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Droga e prostituzione entrano nel Pil: per l’Istat sono indicatori di crescita

Da settembre, l'Istat e gli istituti di statistica europei includeranno la spesa in droghe e prostituzione e dell'economia grigia del contrabbando per valutare il peso dell'economia europea ferma da troppi anni. Dopo l'azzardo, ritenuto "consumo culturale", un altro aberrante paradosso delle statistiche europee. Per la gioia dei governanti

di Marco Dotti

Contestato, criticato, ritenuto vecchio e inadatto per economie dinamiche, in tempi di crisi il Pil  è invece un indicatore economico che può tornar comodo a chi vive e prospera sulle statistiche. Come? Ecco due ragioni che, di questi tempi, hanno quasi cancellato dalla scena pubblica ogni dibattito su criteri alternativi di valutazione economica, dai Bes (il Benessere Equo Sostenibile) al Fil (la Felicità interna lorda).
a) Da un lato, il Pil di una nazione non cresce come ingenuamente si crede solo quando "le cose vanno bene", anzi: peggio vanno e più il Pil tende a crescere. Il classico esempio è quello degli ingorghi stradali: più tempo perdiamo per strada, e più il Pil sale – grazie a consumo di carburante, pedaggi autostradali, spese in manutenzione dell'automobile e via discorrendo. Giustamente, è stato ricordato che certe nazioni "mettono a valore" anche l'inquinamento dell'aria. Più inquinamento c'è, più il Pil cresce e questo alla faccia della green economy. Voltare pagina in termini di indicatori economici significherebbe ammettere ben più di una sconfitta rispetto al modello di crescita tacitamente e implicitamente adottato anche in sede europea.
b) Dall'altro lato, nel Pil si può far rientrare, attraverso un artificio tecnico, anche la proiezione sul “sommerso” determinando così un aumento stimato e improvviso del Pil e dando di conseguenza all'opinione pubblica l'illusione di una crescita. Detto in termini un po' rozzi: l'economia mafiosa non è tale in sede statistica e a nulla importa che produca effetti distorsivi sulla concorrenza e sul mercato, anzi.
Da settembre, come conseguenza dell'armonizzazione dei criteri voluta in sede europea il Pil italiano cambia volto e apre proprio al sommerso, con un incremento previsto del Pil di circa il 2% (circa 32 miliardi di euro), considerando che l'economia sporca (la cosiddetta grey economy) in Italia si stima corrispondente al 16,50-17,50% di quella legale. Svezia e Finlandia, stando a questi calcoli, vedrebbero incrementare del 4% il loro Pil, mentre l'Inghilterra si attesterebbe al 4%. 
Tra i parametri che più faranno discutere e che in parte spiegano anche l’attivismo degli organismi internazionali che puntavano alla loro “legalizzazione” (cosa diversa, ça va sans dire, dal dibattito sulla depenalizzazione), vi sono quelli legati al "consumo" di sostanze stupefacenti, la spesa per la prostituzione, il commercio illegale di alcool e sigarette. Insomma, l'illegalità messa alla porta a parola, rientra tranquillamente dalla finestra. 
Droga, prostituzione e contrabbando vengono "messi a valore" nel calcolo del nostro comune benessere… Ma del malessere, dello sfruttamento, della riduzione in schiavitù nulla si dice. Ricordiamo che in Italia la stima di donne e uomini "impiegati" nel business della prostituzione è di 70.000 persone. Alla base di questo business, che l'Istat vorrebbe trattare con "neutralità", c'è la tratta di esseri umani, una neo-schiavitù che alimenta anche racket, usura, sfruttamento. Ma le storie e le vite scompaiono, dietro la maschera dei numeri, salvo poi riapparire come "indicatori di benessere"
Un paradosso forse, ma che rivela la natura compromissoria e per molti versi aberrante del Pil. Come denunciava Bob Kennedy, pochi mesi prima di essere ammazzato , la ricchezza delle nazioni non si può misurare tramite il Pil che tutto misura, fuorché ciò che rende la vita degna di essere vissuta.

«Il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione e della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia e la solidità dei valori familiari. Non tiene conto della giustizia dei nostri tribunali, né dell'equità dei rapporti fra noi. Non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio né la nostra saggezza né la nostra conoscenza né la nostra compassione. Misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta». Così parlava Robert Kennedy (il discorso integrale in inglese lo trovate allegato qui accanto). 
Per quanto riguarda l’azzardo, l’Istat, come già avevamo scritto su Vita nel marzo scorso, lo considera da tempo “consumo ricreativo” e culturale. Ora si attende che per coerenza anche il giro illegale del gioco d’azzardo, quantificato da Confindustria in 23 miliardi di euro annui, rientri in qualche modo nel Pil.
In sostanza, a partire dal prossimo rapporto di settembre lo status giuridico non verrà più considerato dirimente per l’inserimento di un fattore nel calcolo del Pil, conterà solo la capacità di produrre spesa o reddito.
Con un dubbio, nemmeno piccolo in verità: come verrà calcolata e con quali evidenze scientifiche si sottoporrà a verifica l’incidenza economica dell’economia illegale, che per definizione non ammette né prevede contabilità e, di conseguenza, controlli? Alla base della qualificazione "illegale" di un'economia c'è una scelta di valore. Per esempio, il lavoretto da 10 euro pagato in nero è economia illegale o informale? Evasione o semplicemente accordo equo tra gentiluomini? La corruzione col traffico economico che genera è esclusa dall'Istat? Tutti sanno che alla base del mercato nero di alcool e sigarette (e perché non quello della contraffazione?) c'è un'attività prelimiare di corruzione e concussione, che quindi rientrerebbero a rigor di logica nei dati dell'Istat. Insomma: quale sia il valore alla base dei "valori" dell'Istat non è molto chiaro.
Il fatto che l’Eurostat – l’ufficio statistico dell’Unione Europea, con sede in Lussemburgo – abbia predisposto criteri precisi di valutazione per questa "zona grigia" più che rassicurare aggiunge dubbi su dubbi, vista anche la non uniformità dei "terreni" di ricerca: la prostituzione è legale in alcuni paesi, così come il consumo di stupefacenti, quindi queste attività sono soggetto a studi di settore e rendicontazione, mentre in altri paesi sfuggono a ogni verifica, salvo quella in sede penale e amministrativa di sequesto. Come rendere omogenei dati che per struttura, contesto e natura, non lo sono? Oppure è proprio questa elasticità il trucco escogitato dai burocrati europei, che tireranno come una porta a soffietto – a seconda delle necessità di taglio o sostegno a qualche governo fedele alla causa – le cifre? Si tratta di un dubbio, non di un'accusa – sia chiaro.
Va poi detto che per l'Istat, la spesa in armamenti – che ha un peso non indifferente, se pensiamo a quanto stanziato per gli F-35 – passerà dalla categoria “consumi intermedi” a investimenti.  Una bella mossa, in attesa che anche le spese mediche, legali per aggressioni e violenze vengano messe a "valore".

@oilforbook


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