Economia & Impresa sociale 

L’impresa sociale è per tutti

L’intervento di Johnny Dotti su uno dei nodi della Riforma del Terzo settore: «Se l’impresa sociale sarà solo uno strumento di nicchia avremo perso una grande occasione. Se sarà solo un abito in più a disposizione dei soggetti che oggi compongono il Terzo Settore ( o pensano di comporlo ) avremo fallito la scommessa»

di Johnny Dotti

Stimolato dall’editoriale di Vita di settembre di Riccardo Bonacina e nella speranza viva di sostenere il cambiamento in questo delicato momento affianco al quel prezioso contributo questo mio appello a tutti gli uomini di buona volontà.

Credo che l’impresa sociale sia in grado di portare un grande contributo all’Italia, perché cambia le regole del gioco. Non perché sia la panacea di tutti i mali, ma perché introduce variabili inedite in un sistema economico ormai logoro. Perché svela nuovi orizzonti di creazione del valore. Costituisce un possibile luogo di nuove alleanze tra soggetti sino ad oggi separati, perché ne può dare una rinnovata profondità d’azione. Apre nuovi mercati. Rigenera e risolleva dalla polvere risorse abbandonate e considerate marginali.

Gli strumenti non sono mai neutri. Veicolano le soggettività che li governano e amplificano le finalità cui sono preposti. Appunto qui sta il tema . Non vorrei che ci perdessimo nei pur necessari tecnicismi che costruiscono l’impresa sociale. Vorrei che i tecnicismi fossero determinati dalla nettezza delle finalità e dall’emergere dei soggetti chiamati a perseguirle.

Mi appello quindi a tutti gli imprenditori, alle loro rappresentanze. Agli imprenditori artigiani e a quelli agricoli; agli imprenditori cooperativi ed agli imprenditori capitalisti. Di qualunque settore merceologico e di qualunque specializzazione. Mi appello ai banchieri ed ai bancari, agli uomini della finanza. Ai lavoratori ed alle loro rappresentanze sindacali. A chi ha responsabilità nell’amministrazione pubblica, politici e tecnici. Dalla scuola alla sanità, dai trasporti all’ambiente, dall’energia alle comunicazioni.
Mi appello alle organizzazioni ecclesiali, ai movimenti, agli organismi pastorali, agli oratori.
Alle università, ai professori ed agli studenti. Mi appello perché i giornalisti seguano questo tema con più acume e profondità.

L’impresa sociale vi riguarda.

Se l’impresa sociale sarà solo uno strumento di nicchia avremo perso una grande occasione.
Se sarà solo un abito in più a disposizione dei soggetti che oggi compongono il Terzo Settore ( o pensano di comporlo ) avremo fallito la scommessa.

Non si mette vino nuovo in otri vecchie. A meno che non si voglia produrre dell’aceto.

Chi ha avuto il merito di tenere accesa la fiaccola, a volte il lumicino, di questa intuizione non può essere che felice che si trasformi in un grande fuoco. Sarebbe una contraddizione in termini l’essere gelosi “ dell’interesse generale”.

Perché di questo si tratta di allargare e diversificare lo spazio di attenzione e cura all’interesse generale. Del riconnettere sotto forme inedite e virtuose l’interesse privato con l’interesse pubblico. Più in profondità di rimettere in comunicazione interesse e dono. Libertà e giustizia. Sperimentando creazione di valore in questo nuovo spazio : riconosciuto, promosso e valorizzato. Non come spazio di nuovi eletti o di alcuni specialisti, ma come spazio che accanto ad altri è figlio di una società matura.

È per questo che l’impresa sociale cambia le regole del gioco. Ed è per questo che tutti sono chiamati a dare il proprio contributo all’avvio di questo processo.

Questa via credo posso rappresentare un contributo onesto e rispettoso della propria storia, che l’attuale terzo settore possa dare al paese, alla sua difficile via di uscita dalla crisi. Crisi da cui nessuno, nemmeno il terzo settore, può dirsi immune.

In fondo si tratta di andare oltre le ormai logore separazioni tipiche del 900. Andare oltre non significa confondere, ma riconnettere in nuove forme, con nuove distinzioni il desiderio di bene, che è anche ben-essere materiale ed immateriale che ognuno di noi porta con sé.

Una legge può solo facilitare, accompagnare, indirizzare. Servono ora i soggetti che vogliono dare vita ad esperienze inedite in grado di ridare forma e speranza a questo paese. Certamente ci dovrà essere un adeguato sforzo  da parte dello Stato, anche in termini finanziari. Ma prima è meglio chiarirsi bene le idee e le intenzioni sulle finalità e sulla portata del cambiamento atteso.

Sono certo che questa innovazione potrà anche contribuire a fare giocare l’Italia da protagonista in Europa e nel mondo. Mi auguro che questo spazio reale di innovazione e cambiamento non sia buttato al vento come lo furono gli sforzi di ricerca di Adriano Olivetti negli anni 60 sull’informatica. In fondo Olivetti non fu solo snobbato dalla politica ma fu emarginato da un contesto economico e sociale che preferì scegliere  consolidate certezze e  rendite di posizione acquisite.
 


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