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Attivismo civico & Terzo settore

Lasciti, quelle assurde zavorre ai testamenti pro non profit

Il vicepresidente di Emergency scrive a vita.it: «Mentre cresce l'interesse dei cittadini per questa forma di sostegno al terzo settore,la burocrazia troppo spesso rende impossibile praticare questa strada». Ecco qualche esempio...

di Alessandro Bertani

Nel corso degli ultimi anni un numero crescente di cittadini ha scelto di sostenere l’attività degli enti del terzo settore attraverso lasciti testamentari o l’indicazione degli enti quali beneficiari di polizze vita. Le attività di informazione condotte dagli enti stanno contribuendo a ridurre la distanza su questa materia tra il nostro e altri Paesi, soprattutto nord-europei, nei quali è prassi consolidata disporre di tutto o parte dei propri beni a favore di soggetti impegnati nel sociale. La delega al governo per la riforma del terzo settore offre ora una straordinaria occasione per colmare gran parte del divario anche dal punto di vista normativo.

La prassi quotidiana della gestione delle pratiche successorie presenta infatti difficoltà operative legate soprattutto alla documentazione e alle procedure non univoche adottate dalle banche, dalle compagnie di assicurazione e dagli uffici postali per addivenire alla liquidazione dei patrimoni ereditari. Ciò vale sia per gli enti di “grandi” dimensioni, ai quali capita più frequentemente di gestire queste pratiche, sia per gli enti di “piccole” dimensioni, i quali ultimi si trovano ad affrontare, spesso per la prima volta, un lascito testamentario o la richiesta di liquidazione di una polizza vita senza essere adeguatamente preparati. L’impegno di energie e di risorse, umane ed economiche, potrebbe essere maggiormente limitato, a beneficio dei tempi e dei costi amministrativi complessivi, che altrimenti finiscono per gravare sul patrimonio degli enti, costituito principalmente dalle donazioni ricevute dai propri sostenitori. Alcuni esempi possono meglio spiegare le inefficienze con le quali ci si trova spesso a che fare. Potranno a prima vista sembrare piccole vicende dell’umana esistenza, “stranezze” burocratiche, aneddoti che fanno sorridere: per la frequenza con la quale occorrono, tali questioni finiscono in realtà per appesantire inutilmente e gravemente l’ordinaria gestione degli enti.

Per ottenere la liquidazione del patrimonio di una successione, si deve spesso presentare più volte la stessa documentazione a banche, compagnie di assicurazione e uffici postali. Un esempio classico è la richiesta di un ulteriore estratto per riassunto dai registri degli atti di morte (il c.d. “certificato di morte”) in originale. Tale documento costituisce già un allegato necessario al verbale notarile di pubblicazione o di registrazione del testamento, che è un atto pubblico, senza il quale non è possibile procedere alla pubblicazione del testamento, e il verbale notarile deve comunque essere presentato per ottenere la liquidazione del patrimonio. La richiesta di tale estratto può essere presentata dagli enti solo all’ufficio anagrafe del comune nel quale è avvenuto il decesso del testatore, recandosi di persona presso tale ufficio o chiedendone l’invio per posta (e allegando alla lettera di richiesta una busta preaffrancata per la restituzione del documento…).

Tra i documenti da produrre vi sono poi la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà o l’atto notorio. Non è chiaro perché a volte venga richiesto l’un documento e a volte l’altro né perché il contenuto delle dichiarazioni che devono essere contenute in tali documenti vari, spesso significativamente, a seconda del soggetto richiedente. Peraltro, trattandosi necessariamente di dichiarazioni rese “per quanto a propria conoscenza”, quasi sempre i soggetti dichiaranti nell’interesse degli enti si trovano “costretti” a rendere una serie di affermazioni solenni il cui contenuto è per lo più ignoto: non è dato sapere, infatti, dell’esistenza di altri testamenti, se il testamento è stato o meno impugnato, se vi sono altri eredi oltre a quelli “noti”, e così via. Senza considerare che talvolta non è nemmeno semplice individuare i soggetti che possano legittimamente rendere tali dichiarazioni, nel caso di atto notorio addirittura alla presenza di testimoni (e, è capitato almeno una volta, di “garanti”?!). Ci si chiede perché non sarebbe sufficiente poter presentare una semplice dichiarazione a firma del soggetto munito dei necessari poteri (legale rappresentante o procuratore speciale). Il dichiarante si assumerebbe comunque la responsabilità di una falsa attestazione, facendo però risparmiare agli enti i relativi costi, in termini di tempo e di denaro.

Talvolta viene richiesto il certificato di esistenza in vita del legale rappresentante o del procuratore dell’ente che chiede la liquidazione (sic!) o l’autenticazione notarile della firma del medesimo sulla lettera con la quale si forniscono le indicazioni per la liquidazione (sic!). Altre volte vengono richiesti certificati della camera di commercio con l’elenco delle cariche sociali e l’indicazione dei poteri, quando per gli enti è invece possibile presentare solo un certificato di iscrizione al registro delle persone giuridiche rilasciato dalla Prefettura in cui si trova la sede legale (che però non elenca tutti i membri dell’organo direttivo e i relativi poteri e vale solo sei mesi…). Ci si chiede perché non è sufficiente la copia conforme del verbale dell’organo direttivo con la delibera di attribuzione dei poteri o della procura speciale, eventualmente accompagnata da una dichiarazione di vigenza da parte del legale rappresentante.

Spesso mancano del tutto gli interlocutori di banche, compagnie di assicurazioni e uffici postali cui rivolgere domande o con i quali verificare la documentazione presentata; altre volte si ricevono lettere in risposta senza il nominativo del sottoscrittore e con firme illeggibili. Viene – sempre più frequentemente, purtroppo – richiesta la spedizione di documenti o la presentazione di richieste agli indirizzi postali delle direzioni generali, senza l’indicazione di uffici specifici o di persone cui rivolgersi in caso di necessità, o a indirizzi di posta elettronica “anonini”, perché generici. Talvolta viene chiesto di chiamare numeri di telefono a risposta automatica, senza possibilità di interloquire con un operatore o con un addetto a conoscenza della questione. “Mi spiace, non posso fornire a lei (rappresentante dell’erede!) queste informazioni. Deve farmi chiamare dal funzionario della filiale della banca che ha collocato il prodotto, che mi comunicherà un P.I.N. dedicato e al quale potrò dare queste informazioni.

Spesso, per la liquidazione dei saldi di conto corrente o dei titoli o per la consegna degli assegni circolari viene richiesta la presenza fisica del rappresentante dell’ente presso la filiale della banca o dell’ufficio postale, quando ci si potrebbe avvalere della rete di sportelli del gruppo sul territorio, utilizzando il più vicino alla sede dell’ente e risparmiando tempo e costi di viaggio. Si immagini quando un testamento individua una decina o più di enti beneficiari cosa questo comporti da un punto di vista organizzativo…

E poi: chi è legittimato a chiedere informazioni a banche, compagnie di assicurazione e uffici postali in funzione della formazione dell’inventario? L’ente chiamato all’eredità o il notaio incaricato di tale attività? Mentre la scelta da parte degli enti ricade quasi sempre sul secondo, per ragioni di opportunità, trasparenza e competenza professionale, qualche ente finanziario pretende che sia l’ente chiamato all’eredità a farlo, presentando, oltre a una copia conforme del verbale di pubblicazione del testamento – indovinate che cosa? -, una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà o un atto notorio (con dichiarazioni “preliminari” su fatti che già risultano nel verbale di pubblicazione del testamento, e cioè essere chiamati all’eredità); documenti che verranno richiesti una seconda volta per autorizzare la liquidazione finale del patrimonio. E poi: a quale ufficio o succursale deve essere presentata tale richiesta? La sede centrale o la filiale presso la quale è intrattenuto il rapporto bancario, assicurativo o postale?

Altri punti dolenti si rinvengono nella prassi quotidiana delle compagnie di assicurazione: non viene mai fornita la documentazione che indichi in che modo è stato determinato l’importo delle polizze liquidate né i valori di calcolo di detto importo. Per chi, come gli enti del terzo settore, fa della trasparenza e della rendicontazione una ragione di esistenza, questa prassi è francamente inaccettabile. Talvolta, per la liquidazione viene richiesta la consegna alla compagnia dell’originale della polizza sottoscritta dall’assicurato. Tale documento è difficilmente in possesso dell’ente, in alcuni casi non si rinviene nemmeno nell’abitazione da parte degli eredi. Viene così richiesto agli enti di presentare, presso le autorità di polizia, una denuncia di smarrimento di un documento di cui non si è in realtà mai venuti in possesso…

Infine, andrebbe creata una base dati centralizzata che consenta agli enti di verificare l’esistenza di una polizza vita stipulata a loro favore, posto che le compagnie di assicurazione non comunicano tale circostanza al momento della stipula della polizza né al momento del decesso dell’assicurato. Quante polizze non vengono così liquidate a favore dei legittimi beneficiari?

Da un punto di vista strettamente normativo, andrebbe riformata la disposizione che richiede il nulla osta preventivo della sovrintendenza ai beni culturali a vendere un immobile più vecchio di settant’anni, quando il soggetto venditore è un ente, che lo ha ricevuto nel proprio patrimonio per successione. Dal momento che tale norma non si applica quando il venditore è una persona fisica, non si comprende la ragione per la quale il nulla osta, che ha tempi molto lunghi per il rilascio, sia invece richiesto agli enti.

Anche la normativa codicistica sulla formazione dell’inventario andrebbe “razionalizzata” e adeguata ai tempi: andrebbe (ulteriormente?) specificato che l’inventario da formare in caso di una successione (atto necessario quanto erede è un ente) deve tenere conto solo dei beni suscettibili di valutazione economica. Essendo la ratio del legislatore la tutela dei creditori dell’eredità, si eviterebbe il conto dei calzini o dei cucchiaini da caffè al quale talvolta è capitato di assistere da parte di notai estremamente scrupolosi. Andrebbe altresì ulteriormente specificato che i notai hanno il dovere di informare sempre gli enti dell’esistenza di un testamento a loro favore e che le date per la formazione dell’inventario debbano essere concordate con gli interessati, non imposte dal notaio senza prima consultare la disponibilità dei rappresentanti degli enti a intervenire. Andrebbe resa facoltativa l’apposizione dei sigilli, a giudizio e sotto la responsabilità dell’ente, o previsto un termine massimo (breve) entro il quale chiederla: spesso tale adempimento viene chiesto dagli esecutori testamentari diversi mesi dopo l’apertura della successione, rendendo di fatto inefficace la ratio della norma.

Come anticipato, questi sono solo alcuni esempi riscontrati nel quotidiano: l’aneddotica degli enti sulla materia è in realtà molto più ampia e variegata, purtroppo. Motivi di intervento nell’ambito della riforma del terzo settore dunque ci sono anche in materia di lasciti testamentari. Sarebbe davvero un peccato se non si cogliesse l’opportunità di far fare al nostro Paese un passo di civiltà in avanti anche in questo particolare ambito.


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