Cooperazione & Relazioni internazionali

Storia di J. e della circolare durata una settimana

La circolare 338 consentiva la deroga di un anno dall'obbligo scolastico per i bambini appena adottati. Dopo una settimana, è stata cancellata. Marita e Lorenzo sono i genitori di J. e sono loro ad aver portato questo bisogno all'attenzione del Miur. Per loro la circolare è arrivata tardi, ma pensavano di aver vinto una battaglia utile per tanti altri bambini. E invece...

di Sara De Carli

J. è arrivato in Italia nell’aprile 2012. Aveva 4 anni e mezzo. È arrivato in Veneto dalla Colombia, dove era stato abbandonato in ospedale alla nascita. A settembre i suoi genitori, Marita e Lorenzo, l’hanno iscritto alla scuola dell’infanzia: «l’inserimento è stato disastroso. Non si trattava tanto della lingua, da quel punto di vista J. ha subito parlato molto bene e di certo non ha mai avuto problemi di comprensione», ricorda oggi mamma Marita.

La storia di J. è quella citata nella circolare 338 del 4 febbraio 2014, che consentiva una deroga all’obbligo scolastico a sei anni per i bambini appena adottati che avessero bisogno di un po’ di tempo in più per stare bene con se stessi e con la loro nuova vita. Circolare che giusto ieri, una settimana dopo essere stata emanata, è stata sospesa dallo stesso Miur. I genitori di J. erano stati i primi a portare il caso davanti al ministero (casi analoghi ce n’erano anche in precedenza, risolti di volta in volta in modo diverso a seconda della sensibilità e delle decisioni dei singoli dirigenti degli Uffici scolastici regionali), facendosi portavoce delle esigenze di tanti bambini adottati e di tante famiglie. La circolare per la prima volta dava una regola univoca e uniforme, anche se – questo deve essere chiaro – non si trattava di un obbligo di deroga per tutti i bambini appena adottati, ma di una possibilità da dare a chi aveva questa esigenza. Si trattava di riconoscere – come ha twittato l’onorevole Milena Santerini, una che di scuola se ne intende –  che la scuola deve «seguire ritmi bambini non viceversa».

Ma torniamo a J.: «In Colombia aveva frequentato pochissimo la scuola, non era in grado di disegnare né di tenere in mano un pennarello perché nessuno glielo aveva insegnato. Insomma, le sue competenze a scuola erano inferiori a quelle degli altri bambini della sua età. Come la gran parte dei bambini adottati J. tollerava malissimo la frustrazione e reagiva con calci e pugni», dice la mamma. Il primo anno passa, ma senza particolari benefici per J.: per i genitori, come pure per i professionisti del CIAI che seguono il loro post-adozione, è evidente che il bambino non è pronto per andare alle elementari, dove il gap di competenze esploderebbe. La famiglia si rivolge ai servizi territoriali, tutti concordano che per il bambino la soluzione migliore è quella di trattenerlo ancora un anno nella scuola dell’infanzia, il Miur però in sostanza dice di no. «L’unica strada era quella della certificazione di disabilità e l’abbiamo percorsa. A settembre abbiamo cambiato scuola, le cose stanno andando meglio, ma ogni mattina io penso a come sarebbe se J. oggi fosse già in prima elementare. Eppure lui non ha una disabilità, ha solo bisogno di tempo per ambientarsi non con il Paese e la lingua, quello è banale, ma con se stesso, con la sua nuova famiglia. Ha il terrore di essere abbandonato un’altra volta, ha bisogno di attenzioni esclusive, è molto concentrato su se stesso, ha bisogno di giocare, dei suoi spazi mentali, non riesce a esaudire delle richieste o a concentrarsi a lungo. Prima o poi imparerà a convivere con questa ferita, è solo questione di un po’ di tempo in più». A settembre infatti J. andrà in prima elementare: «non è ancora pronto del tutto, ma è molto più integrato, i tempi sono più giusti per lui», dice mamma Marita.

Per questo per Marita la circolare del Miur era un passo avanti: per loro non è arrivata in tempo, ma «penso alle altre famiglie. Questa circolare risparmia ad altre famiglie e ad altri bambini la fatica della certificazione e l’incertezza del non avere risposte da dare ai nostri figli», spiega. «Se davvero il Miur facesse retromarcia, sarebbe decisamente negativo».

Paola Crestani è la presidente del CIAI, l’ente che ha seguito l’adozione di J. e che sta accompagnato la famiglia anche nel percorso post-adottivo, inclusa la vicenda della scuola. Paola e Marita sono andate al Miur insieme, la scorsa primavera, per spiegare il bisogno di J. e la richiesta di deroga dall’obbligo scolastico, insieme al CARE, che al tavolo con il Ministero ha lavorato a lungo alla circolare. «L’età media di ingresso in Italia di un bambino adottato è di 5 anni e mezzo, come è documentato dall’ultimo report della Cai sulle adozioni concluse nel 2013. Il bisogno di ritardare l’ingresso nella scuola c’è», spiega Paola. «Alcuni di questi bambini, non tutti, arrivano da esperienze di vita molto deprivanti, hanno alle spalle storie molto faticose. Il loro bisogno è quello di costruire legami con la nuova famiglia, devono poter dedicare tutte le loro energie a questo, che non è affatto un percorso facile. Non si tratta di fare una deroga di un anno per tutti i bambini adottati ma di valutare caso per caso dove questo è necessario per il bambino. Non si tratterebbe certo di una richiesta che i genitori avanzano da soli alla scuola, ma di un’esigenza documentata insieme ai servizi sociali e agli operatori dell’ente autorizzato».

Paola ora è «sconcertata» per «l’incoerenza del Miur», per di più nel bel mezzo del periodo delle iscrizioni: «si è fatto un gravissimo danno alle famiglie», dice. Né capisce l’obiezione della Fish, perché «si sta parlando di situazioni, esigenze e richieste completamente differenti. Io ho grandissimo rispetto per la competenza di Salvatore Nocera nel campo dell’inclusione, mi aspetto da lui un analogo rispetto per gli esperti di adozioni che siedono al tavolo con il Ministero. Trovo francamente scorretto questo intervento in un campo che non è suo. Forse una cosa bisognerebbe precisare nella circolare, che la deroga per i bambini adottati sarebbe di un solo anno, non c’è alcun rischio di quel “parcheggio” di cui parla Nocera. Che poi, me lo faccia dire, trovo quella parola estremamente offensiva, perché non ho mai sentito nessuno genitore adottivo pensare a quell’anno in più alla scuola dell’infanzia come a un "parcheggio" per i propri figli. Si tratta invece di fare la cosa migliore per loro». 


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