Attivismo civico & Terzo settore

Azzardo legale: una gigantesca bolla?

Giocano tutti. Giocano i più deboli ma - osserva la Consulta Antiusura, tramite il sociologo Maurizio Fiasco - «giocano anche i gestori che conducono i locali, i concessionari che hanno ottenuto l’autorizzazione, le banche che hanno prestato con scarse garanzie. E gioca lo Stato italiano che, per farsi anticipare denaro pronta cassa, paga con un tasso d’interesse iperbolico». Ma il sistema non regge e a pagare siamo tutti

di Marco Dotti

C’è stato molto attivismo, in questi mesi, da parte dei Concessionari di Stato e delle loro associazioni di categoria nel sottolineare il loro punto di vista: che il business legale nel settore del gambling di massa, diffuso in ogni dove – fuori dai luoghi che storicamente erano destinati a confinarlo lontano dalla vita quotidiana: i casinò – sia nato come risposta alla necessità di contenere il gioco illegale, altrimenti dilagante. 

Eppure, come evidenzia il sociologo Maurizio Fiasco, un'altra lettura è possibile. Una lettura da cui risalterebbe un aspetto, paradossale e pertanto controintuitivo, del fenomeno: all’espansione del mercato del gioco d’azzardo legale corrisponderebbe, in modo proporzionale, quella del gioco illegale. In altri termini, nota Fiasco, «i due mercati (legale versus illegale) non si separano e non entrano in concorrenza, ma si potenziano reciprocamente».

Il dato è inquietante ed emerge dalla ricerca che verrà presentata questa mattina nella sede della Caritas Italiana a Roma, alla presenza del Ministro degli Interni Angelino Alfano, nel corso dell’Assemblea annuale delle Fondazioni Antiusura associate alla Consulta Nazionale.

Se è vero che la criminalità si pone spesso in concorrenza con il sistema al cui vertice c'è lo Stato, offrendo i propri prodotti e «avvicinando nuovi potenziali partecipanti e, soprattutto, giovani clienti, grazie ai rituali e all’ambiente stigmatizzato che produce un valore emotivo di fascinazione al rischio», è d'altro canto evidente che «proprio a fronte di questa aggressiva induzione criminale al gioco d’azzardo clandestino, trova una forte motivazione la scelta politica di promuovere “prodotti” di gioco pubblico d’azzardo più semplici, più diffusi capillarmente, più rapidi nel pagamento (gran parte in cash) affinché la concorrenza del “gioco sicuro” sottragga clienti alle bische, agli allibratori e al “collega” o al vicino che raccoglie le puntate al toto nero e ad altre scommesse». 

L'idea "sostitutiva", ossia che dove vi sia legalità non ci sia illegalità, ma anche quella – diciamo così – di contrasto, ovvero che la legalità sia un deterrente all'illegalità. risulta completamente rovesciata dalla lettura della Consulta Antiusura. Anziché sostituirsi l'una all'altra le due offerte di gioco si integrino, spesso coesistano in capo a uno stesso giocatore. Per questa ragione, afferna Fiasco, «nel decennio scorso si è passati a sostituire i giochi pubblici che consentivano una ripartizione dell’ “utile” in “simmetria con attivo per lo stato” (giochi dove l’Erario incamera di più della “filiera”: Concessionari-Gestori-Esercenti) con giochi pubblici dove è vistosa una “asimmetria in passivo” (dove è la “filiera” a drenare somme maggiori)». Detto in altri termini: lo Stato incassa sempre meno, mentre i suoi Concessionari incassano sempre di più.

Ricordiamo che tra il 1998 e il 2012, data a cui risale l' ultimo dato diffuso, anche se in modo incompleto, la spesa delle famiglie italiane per l’azzardo «ha pesato in modo crescente nella composizione dei consumi privati: dall’impiego di 15,8 miliardi di euro nel 1998, si è giunti agli 88,5 miliardi di euro nell’anno 2012. In termini reali, questo significa che in quattordici anni si è moltiplicato di 3,6 volte il volume monetario di consumo lordo destinato ai giochi».

Un aspetto ancora più paradossale – osserva Fiasco, ma qui ci sarebbe da distinguere tra concessionario e concessionario, la cui struttura societaria cambia notevolmente passando da Spa a Srl…– è dato dalla situazione finanziaria di molti concessionari. Risulterebbero infatti, non meno dei giocatori da cui traggono profitto, sovraesposti finanziariamente e sovraindebitati.  In parole povere, rimarca Fiasco, «l’aspirante concessionario di un nuovo azzardo non ha riserve monetarie proprie, e quindi deve ricorrere a prestiti bancari. Che vengono accordati a tassi molto elevati poiché egli, il concessionario, non ha garanzie reali da presentare: patrimonio insufficiente e capitale societario esiguo. E come sanno tutti, meno è solida la condizione patrimoniale, più alto è l’interesse che si deve pagare». 

All'impatto dell'azzardo sul piano microeconomico fa eco quello sul piano macroeconomico, attraverso un  sistema “a doppio legame” dove per far fronte al debito si  è costretti ad alimentare la crescita geometrica dell’azzardo, che per tutto il primo decennio del nuovo secolo è raddoppiata ogni tre anni.

Siamo ormai giunti al limite fisico di crescita della spesa per giochi, denuncia Fiasco.  Se così fosse, saremmo davanti a una gigantesca bolla speculativa, che aumenta la vulnerabilità non sono dei concessionari, ma del sistema fiscale nel suo complesso.

«A meno che non si decida – ipotizza Fiasco – di immettere nel giro dell’azzardo ulteriori denari freschi di provenienza illegale, con il settore criminale che via via invaderà e incorporerà il comparto autorizzato dallo Stato. In pratica, il meccanismo infernale del gioco pubblico d’azzardo potrebbe sopravvivere con l’immissione di risorse illegali nella filiera delle attività imprenditoriali: finanziamento ai concessionari, partecipazione alla gestione dei punti di gioco, protezione agli esercizi pubblici e alle aziende che operano verso il pubblico, usura verso i giocatori patologici». Siamo alla vigilia di una catastrofe che travolgerà la filiera di carta dell'azzardo legale? Oppure il crack c'è già stato e non resta che attendere l'onda d'urto? 

Giocano tutti. Giocano i più deboli, ma – osserva il sociologo Maurizio Fiasco – "giocano anche i gestori che conducono i locali, i concessionari che hanno ottenuto l’autorizzazione, le banche che hanno prestato con scarse garanzie. E gioca lo Stato italiano che, per farsi anticipare denaro pronta cassa, paga con un tasso d’interesse iperbolico, che è la detassazione di molti giochi". Ma il sistema non regge più e per stare in piedi si sta divorando risorse pubbliche, non solo quelle private dei giocatori, ma anche quelle di chi non gioca affatto e forse dovrebbe cominciare a farsi sentire, perché qui ne va del futuro di tutti. 

 

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