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La nostra generazione ha una missione: riparare l’Italia

Il 37enne direttore della Domus Academy interviene nel dibattito lanciato dall'ultima copertina del magazine in edicola: «I direttori dei musei vengono scelti da Assessori che li mettono in difficoltà con le loro stesse scelte, mettono in difficoltà tutto un sistema di produzione di qualità. È ora di cambiare marcia».

di Redazione

Tra i modi stupidi di presentarsi a uno sconosciuto, ecco il più stupido e vanesio: ‘sono l’unico scrittore pubblicato da Gallimard negli ultimi dieci anni a fare il manager.’ Il guaio è che è vero. Da un anno circa dirigo una bella istituzione scolastica internazionale, Domus Academy, a Milano, ma nel frattempo ho continuato a fare ciò che fa uno scrittore: pubblicare libri, articoli, produrre pensieri, idee, e immaginare nuovi modi di fare questo mestiere in un’epoca che non stenterei a definire ‘post-letteraria’.

Ma non è di Gallimard, o di letteratura, che vorrei scrivere ora. Bensì di cosa significa essere under 40, oggi, in Italia, e coprire una posizione per così dire ‘di rilievo’. E’ uno stato complicato, anche divertente, di sicuro difficile da maneggiare. Il solo fantasma che va tenuto lontano è quello dell’inazione. Che fa rima con indignazione, ed è uno dei leitmotiv che rendono chiusa e inaccessibile alla mia generazione la stanza in cui si premono i bottoni. Il 2013 è stato tuttavia l’anno di Matteo Renzi, cui si può dire di tutto tranne che abbia mancato di spirito d’azione o abbia sfruttato il facile pedale dell’indignazione. Due anni fa, quando ancora non si poteva davvero immaginare che sarebbe andata così  – che sarebbe diventato segretario del disastrato PD, che avrebbe dimostrato la semplice efficaca del ‘si può fare’ a centinaia di migliaia di miei coetanei – ho partecipato ai lavori della Leopolda, a Firenze, e ho pronunciato queste parole “Credo che oggi – più che d’indignazione – abbiamo bisogno di grandi riparazioni.” Prima di iniziare il progetto di Domus Academy avevo infatti lavorato a Torino a un grande progetto in un bellissimo posto, molto simile alla Leopolda, che si chiama Officine Grandi Riparazioni e il nostro obiettivo era di creare un luogo in cui vengano a vivere, a lavorare le persone più interessanti che lavorano agli obiettivi di produzione di conoscenza pubblica.

Che cos’è la produzione di conoscenza pubblica? È tutto ciò che permette di far avanzare le idee, di far avanzare la bellezza nel nostro Paese, di far avanzare l’innovazione. Sto parlando di Istituzioni come musei, Istituzioni come centri culturali. Le stesse università hanno, in questo momento, un problema che viene sempre tirato fuori dai politici, che è il problema dei tagli. Ora, io credo di ricordare una lettera di Adriano Olivetti, e mai come oggi dovremmo ricordare l’esempio di Adriano Olivetti. Una lettera di Olivetti che dice a Natale ai suoi dipendenti, dice: “quest’anno l’economia è andata male e noi stavamo per chiudere e i miei commercialisti mi hanno detto anche che avrei dovuto licenziarvi. E invece di licenziarvi ho messo sul piatto altri 50 milioni e ho aperto un negozio a New York, ho aperto un negozio a Londra e ho investito. In un anno siamo riusciti a recuperare e siamo diventati l’Olivetti che conosciamo.” Questo nel ’52 lo diceva Adriano Olivetti.
L’esperienza di Adriano Olivetti non è un’esperienza che si può riportare perché il mondo è diventato infinitamente più complesso di com’era allora e comunque è diverso. Io però, credo che quest’idea di una fabbrica che diventa comunità e di una comunità che esprime un’idea in cui la cultura e la produzione di conoscenza sono al centro, credo che questo deve essere veramente il fulcro di ogni programma elettorale progressista che guarda al futuro dei nostri figli.

Nella nostra Costituzione, che spesso si vuole riformare nel modo sbagliato, c’è una parola che manca. Io trovo che la nostra Costituzione sia fantastica – viene studiata in tutto il mondo – però manca la parola “conoscenza”. C’è la parola “istruzione”, c’è la parola “cultura” ma se noi riuscissimo a inserire questa parola “conoscenza” noi potremmo iniziare quel processo di riforme fiscali che permetterebbe ai musei di non chiudere, perché le aziende avrebbero convenienza attraverso la defiscalizzazione a investire nelle mostre, per esempio. Oggi, noi abbiamo un tipo di mecenatismo che è pari allo zero, mentre invece sappiamo benissimo che negli Stati Uniti i lavoratori della conoscenza, i produttori di conoscenza possono veramente lavorare anche grazie ai soldi privati.

Quel che abbiamo provato a fare a Torino era molto interessante: perché avremmo dovuto dotare questa nuova Istituzione di un patrimonio: le rendite finanziarie non rischiose del patrimonio sarebbero servite per mantenere il lavoro di questa Istituzione. Credo che questo dovrebbe essere fatto con tutti i musei, con tutte le Associazioni Culturali del Paese. Ciò non succede perché i politici vogliono dare alle comunità locali prebende annuali e vogliono mantenere queste Istituzioni in uno stato di servaggio da un certo punto di vista. Ecco perché poi i direttori dei musei vengono scelti da Assessori che li mettono in difficoltà con le loro stesse scelte, mettono in difficoltà tutto un sistema di produzione di qualità. Ed ecco perché l’Italia, dal punto di vista di produzione culturale contemporanea, sta prossima allo zero nel mondo.

A Torino è andata relativamente male. Le OGR sono diventate un posto pubblico, aperto a qualsiasi (o quasi) soggetto in grado di affittarlo per eventi concerti e spettacoli. La costruzione è presente, l’istituzione inesistente. Io me ne sono andato a Milano per far fruttare la voglia di produrre conoscenza pubblica, ed è faticosissimo. Ma l’esperienza mi ha lasciato un bellissimo motto, che voglio condividere ora e lasciar germinare, per chi lo desidera: cerchiamo di essere la generazione che ha riparato grandiosamente questo paese.


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