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Il Vaticano: canali legali per i rifugiati

Lo ha detto Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra. Il rischio è che altrimenti si alimentino percorsi di nuova “schiavitù”

di Giuseppe Frangi

«Provvedere canali legali per l’arrivo di rifugiati e migranti indispensabili per l’economia dei paesi sviluppati e l’applicazione dei diritti umani sono misure che possono migliorare subito la governance delle migrazioni».  È il monito lanciato da Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, intervistato da Radio vaticana. «La risposta ai tentativi disperati di tante persone forzate a lasciare la loro terra non è un’ulteriore rafforzamento dei controlli o addirittura la militarizzazione dei confini, politiche che spingono i migranti a muoversi su cammini più pericolosi o ad affidarsi a mercanti di carne umana».

Alla radice di questa miopia, spiega Tomasi, c’è anche una lettura troppo parziale del fenomeno migratorio.  «Ci si focalizza sulla funzione economica dell’immigrato senza dare priorità al fatto che è una persona con un volto, un sorriso, delle aspirazioni come ogni altro essere umano. La lettura sbagliata del fenomeno migrazioni porta a delle politiche amministrative che forzano le persone in cerca di rifugio a percorrere strade pericolose per raggiungere sopravvivenza e un minimo di benessere».

Proprio ieri è stata annuncaita il tema scelto dal Papa per la prossima Giornata della pace: “Non più schiavi ma fratelli”. “Nel mondo», registra la nota Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, «molteplici sono gli abominevoli volti della schiavitù: il traffico di esseri umani, la tratta dei migranti e della prostituzione, il lavoro-schiavo, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, la mentalità schiavista nei confronti delle donne e dei bambini. E su questa schiavitù speculano vergognosamente individui e gruppi, approfittando dei tanti conflitti in atto nel mondo, del contesto di crisi economica e della corruzione».


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