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Bcc: le banche di prossimità favoriscono la concorrenza

Il credito cooperativo commenta il rapporto della Commissione Europea sugli squilibri macroeconomici. «Gli estensori dimenticano la peculiare funzione economica e sociale del credito mutualistico»

di Redazione

La Direzione Affari Economici e Finanziari della Commissione europea ha pubblicato il 5 marzo, per 17 Paesi dell'Unione, un occasional paper relativo alle cosiddette “Macroeconomic Imbalances”.

Con riferimento all'Italia, la Commissione ha incluso nel report un focus relativo all’industria bancaria, soffermandosi brevemente sulla nostra struttura creditizia, con riguardo anche al sistema delle banche cooperative che sarebbero, con la propria struttura “frammentata”, nell’attuale contesto di crisi, elemento di debolezza.

Nel merito, il sistema italiano delle BCC dimostra che la cosiddetta “frammentazione” – ovvero la presenza di cooperative bancarie mutualistiche possedute, amministrate e gestite dalle comunità delle quali sono espressione, in quasi metà dei casi da oltre cento anni – non è di per sé sinonimo di debolezza. Sembrano dimenticare, gli estensori del Rapporto, che in Germania esistono ad esempio ben 1.200 banche cooperative, collegate anche esse in rete e con quote di mercato che superano il 20%. Altrettanto si potrebbe dire di altri Paesi della zona euro del Centro-Nord Europa, Finlandia compresa.

La rete sistemica fa sì che le banche di prossimità possano superare i limiti della dimensione. Proprio la rete, insieme alla valenza identitaria, ha consentito alle BCC italiane negli ultimi venti anni di moltiplicare per sette i volumi complessivi di impieghi all’economia reale, di tre volte la raccolta, di 4,5 volte il patrimonio. Sempre la rete, oltre a consentire la necessaria competitività, contribuisce a prevenire e risolvere eventuali situazioni di criticità al proprio interno senza dover ricorrere ad alcun sostegno pubblico (i soci o i depositanti delle BCC non hanno mai perduto una lira o un euro a seguito di situazioni di criticità) non potendo, peraltro – per ragioni normative e scelta identitaria – accedere al mercato dei capitali per rafforzarsi patrimonialmente.

Una rete solidale che, tra l’altro, consente oggi alle BCC di essere le uniche banche italiane in grado di garantire i possessori di obbligazioni da esse emesse fino a 103 mila euro (una tutela che si aggiunge ai 100 mila euro riconosciuti per legge ad ogni depositante). Questa “frammentazione” sarebbe debolezza? La divisione del rischio è una buona regola. Altrimenti rischia di prevalere nei fatti la regola del “too big to fail”.

Il modello cooperativo, che le BCC tentano di incarnare nel quotidiano in tutta Italia (zone interne comprese) è – tra l‘altro – un modello riconosciuto e tutelato a livello costituzionale (art. 45). E la mutualità è genuina solo se si realizza nella prossimità, nella vicinanza geografica e relazionale. Essa ha offerto negli anni, e continua a farlo tuttora, pieno sostegno a famiglie ed imprese con quote di mercato di assoluto valore: 22% del credito alle imprese artigiane, 18% alle imprese agricole, 12% alle imprese del turismo, ecc.

Il Credito Cooperativo ritiene che il “protagonismo” in campo bancario a livello locale, sia fondamentale per una buona democrazia economica. La “biodiversità bancaria”, tema sul quale da tempo Federcasse (l’Associazione Nazionale di rappresentanza delle BCC e Casse Rurali) incalza i regolatori europei e nazionali, è essa stessa garanzia di libertà per i clienti, le comunità locali, i territori che possono in questo modo accedere a forme differenti di amministrazione del risparmio.

Tali elementi sono confermati da autorevoli studi anche di organismi internazionali super partes (ad esempio due paper del Fondo Monetario Internazionale del 2007 nei quali si affermava che le banche cooperative e mutualistiche sono più stabili in sé e hanno un impatto positivo sulla stabilità dell’intera industria bancaria).
Corollario di queste considerazioni è la necessità di applicare principi di proporzionalità nella scrittura e nell’applicazione delle nuove regole che le Istituzioni Europee si apprestano a definire e che, se non correttamente intese nella loro forza impattante, rischiano di penalizzare fortemente un tessuto di migliaia di banche locali.

Le BCC (e più in generale le banche cooperative europee) non hanno causato la crisi, non hanno titoli tossici in portafoglio ma, per puro paradosso, avvertono su di loro il peso di una crisi che penalizza duramente l’economia reale e che non accenna a diminuire. In questo contesto, il Credito Cooperativo ritiene sia allora indispensabile presentare, nel momento in cui si citano presunte “debolezze” del sistema, le specificità normativo-tecnico-organizzative delle banche del territorio e la loro riconosciuta funzione anticiclica. Ovviamente, oggi dopo sette anni di crisi, tale funzione può in alcuni casi generare qualche difficoltà.

Le BCC italiane oggi, complessivamente, presentano un patrimonio di oltre 20 miliardi di euro. Con un Core Tier 1 medio superiore del 14 per cento, già compliant con le nuove regole di Basilea 3. Sono banche tra le più patrimonializzate del sistema, grazie al vincolo di destinare a riserva indivisibile almeno il 70 per cento degli utili netti annuali (come evidenziato da una recente indagine dell’Antitrust, tale percentuale sfiora nei fatti il 90 per cento).

In Europa le banche locali cooperative coprono oltre il 20 per cento del mercato continentale del credito. Le BCC in particolare non hanno causato la crisi e non hanno titoli tossici in portafoglio. Nella valutazione delle “debolezze” di una intera industria, andrebbero considerati complessivamente tutti i profili tecnici. E forse anche le specificità di modelli operativi ed organizzativi di banche che svolgono una riconosciuta funzione anticiclica.


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