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Cooperazione & Relazioni internazionali

Quelle domande senza risposta sulla guerra di Gaza

Il giornalista, scrittore ed esperto di Medio Oriente, Andrea Avveduto propone una riflessione sui fatti che hanno portato Israele all’intervento militare

di Redazione

Il punto non è dire chi ha cominciato. Ma porci qualche domanda sulle ragioni che hanno portato a questa nuova ondata di violenza. Ormai va avanti da quasi un mese, ed è necessario interrogarsi su alcuni punti ancora controversi. Secondo la versione ufficiale sarebbe tutto chiaro: il 12 giugno a Gush Etzion tre ragazzi israeliani sono stati rapiti. I loro nomi erano Eyal Yifrah (19 anni), Gil-Ad Shayer e Naftali Yaakov Frenkel (16 anni).

Il governo israeliano ha accusato Hamas – che ha negato la sua partecipazione al rapimento – dando il via ad una serie di raid aerei sulla striscia di Gaza. Hamas ha risposto lanciando centinaia di razzi contro il territorio israeliano . Il 30 giugno sono stati finalmente ritrovati i cadaveri dei tre ragazzi israeliani rapiti e il governo ha annunciato la volontà di annientare Hamas.

Tutto chiaro, se non fosse che proprio qualche giorno fa il portavoce della polizia israeliana, Micky Rosenfeld, avrebbe rivelato alla BBC che la leadership di Hamas non è stata in alcun modo coinvolta nel rapimento. Il reporter della televisione britannica ha scritto: «Il portavoce mi ha detto che gli uomini che hanno ucciso i tre coloni israeliani sono una cellula separata, affiliata ad Hamas, ma non operante sotto la sua leadership. Ha anche detto che se il rapimento fosse stato ordinato dai leader di Hamas, lo avrebbero saputo prima». Però gli attacchi sono iniziati ugualmente, con le conseguenze sotto gli occhi di tutti. Un bambino ucciso ogni ora, più di 1000 morti in totale. Forse è giusto cominciare a porci alcuni domande.

Perché il Governo di Netanyahu non ha compiuto ulteriori indagini su questo omicidio avvenuto in circostanze tutte da verificare? Accertare le responsabilità dei palestinesi, prima di procedere a un’azione di forza così imponente, sarebbe stato quantomeno ragionevole. E invece il rapporto di causa-effetto non si è verificato. Hamas è stata subito giudicata colpevole, anche se – per la prima volta in assoluto – non ha mai rivendicato l’omicidio in nome della Jihad islamica. Anche in questo caso: perché proprio adesso?

Poniamo però il caso che il reporter abbia capito male, o che il portavoce della polizia fosse poco lucido nel momento delle dichiarazioni. E ammettiamo dunque che Hamas abbia rapito e ucciso i tre coloni. Prendiamo per vera cioè la versione ufficiale. Non dimentichiamoci che poco tempo prima i Signori della Striscia avevano firmato un accordo politico per un governo di unità nazionale con Fatah. A livello politico, il rapimento dei tre coloni sarebbe stato un suicidio. Hamas non brilla per la sua moderazione (lo abbiamo constatato con sufficiente chiarezza durante questi giorni), ma pensare che voglia suicidarsi politicamente senza motivo è improbabile. Dunque, anche in questo caso, qualcosa non torna.

Il resto è noto. Razzi da una parte, bombardamenti dall’altra. Fino all’invasione di terra, e ai soliti appelli per la pace inascoltati. Non ultimo quello di Papa Francesco. «Fermatevi, per favore!» ha quasi gridato da piazza san Pietro.

Difficile pensare che la Knesset possa ascoltarlo. Gli Usa sono sempre più distratti e pigri, l’Europa non proferisce parola e l’Egitto non ha più interessi a fare da mediatore.

Ecco che l’occasione per Israele diventa ghiotta: quella di liberarsi per sempre di Hamas. E se in mezzo ci scappano qualche migliaia di morti, basta dire che sono terroristi. E il gioco è fatto.


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