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In cinque anni raddoppiati i poveri assoluti

Passati dal 2007 al 20012 da 2,4 a 4,8 milioni pari all'8% della popolazione italiana. Le "pagelle" del curatore Cristiano Gori ai governi Monti, Letta e Renzi. In allegato il dossier completo

di Redazione

Nel 2012 sperimentavano la povertà assoluta 4,8 milioni di persone residenti in Italia, pari all’8% del totale, mentre nel 2007 erano 2,4 milioni, cioè il 4,1%.  È questo il dato più rilevante contenuti nel nuovo rapporto Povertà Caritas (“Il bilancio della crisi- Le politiche contro le povertà in Italia) che trovare in allegato, curato da Cristiano Gori e dedicato all’analisi specifica dell’entità e della politiche contro la povertà assoluta, sperimentata secondo l’Istat da chi non può sostenere le spese minime necessarie ad acquisire i beni e i servizi ritenuti essenziali, nel contesto italiano, a conseguire uno “standard di vita minimamente accettabile”.  «Ecco il noc- ciolo della questione: i poveri sono raddoppiati in cinque anni: 4,8 milioni e 8% sono i nu- meri chiave da tenere a mente perché meglio di qualsiasi altra cifra aiutano a “toccare con mano” la presenza della povertà nella società italiana», sostiene Gori.

Oltre che in termini di singoli individui, la povertà viene calcolata anche con riferimento alle famiglie coinvolte: adottando questa unità di misura, l’aumento – nel medesimo periodo – va dal 4,1%, pari a 0,97 milioni di nuclei, al 6,8%, pari ad 1,7 milioni. Ri- levato in questo modo, dunque, l’incremento percentuale risulta minore poiché si è concentrato maggiormente tra i nuclei con più persone.

Rispetto al futuro Gori vede piccoli segnali di contenimento del fenomeno: «A partire dal 2014, ci si aspetta che riprenda la crescita economica. È ragionevole ipotizzare che – come avvenuto in passato – la crescita possa portare con sé una riduzione della povertà assoluta, ma pare irrealistico immaginare un ritorno ai valori del 2007. La ragione risiede nei mutamenti strutturali vissuti dalla società italiana, a partire dalla precarizzazione del mondo del lavoro e dall’indebolimento della capacità delle reti familiari di fornire sostegno economico. Pur risultando impossibile formulare in merito previsioni attendibili, si può certamente affermare che un tasso di povertà assoluta più alto rispetto allo scenario precrisi sia destinato a permanere».

Nel 2007 la scelta di fare figli non incrementava la probabilità di cadere in povertà, mentre poteva esser l’arrivo del terzogenito a causarla. Il periodo appena trascorso ha acuito la fragilità delle famiglie con tre o più figli minori, che oggi rappresentano uno dei segmenti della società italiana a maggiore incidenza di povertà assoluta (17,1%). La crisi, però, lascia in eredità anche lo “sfondamento” della povertà tra le famiglie con 1 o 2 figli. L’aumento della povertà è stata, infatti, particolarmente rilevante tra queste ultime, pas- sando dal 3,8% al 10,0%.

L’assenza di almeno un reddito da lavoro o da pensione costituisce – di gran lunga – il maggior elemento predittore della povertà assoluta. Quasi un nucleo senza occupati né ritirati dal la- voro su tre, infatti, la sperimenta. Colpisce, inoltre, la presenza della povertà nella fami- glie dove almeno una persona è occupata: pur essendo inferiori alla media – 5,5% per i nuclei senza ritirati dal lavoro e 5,3% per quelli con ritirati dal lavoro, rispetto ad un tasso del 6,8% tra tutte le famiglie italiane – i valori hanno conosciuto nel periodo considerato un incremento di rilievo, ad indicare che l’occupazione non rappresenta più una garanzia contro la povertà.

 

Il rapporto dedica un capitolo specifico al bilancio delle politiche contro la povertà in Italia.

«Dall’inizio della crisi al sino alla conclusione del Governo Monti (primavera 2013)», scrive Gori, «la risposta effettivamente messa in campo è stata la Carta Acquisti, pari a 40 euro mensili per le famiglie povere con un bambino entro i 3 anni o un anziano con più di 65, introdotta nel 2008 dal Governo Berlusconi. La Card non si presta a giudizi univoci. Da una parte, si è trattato di un investimento diretto a fronteggiare la povertà in un paese in cui gli Esecutivi abitualmente se ne disinteressano. Dall’altra, lo sforzo è stato limitato – nel 2012 la spesa ammontava a 208 milioni di Euro – e ha riprodotto i limiti strutturali del nostro welfare: assenza dei servizi alla persona, interventi rivolti solo ad alcune categorie di poveri e importi contenuti».

«In ogni modo», continua il ragionamento, «non poteva essere la Carta Acquisti da sola ad incidere sostanzialmente sulla condizione economica delle famiglie in povertà. Per capirlo basta guardare la recente analisi di Baldini, Giarda e Olivieri sull’impatto della crisi per le famiglie italiane, che offre un altro punto di vista sui dati presentati nella tabella. Gli Autori, infatti, dimostrano come nel periodo 2008-2012 il reddito sia diminuito per tutte le famiglie, ma in maniera particolarmente forte per il 10% di quelle più povere, che hanno subito una riduzione addirittura di un quarto. I redditi più bassi erano stati quelli che avevano beneficiato maggiormente della crescita economica del periodo 2000-2007 ma nel quadriennio successivo hanno subito una contrazione talmente forte che, dal 2000 ad oggi, il decile più povero è quello che ha conosciuto una riduzione di reddito percentualmente maggiore».

I principali interventi del Governo Letta consistono nell’incremento della detrazione Irpef a favore dei lavoratori dipendenti (più altre variazioni dell’imposta sul reddito di minore importanza), nell’aumento dell’aliquota ordinaria Iva dal 21% al 22% e nei cambiamenti nella tassazione degli immobili (in particolare la riduzione dell’Imu e l’introduzio- ne della Tasi). «Complessivamente, la povertà assoluta rimane di fatto invariata dopo gli interventi di Letta: la sua politica economica non ha aiutato le famiglie in povertà, ma non ne ha neppure peggiorato le condizioni», valuta Gori.

Il rapporto considera infine l’introduzione del cosiddetto “bonus di 80 euro mensili” da parte del Governo Renzi per 8 mesi (da maggio a dicembre 2014) riservato ai lavoratori dipendenti che abbiano un reddito imponibile compreso tra 8.145 e 24mila euro; il bonus poi decresce linearmente, per annullarsi a 26mila euro. «Lo otterrà circa una famiglia in povertà assoluta su quattro: si tratta perlopiù di nuclei con un solo reddito da lavoro e numerosi figli. D’altra parte, questi nuclei riceveranno un bonus inferiore agli 80 Euro, in media 303 euro nel 2014, pari a 38 euro al mese (media calcolata solo sulle famiglie povere assolute che risultano assegnatarie). Infatti, molti nuclei sperimentano la povertà assoluta proprio perché i lavoratori in essi presenti sono occupati solo una parte dell’anno. Complessivamente il bonus di Renzi ha avuto un qualche effetto sulla povertà ma di portata assai ridotta, come mostrano le stime sia sulla sua diffusione sia sulla sua intensi- tà. Come noto, è stata annunciata l’intenzione, a partire dal 2015, oltre che di mantenerlo per chi già lo riceve, di estenderlo anche agli incapienti, cioè coloro i quali non pagano le imposte perché hanno un reddito troppo basso, condizione sperimentata dalla maggior parte delle persone in povertà assoluta», conclude Gori.


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