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Reggi: «Il riutilizzo delle case invendute è la risposta al disagio abitativo»

Il sottosegretario all’Istruzione e presidente della Fondazione Patrimonio Comune dell'Anci: «Serve un gestore sociale che accompagni il processo di conciliazione tra il fabbisogno di housing sociale e l'enorme numero di alloggi invenduti, capace di guardare all’evoluzione economica delle famiglie in affitto. Si guardi al modello Ue dei proprietari sociali»

di Roberto Reggi

In un Paese con poche case in affitto – appena il 19% – la crisi del mattone, giunta all'ottavo calo congiunturale consecutivo, sta tutta in due elementi opposti. La crescita degli immobili invenduti: nel solo 2011 sono stati il 75% delle 150mila unità ultimate, mentre lo stock del residenziale nuovo non piazzato si situa tra 500mila e 700mila unità (il cosiddetto magazzino ipotecato, sostanzialmente in mano alle banche). E l’allargarsi della domanda di alloggi a prezzi contenuti da parte della classe grigia: troppo povera per un affitto di mercato (il rapporto tra affitto e reddito medi è cresciuto dal 40% del 2008 al 50% del 2012) e troppo ricca per gli alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica.

Ma proprio nel settore housing l’Italia sconta un forte ritardo dagli altri Paesi Ue: da noi ci sono 4 abitazioni sociali su 100, rispetto al 32% dell’Olanda, il 23% dell’Austria e il 17% della Francia. Un gap in controtendenza rispetto all’interesse a livello locale di molte banche per l’housing sociale, che non può essere colmato solo con il Fondo investimenti per l’abitare (FIA) gestito dalla Sgr della CDP. Pur essendo valido, il Fondo segue, perlopiù, solo la costruzione e la gestione di nuovi alloggi, e può garantire – ipotizzando l'impiego complessivo dei 2 miliardi in dotazione – circa 10-13 mila nuove unità a fronte delle 600-700 mila famiglie che (dati MIT) chiedono alloggi sociali.

Peraltro, tutto ciò si spiega anche con la mancanza in Italia, invece presente in molti paesi d'Europa, di un intermediario sociale certificato, cerniera tra l’offerta e le nuove esigenze abitative, che sappia accompagnare il processo e supportare gli affittuari guardando anche all’evoluzione economica delle famiglie così da abbassare il rischio dei progetti e permettere il pagamento di un canone equilibrato. In Italia questo veicolo potrebbe essere l'impresa sociale (l155/2006), adeguatamente riforma.

Da più parti si cerca il modo di incidere in profondità sull’offerta di alloggi ‘social’ e anche il governo ha promesso degli interventi ad hoc. Ma una strada da percorrere nel brevissimo periodo é il riutilizzo dell’invenduto grazie ad accordi con i proprietari, siano essi privati, banche e costruttori. Questo patrimonio abitativo, oggi liquidità bloccata, una volta utilizzato, potrebbe tornare sul mercato con canoni pari anche al 3% del suo valore stimato. E potrebbe così soddisfare l'elevatissima domanda sociale allentando così la tensione abitativa ormai insostenibile, per via degli sfratti, soprattutto nelle grandi città. In ogni caso, per assicurare il pieno successo dell’operazione non si può fare a meno dei Comuni, che devono essere coinvolti sulla questione del completamento delle necessarie opere di urbanizzazione nei quartieri dove si trovano gli alloggi, ma soprattutto per sviluppare ed estendere interessanti esperienze di mediazione sociale tra domanda ed offerta nate in molte realtà comunali evolute.
 


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