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La verità è che la violenza negli stadi fa comodo

Anche ieri, per Roma-Cska di Champions League, si sono visti i soliti tafferugli, sei i feriti. Un fenomeno cui sembra non ci sia soluzione. Ma per Marco Ciriello, scrittore e giornalista, la verità è che si tratta di una scelta, «allo Stato conviene avere questa valvola di sfogo piuttosto che investire in educazione. Costa meno e mantiene»

di Lorenzo Alvaro

Ogni maledetta domenica, per parafrasare un famoso film. Ma anche ogni altra giornata calcistica. Che sia coppa o campionato in Italia la cronaca parla sempre di scontri tra tifosi. Anche ieri, a Roma, in occasione della partita di Champions tra Roma e Cska Mosca si parla di violenza. Tra le altre cose un tifoso del Cska Mosca è stato accoltellato all'addome ed a un braccio nei pressi dello Stadio Olimpico.
Ma nei giorni precedenti in calendario vanno segnate tante altre vicende. Prima il Daspo di gruppo a colpire 52 tifosi del Bari, in trasferta a Frosinone. Sassaiola e caos sull’A1. Poi i tifosi del Livorno che aggrediscono i supporter del Latina sul lungomare di Ardenza. Che sia serie A, serie B o Lega Pro poco importa. E come dimenticare il caso di Ciro sempre a Roma. Ma non basta. Perché nonostante i proclami e la presunta linea dura sponsorizzata dalla politica da anni la violenza legata al calcio in Italia è in aumento. Questo dai dati della Polizia. «Violenze in aumento nell’ultima stagione calcistica di serie A e B. Sono cresciuti, rispetto alla stagione precedente, gli incontri con feriti, i feriti tra gli steward, il numero di arresti. Ciò ha determinato anche un maggiore impiego delle forze dell’ordine (+14%) per un costo complessivo di 25 milioni», ha spiegato il capo della polizia, Alessandro Pansa, in audizione alle commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera. «Nell’ultimo campionato», ha proseguito Pansa, «sono stati comminati 2.353 provvedimenti di Daspo (oltre 5.000 quelli ora attivi ndr)». «Il vulnus principale», ha aggiunto, «è rappresentato dagli stadi: l’impiantistica italiana non è adeguata». Per capire come sia possibile questo immobilismo abbiamo parlato con Marco Ciriello, scrittore e giornalista esperto di calcio.
 

Lo scrittore e giornalista Marco Ciriello

Come volevasi dimostrare non è cambiato nulla…
Sì, perché serve avere gli stadi così. Sono passati 4 mesi dalla morte di Ciro e ieri sera ci sono stati 6 feriti all'Olimpico, tutti da arma da taglio. Quindi abbiamo tifosi che vanno allo stadio armati come se nulla fosse. E non c'è intervento, nessun genere di intervento, ma solo repressione a parole. Si spiega solo se la violenza negli stadi serve e quindi viene tollerata

Intende dire che serve allo Stato?
Certo. Non c'è mai una vera ristrutturazione del mondo calcistico o un intervento educativo. Quindi l'unica cosa che si può pensare è che sia utile in qualche modo

Ma cosa ci guadagnerebbe lo Stato?
Circoscrivere il fenomeno all'interno degli stadi. Una sorta di ammortizzatore sociale in cui si sfogano tutte le frustrazioni. Un modo per non vedere dilagare la violenza nella società. Tutti quelli che hanno problemi trovano un posto dove integrarsi e sfogarsi. Un modo evidentemente più economico che pensare e mettere in atto vere soluzioni.

Quello che è certo, stando ai dati della polizia è che si può archiviare una delle frase più ripetute dal giornalismo sportivo: «si tratta solo di pochi delinquenti. i tifosi sono un'altra cosa»…
Dico di più. Finiti i grandi ideali cosa rimane alle periferie? La Squadra. Identifichi il successo della tua squadra con una rivalsa della tua condizione. È da qui che nasce la gratificazione nella violenza che, evidentemente, è consentita. Da qui tutto l'immaginario territoriale, le bandiere. Ecco perché non ha senso dire che si parla di una piccola minoranza. Si tratta invece di una larga maggioranza. Sarebbe bello raccontare i tifosi nei tre mesi di pausa…

Per esperienza posso dire che gli stessi che vanno allo stadio frequentano anche gli spalti di altri sport…
Esatto. Vanno a vedere il basket, l'hockey e ogni genere di sport "minore”. Questo perché a loro non interessa minimamente dello sport. Sono interessati a quel momento, per così dire “sociale”, di aggregazione, che li tiene in piedi, dà senso alla loro vita. Ma bisogna dire anche un'altra cosa…

Prego…
Nei confronti di questi signori, degli ultras, dei tifosi violenti, non c'è mai ironia. La stampa alimenta il problema perché rinuncia a capire. Si appiattisce alla narrazione che divulgano questi signori. Quei discorsi di appartenenza territoriale, onore e fierezza. In realtà andrebbero presi in giro, smontandogli l'immaginario da guerrieri. Invece non succede. Uno come “Genny a' carogna” andrebbe ridicolizzato e invece lo si tratta con una dignità che non ha

Quindi secondo te più che gli stadi nuovi e le regole ferree può fare un cambio di linguaggio e di narrazione?
Certo, rifare gli stadi o prevedere regole sensate è certamente un fattore importante. Ma la cosa decisiva secondo me è il cambiamento del linguaggio che significherebbe intraprendere un percorso educativo. Faccio un esempio: mentre Ciro veniva accoltellato, prima della finale di Coppa Italia, io ero a fare un servizio a Castello di Cisterna, sulla Scuola Calcio U.S. San Nicola. Una piccola realtà, dove sono nati calcisticamente in molti tra cui  Montella e Di Natale, il cui campo è tra due piazze di spaccio. Un luogo a rischio ma che, grazie alla società e al suo allenatore, educa i ragazzini. Quante storie così ci sono in Itali? Ma soprattutto quanto spazio gli viene dedicato? Se pensi a che esposizione mediatica ha avuto Genny capisci il problema. Dobbiamo cominciare a raccontare.


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