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Villaggio, il non credente che guarda a San Francesco

Nel 2013 Paolo Villaggio recitò il Cantico delle Creature all'interno dello spettacolo "Vita, morte e miracoli". Vita lo incontrò, in un'intervista a tutto tondo. Rimpiange il passato, lo spaventa il futuro: "L'inquinamento atmosferico è sempre più fuori controllo, le Filippine e la Sardegna sono un campanello d'allarme". La riproponiamo nel giorno della scomparsa del comico genovese

di Francesco Mattana

L’ironia è quella di sempre: feroce, esagerata, che non fa sconti a nessuno. Con l’età, però, è emerso un fondo di dolcezza che nei decenni passati era inimmaginabile. Paolo Villaggio ha creato una maschera, Fantozzi, destinata a rimanere nella storia dello spettacolo. Certamente nutre molta riconoscenza nei confronti del ragioniere col baschetto, però rimpiange di non aver gestito la propria carriera in modo più oculato, facendo scelte artistiche più importanti. Superati gli ottant’anni, è tempo di bilanci. L’intervista qui di seguito è un’occasione per fare il punto sui passaggi più importanti della sua vita. Con un occhio – pessimista – al futuro: non si fida dei politici, ritiene che siano interessati esclusivamente al proprio successo. Non impazzisce neanche per papa Francesco, mentre l’ammirazione verso il “giullare di Dio” – a cui Bergoglio si ispira – è totale. Il momento più commovente è quando, nel corso dello spettacolo “Vita, morte e miracoli”, recita il Cantico delle Creature. Lo interpreta con convinzione, con trasporto. Un lato spirituale che colpisce chi lo segue con affetto da molti anni.

Questa intervista appare su internet. Che rapporto ha col web?

«Nessuno. La generazione che va dagli 80 ai 140 anni ha scarsissima dimestichezza anche col telefonino: giusto rispondere e chiamare, gli sms non sappiamo leggerli. I vecchi sono stati tagliati fuori, estromessi da tutto questo modernariato che circola nelle tasche dei ragazzi».

Questo paesaggio la inquieta?

«Più che altro non pensavo che il cambiamento sarebbe avvenuto così velocemente. È un mondo impraticabile per gli uomini della mia età. Non riusciamo a imparare perché c’è una predisposizione negativa nel nostro cervello. Mi spiego: la mente si adatta a un certo tipo di cultura che ha appreso in gioventù. Ai miei tempi c’era il “body-building della memoria”: ricordavamo perfettamente le targhe delle automobili degli amici e i numeri di telefono. Adesso invece, con questi mezzi sbalorditivi, i ragazzi non devono far altro che controllare su internet tutto quello che gli serve».

Ma questo è un bene o un male?

«Non so dire se è un fatto positivo o negativo: so soltanto che mi sembra di vivere in un altro pianeta, addirittura in un’altra galassia. Mio fratello gemello ad esempio –che pure è un professore in gambissima alla Normale di Pisa- non riesce ad accendere la tv. Allora cosa succede? Accadono eventi buffi e tragici al contempo: vai in un albergo, al terzo piano trovi tre, quattro vecchi costretti a dormire per terra perché non sono in grado di maneggiare le chiavi elettroniche. È la verità, non scherzo. Non so stabilire se sia meglio o peggio rispetto al passato, posso dire però con certezza che quella generazione era più brillante nella conversazione. Nessuno oggi è abile nell’uso della lingua italiana come Mario Soldati o Marcello Marchesi, giusto per fare due esempi».

Parliamo di politica. Fantozzi voterà alle primarie PD?

«Senz’altro, Fantozzi è un cittadino modello che non si perde neanche un’elezione. Probabile che abbia le idee confuse su Renzi e Cuperlo, forse metterà una croce dove capita. Io personalmente credo che entrambi siano persone poco attente alle vere priorità, la mia impressione è che l'unico loro obiettivo, dichiarato del resto, sia raggiungere il traguardo della segreteria. Mi chiedo però se mentre si preoccupano per il loro personale successo, pensano anche al fatto che il livello di inquinamento nell'atmosfera è diventato pericolosamente alto: se si continua così New York tra non molto sarà sommersa da un’alluvione e l’acqua arriverà fino a Piazza del Popolo. La tragedia delle Filippine e della Sardegna non sono casuali: è evidente che, a furia di maltrattare il bene più prezioso che è l'ambiente, la natura si sta ribellando. A questo punto ci vorrebbe un intervento forte di Papa Francesco, forse l'unico ad essere in grado di farlo».

Ha una buona opinione di Bergoglio?

«Non troppo. Ha una furbizia naturale che non mi piace. Al di là di questo aspetto caratteriale che non mi convince, io credo che lui potrebbe tornare utile per mettere un po’ d’ordine nella situazione politica mondiale. Dovrebbe far riunire tutti i capi di Stato nella Striscia di Gaza e dire loro: “Signori, ammesso che esista un Creatore, non può che essere uno. Chiamatelo Allah, chiamatelo come volete, ma è inutile scannarsi rivendicando la proprietà del Dio»

Si è sempre definito "ateista convinto". Rimane di questo orientamento?

«Sì, e questo dipende dal fatto che non ho avuto un’educazione religiosa in famiglia. Mi piacerebbe fare una capatina nell’anno 32.000: sono sicuro che tutti gli uomini arriveranno alla conclusione che non è possibile, in un universo fatto di miliardi di galassie lontane anni luce l’una dall’altra, riuscire a capire chi è l’artefice di tutto questo. Ecco perché ad esempio mi infastidiva una certa arroganza di Margherita Hack: quando è capitato di parlare con lei di queste cose ho notato la supponenza di chi pretende di dire l’ultima parola su questioni così complesse»

È per questo che nel suo spettacolo recita il Cantico delle Creature di S.Francesco? Perché si conclude con la parola humilitate?

«Esatto. Lo trovo bellissimo, penso che la Chiesa debba ripartire da lì, dalle parole piene di poesia e umanità del poverello di Assisi».

Ha sempre raccontato di aver conosciuto Berlusconi nelle navi-crociera da ragazzo: lei e De André non riuscivate a catturare il pubblico; l’arrivo del futuro Cavaliere portava invece una ventata di allegria. Qualcuno insinua che il suo sia un aneddoto inventato

«Sì, quella è una storia frutto della mia fantasia. L’incontro è avvenuto molti anni più tardi. È una persona gradevole, questo credo che nessuno possa negarlo. Non ho però mai subito il suo fascino: in generale non mi piacciono i commercianti, sento molta più affinità con chi i soldi li butta via».

Pochi giorni fa ci ha lasciato Marcello D’Orta, l’autore di Io speriamo che me la cavo, da cui è stato tratto un film con lei protagonista

«L’ho incontrato solo una volta, il libro non l’ho letto. Da quel film emerge una Napoli in cui tutti si riscattavano, quasi santa. Era un’immagine edulcorata: in realtà è una città invivibile, devastata dalla camorra e dalla sporcizia».

Si intravede sempre una nota di pessimismo nelle sue parole. L’enorme popolarità dei suoi film non la rallegra?

«No, perché per diventare popolari non c’è bisogno di essere grandi uomini. Mike Bongiorno ad esempio era il più popolare di tutti, ma decisamente non l’ho mai visto come un esempio da emulare. Se nella vita avessi fatto più film d’autore, a quest’ora avrei una popolarità alla Nanni Moretti, che gode della stima del pubblico colto. Per quanto i suoi film non siano a mio avviso dei gran capolavori. Uno che invece era un autentico genio, lui sì da invidiare, era Federico Fellini. Le sue storie erano al di sopra di ogni livello pensabile. Riusciva a ricreare dei mondi con la propria immaginazione. Il passaggio del Rex io lo vidi a Genova, ero bambino. Quando poi dopo tanti anni uscì Amarcord, scoprii che lui era stato in grado di ricostruire, senza averla mai vista dal vivo, quella nave enorme a Cinecittà. Solo un mago poteva fare una cosa simile».

Con Fellini avete girato La voce della luna. È vero che ha deciso di chiamarla perché rimasto colpito da un suo sketch televisivo?

«Sì. Io facevo un programma nelle reti Fininvest, si chiamava Quel fantastico tragico venerdì. Proponevo al pubblico un esperimento: “Quando io vi dico fate un bell’applauso, voi rimanete di marmo. Più io vi dico di mostrare entusiasmo, più voi restate impassibili”. Fellini vide casualmente quella scenetta e mi chiamò: “Paolino, ti sto guardando alla tv: che idea straordinaria che hai avuto, mi hai commosso”. Capite che tipo era Fellini? L’ultima cosa al mondo che potevo immaginare era riuscire a farlo emozionare con una banalità simile. Era imprevedibile. Poi credeva molto nella magia: doveva girare Il viaggio di Mastorna –che parla di un uomo che viene dall’aldilà. Il mago Rol –di cui nei salotti romani venivano raccontate le presunte imprese soprannaturali- gli disse: “Sta attento perché se deciderai sul serio di fare questo film, poi morirai”. Sarà una coincidenza, ma quando poi dopo tantissimi anni si è messo in testa di girare Mastorna con me protagonista, guarda caso è venuto a mancare. Siamo riusciti comunque in parte a dribblare la profezia di Rol, facendo un Mastorna a fumetti coi disegni di Milo Manara».

Lei parla spesso di solitudine, dice di non avere più persone stimolanti con cui parlare. Non potrebbe frequentare i giovani che la adorano?

«È proprio questo il problema, che mi adorano. Come fai a intrattenere una bella conversazione con una persona che ti si prostra davanti dicendo “sei il mio mito, sono cresciuto coi tuoi film”? Sento da parte loro una sottomissione culturale, e questo non mi fa piacere. Le persone più in gamba che ho frequentato purtroppo sono defunte: Vittorio Gassman, Marco Ferreri, Mario Monicelli. E poi il più intelligente di tutti: Ugo Tognazzi. Era un pessimo cuoco ma in assoluto è l’amico che mi manca di più».


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