del giro economico ha corrisposto ad una crescita delle persone e dei territori. L’assemblea di Federcasse che si tiene domani alla presenza del presidente del Consiglio Letta, arriva a 20 anni dall’adozione del Testo unico che ha rappresentato una svolta nella storia delle banche di credito cooperativo. Allora cambiò il nome (prima erano Casse Rurali) e soprattutto si definì un contesto che riconosceva le caratteristiche “distintive” del sistema. Su questo riconoscimento le Bcc hanno costruito una storia di crescita, complementare a tutto il resto del sistema. Sergio Gatti, alla vigilia dell’Assemblea, ha fatto con Vita.it un rapido bilancio. E ha tracciato le prospettive, in un contesto che con l’adozione progressiva dei tre pilastri delle nuove regole europee (il primo, Basilea 3, che prevede la vigilanza unica, sarà attuativo dal 1 gennaio 1914), si prospetta denso di incognite.

I numeri parlano con grande chiarezza. In questi 20 anni avete vinto la sfida, andando in un certo senso controcorrente, cioè restando fedeli ai territori. Il localismo paga?
Certamente la storia di questi 20 anni insegna soprattutto una cosa: che la fiducia paga. E la crescita del dato dei soci, arrivato a 1 milione 150 mila dai 350mila che erano, parla chiaro. Il fatto di aver conservato gli unici istituti di credito locali in alcune regioni del sud che non avevano più banche loro, è una sfida che ci premiati. Le Bcc si sono davvero affermate come banche di comunità, non solo a livello di principio, ma soprattutto a livello di investimenti: il 95%del credito viene erogato nei territori dove si fa la raccolta. Il secondo segreto poi è la mutualità. La legge ci chiedeva di accantonare il 70% degli utili a riserva indivisibile. Noi  siamo andati oltre quel 70%, scelta che ha portato il sistema ad un patrimonio di 11 miliardi.

Come spiega il fatto che pur dovendo stare dentro griglie rigide, il vostro mercato è tanto cresciuto?
Si spiega con il fatto che la distinvità è un valore in tutti i sensi. Il dato sugli impieghi parla chiaro sull’efficacia imprenditoriale che ha caratterizzato la storia delle Bcc in questi anni: siamo passati da una quota del 3,4% al 7,1%. Una crescita superiore a quella della raccolta, che spiega quanto il sistema sia stato importante per il sostegno del mondo produttivo. Oggi gli impieghi erogati dalle Bcc rappresentano il 22,7% del totale dei crediti alle imprese artigiane e il 18% di quelle agricole: un dato importante quest’ultimo, perché le agricole sono le imprese su cui la crisi ha pesato meno. Senza dimenticare che il 12,3% dei crediti al non profit viene dalle Bcc.

Questo localismo non può essere visto come una chiusura dentro dei mercati a corto raggio? Un mettersi al riparo dai processi di globalizzazione?
Far nascere e far crescere le imprese è la mission tipica delle banche di territorio. Ora questa crescita deve affrontare anche la sfida dei mercati globali. Per questo abbiamo aperto delle rappresentanze in Russia e Brasile e un ufficio a Tunisi, attivo da prima della primavera araba. È un percorso sul quale altri sistemi di banche cooperative europee sono più avanti, ma certo l’accompagnamento alla internazionalizzazione è la sfida dei prossimi anni. È una cultura che non è così spontanea nel tessuto imprenditoriale dei territori. Ma le basi sono state messe anche incentivando la costruzione di reti e di distretti.

I prossimi anni sono anche quelli delicatissimi della transizione alle nuove regole europee. Quali rischi vedete?
Soprattutto il rischio è che non tenendo più conto della distintività, si finisca con penalizzare l’aspetto imprenditoriale delle nostre banche. Un aspetto che ha dato i frutti che tutti vediamo. Per questo è importante la presenza del premier Letta, che è sempre stato molto sensibile al problema. A lui diremo quanto questo passaggio è decisivo perché continui la crescita di un sistema tanto prezioso per le economie dei territori. L’eccezione identitaria funziona. In Italia abbiamo il riconoscimento contenuto nell’articolo 45 della Cosituzione, riconoscimento che nei Trattati europei non c’è. La norma omologante ci punirebbe. E impedirebbe di ripetere quelle performance documentate dai numeri questi 20 anni. È quello che diremo a Letta.


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