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Cooperazione & Relazioni internazionali

Gaza, la guerra si combatte anche sui giornali

Basta leggere i giornali per accorgersi di come i fatti possano cambiare nella loro prospettiva e drammaticità. Come vedono il conflitto le principali testate israeliane e arabe? Ecco una rassegna stampa tra “guerre sante” e “legittima difesa”

di Redazione

In Israele è evidente: stiamo assistendo a due guerre diverse. Basta leggere i giornali per accorgersi di come i fatti possano cambiare nella loro prospettiva e drammaticità.

La foto di un bambino morto sulla prima pagina di Alquds (il principale quotidiano arabo di Gerusalemme) e le immagini della città di Bersheva sotto attacco sul Jerusalem Post (il giornale vicino al governo di Netanyahu) sono inequivocabili: il conflitto continua anche a colpi d’inchiostro. Le macchine della propaganda si sono messe subito in moto e a furia di “guerre sante” e “legittima difesa” c’è il rischio di non capire cosa stia realmente accadendo.
 

La home page del sito dello Jerusalem Post di oggi

“Hamas è il vero nemico dei Palestinesi”, titola Haaretz, giornale vicino all’opposizione della Knesset.  L’editorialista Alan Dershowitz punta il dito contro il movimento islamico estremista, accusando i suoi leader di amare i propri bambini meno di quanto odiano Israele. Il suo ragionamento parte dal fatto che se Hamas avesse accettato la tregua, ieri non si sarebbe verificata la strage di quattro bambini sulla spiaggia. I «quattro piccoli martiri» come li ha definiti su Alquds Mahmoud Asharaf, giornalista di spicco della stampa araba, sono stati colpiti da un raid che “avrebbe dovuto abbattere solo gli obiettivi militari”.
 

La home page del sito di Alquds di oggi

Israele pare abbia aperto un’indagine per verificarne le dinamiche, ma tranne le scuse di Shimon Peres non sono arrivati altri messaggi di cordoglio. Per Yaakov Lapin, che scrive dal moderato Ynetnews, il movimento estremista di Tsahal sta correndo dei rischi enormi: «se continuano a lanciare i missili – scrive – potrebbero costringere Israele a intervenire su larga scala per demilitarizzare completamente la Striscia». Le conseguenze sarebbero terribili, “e potrebbero volerci due anni per portare a termine l’operazione. A quel punto Hamas perderà ogni possibilità di trattare la fine del conflitto”. Tradotto: è inutile continuare a tirare la corda da una posizione netta di inferiorità.

«La propaganda israeliana non conosce limiti – tuona Hamid Dabashi di Al Jaazera– e Israele sta facendo di tutto per demonizzare Hamas, ma il vero obiettivo è distruggere l’immagine della Palestina di fronte al mondo». Una tesi confermata anche da Marwan Bishara, che va oltre: «Perché Israele ha concesso la Striscia ai Gazawi se poi non perde occasione per attaccarla?» Forse perché «in realtà vuole porre fine al popolo palestinese e alla sua causa di liberazione», si interroga Mahmoud Abu Hija dalle colonne di Al Hayat (quotidiano vicino ad Abu Mazen), e se da una parte mette in guardia la popolazione dal nemico sionista, dall’altra parte bacchetta anche gli “amici” di Hamas: «Le correnti contrastanti all’interno del movimento non aiutano nessuno». Riferendosi alle frange jihadiste presenti tra i ranghi della Striscia, critica il modo che hanno usato «per contrastare l’aggressione israeliana, indebolendo di fatto tutta l’Autorità Palestinese». E perdendo soprattutto in immagine.

La domanda più interessante – e inquietante – è però quella di Hamira Hass, dalle colonne di Haaretz: «Con più di 200 morti a Gaza, riusciamo a immaginare un “Cessate il fuoco” durevole nel tempo sotto l’occupazione israeliana»? Insomma, “Violenza chiama violenza”. L’aveva detto recentemente anche papa Bergoglio, giusto poche settimane fa. Ma si sa che “passata la festa, gabbato lo santo”.  
 


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