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Pezzotta: “Sciopero e poi? Serve un contropotere”

Ieri Spagna, Grecia, Germania, Belgio. Oggi è la volta dell'Italia. Ma ogni sciopero generale - osserva Savino Pezzotta - "diventa un evento, che si esaurisce sul piano locale e non ha ripercussioni nello spazio europeo, là dove vengono prese le decisioni economiche e politiche a cui i governi nazionali si conformano". Servirebbe, osserva l'ex segretario della Cisl, un sindacato capace di farsi contropotere. Perché "non stiamo vivendo in un'epoca di cambiamenti, ma nel cambiamento di un'intera epoca"

di Marco Dotti

Un’adesione che i sindacati Cgil e Uil dichiarano essere del 70%, migliaia di precari e di lavoratori in corteo e comizi in 54 piazze. Questi i numeri dello sciopero generale di 8 ore in corso oggi. Ma qualcosa sembra essersi definitivamente essersi rotto, nel rapporto tra sindacato e società. "Il sindacato del XXI secolo non può più essere quello del XX secolo, perché qualcosa è cambiato. Dobbiamo capire il presente", commenta Savino Pezzotta. 

“Il presente è uno di quei periodi in cui svanisce quanto normalmente sembra costituire una ragione di vita e, se non si vuole sprofondare nello smarrimento o nell'incoscienza, tutto va rimesso in questione”. È questo, d'altronde, l’incipit delle Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale che Simone Weil scrisse negli anni Trenta, un libro che, a detta di Savino Pezzotta, “molti sindacalisti, oggi, farebbero bene a rileggere”.

Settant’anni, per sei – dal 2000 al 2006 – segretario generale della Cisl, dinanzi allo sciopero generale Pezzotta si pone una domanda che guarda ai risultati di domani, più che alle cifre e ai numeri di oggi: “quanto avrà inciso? Quanto avrà fatto pesare le proprie istanze, là dove i veri processi decisionali si compiono?”

“Sindacato, cambia testa! Diventa europeo!”

Scioperi generali, in questi mesi, ne abbiamo registrati in tutta Europa. In Spagna, in Belgio persino in quella Germania che ci viene spesso descritta come un paradiso operaio. Eppure sembra che queste iniziative non sappiano andare oltre la scena nazionale, aprendo un fronte comune o, quanto meno, collocando le proprie battaglie là dove qualcosa di decisivo accade: l’Europa.

Savino Pezzotta: Credo che il sindacato si debba rendere conto di una verità fondamentale, accettando una concretezza di analisi: siamo entrati in una situazione diversa rispetto a quella che abbiamo finora vissuto. Continuo a ritenere che i valori fondativi del sindacato siano tutt’ora vivi e servano a tutti, ma quei valori fondativi devono poi essere affinati dalla realtà. Qui continuiamo a evocare cose importanti e significative – la concertazione, i diritti acquisiti – ma che non ci sono più o si sono declinate in altri termini, evitando così il confronto con questa realtà.

Partiamo quindi da questo dato di realtà

Savino Pezzotta: Se il potere decisionale in economia si è spostato a Bruxelles, noi non possiamo chiudere gli occhi. Non possiamo far finta di nulla, come fa il governo italiano, continuando a dire che le decisioni sono prese in autonomia da Roma, Parigi o Atene. Allora, se  questo è vero, dobbiamo declinare l’azione sindacale in sede europea, non solo locale.

Cosa che le lobbies hanno capito benissimo e, infatti, hanno loro rappresentanti in pianta stabile a Bruxelles.

Savino Pezzotta: Il sindacato è sostanzialmente un contropotere e, una volta individuato il luogo del potere, del potere che decide della sorte di tutti, lì dovrebbe centrare il proprio obiettivo e iniziare la propria azione.  

Ci faccia un esempio.

Savino Pezzotta: Pensiamo a Jean-Claude Juncker e al suo piano di crescita. Lasciamo stare la questione delle cifre, che è controversa, ragioniamo su questo: chi si è confrontato con Juncker? Risposta: qualche governo. Postilla: quei governi si sono confrontati con Juncker in condizioni di debolezza oggettiva. Allora sorge un’altra domanda: e il sindacato? Dov’era il sindacato?

Quindi secondo lei bisognerebbe aprire qualcosa che assomiglia a una vertenza europea?

Savino Pezzotta: Certamente, bisogna ridare slancio alla propria azione. E chi può fare questo se non i sindacati italiani, che sono quelli più rappresentativi e più europeisti?

Sciopero generale: un evento senza conseguenze?

Lo sciopero generale in corso oggi rischia invece di chiudere quei sindacati su un piano iperlocale e non aprire alcuna dialettica tra potere e contropoteri, almeno là dove si dettano le condizioni del gioco…

Savino Pezzotta: Spagna, ma anche Grecia. Quanti sono stati gli scioperi in queste settimane… Eventi che sconquassano la comunità in cui si verificano, ma non hanno la minima incidenza su quella comunità più grande che chiamiamo "Europa". Bisogna cambiare linea, con azioni che abbiano incidenza sulla Commissione Europea e che, esercitando forte pressione, ne determinino le scelte e di conseguenza influenzino i governi.

Lei ha parlato di un contropotere e, recentemente, uno studioso molto vicino alle pratiche sindacali come Pierre Rosanvallon ha usato un'espressione "controdemocrazia", intendendo con questa parola tutti quegli interventi civici, positivi ma non sempre istituzionalizzati, esercitati da associazioni e cittadini nei confronti dei poteri, al fine di orientarli…

Savino Pezzotta: Vado oltre, ricordando che quella di potere-contropotere è stata un’idea che la Cisl ha perseguito in tutti gli anni ’60-’70 e aveva anche teorizzato, con Bruno Storti ma soprattutto con Pierre Carniti, con un’autonomia portata a livello alto. Un’autonomia non subita, semplicemente perché si è fuori da una cinghia di trasmissione. Un’autonomia alta perché consapevole di rappresentare interessi che sono diversi dai tuoi. Mentre il governo ha il dovere di rappresentare gli interessi di tutti, un sindacato deve tener conto degli interessi di tutti, ma rappresenta una parzialità e in tal senso è un contropotere. Soprattutto di questi tempi, in cui le leadeship assumono e si arrogano un potere eccessivo, avere un contropotere che contenga il potere troppo aggressivo è ancora più determinante. I partiti non ci sono più, i leader decidono tutto, la politica è diventata mera tecnica decisiva e non è più in alcun modo argomentativa… Dinanzi a talecontesto si sente la viva necessità che il sindacato riscopra il ruolo di contropotere, non in termini antagonisti, ma in termini dialettici.

Populismo dall’alto

La politica è diventata una leadership che, nel momento stesso in cui li richiama a sé in forma retorica, getta di fatto fuori dalla scena i corpi di mezzo…

Savino Pezzotta: Come ha denunciato anche il 48° Rapporto Censis, uno degli elementi della crisi della politica è di non aver più avuto il senso del limite e, di conseguenza, non aver più riconosciuto la politicità  che sta nei corpi intermedi.

Si ritiene, al contrario, che questi corpi intermedi debbano essere apolitici, è forse questo l’errore?

Savino Pezzotta: I corpi intermedi hanno una loro politicità, che talvolta è politica della parzialità ma bisogna tenerne conto, non affermando banalmente “se ne faranno una ragione”. “Se ne farà una ragione chi compie lo sciopero”, va bene, e poi? 

Mondo di mezzo

Eppure, anche questi corpi intermedi oggi arrancano. Abbiamo visto  nei giorni scorsi, come parole chiave (e non solo parole) quali “mondo di mezzo”, “cooperazione”, “solidarietà” siano state piegate per fini ben diversi…

Savino Pezzotta: Il limite è quello  di aver creduto che un certo mondo, il mondo della “buona economia”, fosse buono a priori e, quindi, immune dai mali del mondo. Invece, si è umani anche lì, anche lì servono dei contropoteri. Ovunque manchi una dialettica reale, il conto che si presenta è salatissimo e a farne le spese è un intero sistema.

Appeal sindacal-mediatico vs. contropotere

Non trova che alcuni sindacalisti stiano più nei salotti buoni della televisione, anziché tra la gente?

Savino Pezzotta: Il sindacato deve star dentro i nuovi strumenti della comunicazione, ma con intelligenza. Questo dovrebbe indurre a calibrare la propria azione anche lì. Esserci meno, talvolta significa esserci di più. Non ci si può perdere nel brusio del chiacchiericcio. Io comunque non so se il sindacato, oggi, sia in grado di fare il salto di livello che il tempo nuovo richiede. La Cisl, in questi anni, ha seguito un po’ l’onda dell’adattamento. Si adattava al governo di turno. Il che, sia chiaro, può anche essere una strategia difensiva, ma non cambia niente, vista come è finita. La Cgil, invece, si è buttata su un antagonismo che sembra girare a vuoto, ma è in qualche misura speculare alla logica adattiva di cui parlavo poco fa. È contro tanto per essere contro, ma poi, che influenza politica concreta ha? Potere e contropotere dicevo. Io non voglio annullare il tuo potere, voglio essere rispettato e incidere dentro il campo democratico. Se mi dichiaro antagonista e non incido o se mi dichiaro affine, ma non faccio altro che mimetizzami senza incidere affatto, direi che qui non c’’è alcun contropotere.

E se non c’è contropotere che cosa accade?

Savino Pezzotta: Non lo vede? Il potere va, libero, dove gli pare e piace.

Oggi si dice che politica è velocità. La mediazione rallenta i processi decisionali, quindi va evitata…

Savino Pezzotta: L’illusione della politica è la semplificazione. Bisogna semplificare, quindi la discussione e il dibattito vengono vissuti come intralcio, non come arricchimento. Di conseguenza, togliendo tutto ciò che ci sta nel mezzo, si ritiene che quello della decisione sia l’unico momento politicamente rilevante

"Quale governo? Sembra una governance"

Questa è una critica da fare al governo, più che ai sindacati…

Savino Pezzotta:  Sì, ma con una specificazione: siamo passati dal governo, alla governance. I poteri decisionali sono ancora tutti in capo al governo italiano? Ne siamo certi? Siamo passati dal governo alla governance, dalla rappresentanza alla leadership, il sindacato  deve capirlo. E deve capire che dentro questa logica non sta in piedi un sistema di concertazione. Sta in piedi un sistema di contropotere.

Ma che cosa bisogna fare per costituirsi in contropotere?

Savino Pezzotta: Bisogna avere delle proposte, una strategia.

Lei che sindacato sogna?

Savino Pezzotta: Un sindacato che gode di autonomia profonda. Quando parlo di autonomia, non intendo solo l’autonomia dai partiti – oggi, questa è l’autonomia che si può raggiungere più facilmente. Quello che sogno è un sindacato autonomo in termini di pensiero, di proposte. Un sindacato capace, davvero capace di inserirsi nei grandi cambiamenti in atto.

Nel frattempo il Job Act è stato approvato…

Savino Pezzotta: Si è discusso per un anno di questo Job Act e dell’articolo 18. In particolare, sull’articolo 18, si è discusso di qualcosa che era già stato svuotato dalla Legge Fornero. Ma chi ha pensato alla nuova organizzazione del lavoro, all’impatto che le nuove tecnologie avranno sulla disoccupazione o l’occupazione nel nostro futuro prossimo – molto prossimo, oramai? Papa Francesco ha affermato senza mezzi termini che non siamo in un’epoca di cambiamenti, ma in un cambiamento d’epoca? Il sindacato ha capito questo? Ha capito che siamo in un cambiamento d’epoca? Ha capito che cambia il lavoro, che cambia come si organizza quel lavoro? Il sindacato mi pare ancorato a situazioni che sembrano focalizzate su una realtà di dieci anni fa.

Non le sembra che anche lo schema del potere-contropotere possa essere considerato antico? In fondo,  risale agli anni ’60.

Savino Pezzotta:  Questa è la democrazia. Comprendo che a molti post-democratici piaccia far credere e, entro certi limiti, persino credere che la democrazia sia uno che comanda e tutti gli altri sotto a far chiacchiere inutili. La democrazia è un’altra cosa e questa “altra cosa”: in democrazia nessuno assume su di sé tutte le decisioni. La democrazia è fatta di tanti poteri, diffusi dentro e fuori la società. Altrimenti l’unico potere che avanza è il potere dei soldi.

Uno strapotere, direi, più che un potere

Savino Pezzotta:  Se vogliamo imbrigliare il potere del denaro dobbiamo creare una maglia di contropoteri. Il potere del denaro ha  la necessità fisiologica che nella società non vi siano molti poteri, ma pochi, possibilmente pochissimi. Così li può controllare e corrompere.

Lei sta dicendo che dobbiamo uscire dal capitalismo?

Savino Pezzotta: Tutt’altro. Dico che serve un potere che frena l'insana corsa di questo capitalismo della rendita, alla maniera del kathecon. Che serve contropotere perché se dieci famiglie italiane possiedono il 90% della ricchezza del Paese, questo è indice di qualcosa che non va in questo capitalismo. Se non ha freni, questo capitalismo da rendita e predatorio si comporta come le locuste dell’Apocalisse: ti divora, ti distrugge. Bisogna creare contropoteri diffusi.

È una critica che andrebbe fatta anche al processo di globalizzazione…

Savino Pezzotta: Il problema è che non si scende dal treno in corsa semplicemente dichiarandosi contro quel treno. Bisogna porsi la domanda, ma anche capire come ci sto dentro quella domanda, come ci sto dentro con i miei valori, con i miei ideali, con un rispetto della dignità umana che deve diventare l’elemento della contraddizione da porre all’interno del sistema attuale. La dignità è il perno, non il denaro.

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