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Ciao Francone!

Il saluto di Riccardo Bonacina per il grande amico e storico collaboratore Franco Bomprezzi, mancato oggi. «Guardava le cose con un amore tale da volerle cambiare, voleva che ogni giorno fosse migliore di quello appena passato e voleva che ogni incontro fosse generativo»

di Riccardo Bonacina

Questa mattina Franco Bomprezzi ci ha lasciati. Ci ha lasciati più soli. Non riesco a immaginarmi quanto ci mancherà la sua generosità, la sua forza che era una declinazione quotidiana che lo rendeva capace di guardare le cose e le persone senza ombra di rancore.

Francone, così lo chiamavo perché mi pareva che solo così si potesse, senza retorica, contenere la grandezza del suo cuore. Francone guardava le cose con un amore tale da volerle cambiare, voleva che ogni giorno fosse migliore di quello appena passato e voleva che ogni incontro fosse generativo.

Da qui nascevano le sue innumerevoli battaglie. Sabato scorso, quando sono stato a trovarlo all’ospedale Niguarda (centro Nemo) era davvero contento che almeno la Stazione centrale avesse inaugurato un ascensore per raggiungere i binari. «Un ascensore per tutti», mi raccomando, mi diceva, «basta con questa storia dei disabili».
 

Franco Bomprezzi, ricoverato al il Centro Clinico Nemo all’ospedale di Niguarda di Milano, ha contribuito alla campagna Telethon

Era una vita che Franco con l’ampiezza del suo sguardo e del suo cuore ci diceva che non erano in questione i diritti dei disabili come categoria da proteggere, ma della persona in quanto tale, degna di ogni attenzione e cura, perché disabili una o più volte nella vita lo siamo tutti, o lo diventeremo.

Francone ci ha lasciati, sono convinto che la Madonna che stava invocando lo abbia voluto presto con sé per evitargli troppi dolori. «Riccardo sto riscoprendo la fede semplice di mia mamma», mi confessò sabato.
 

Franco Bomprezzi in gioventù gioca a scacchi con la madre

Imbarazzandomi perché con me avevo solo portato un bel volume di Tex Willer, ma lui, «Lo amo alla follia, è un mito della mia e tua generazione e poi la sua voglia di un po’ più di giustizia è anche nostra». Francone era così, sapeva sempre trarti di impaccio con il suo sorriso largo. Anche sabato quando mi ha detto «la situazione è seria, non ho paura della morte che fa parte del mistero della vita, ma è solo che mi sembra un po' prestino non ti pare?».

«Certo Francone», gli ho risposto, «devi darti almeno 18 anni non solo perché dobbiamo fare tante cose ancora, ma perché poi dovrai rivedere l’Inter vincere qualcosa, non credi?». Così abbiamo riso mentre faceva colazione.

E poi un altro suo dono, Francone sapeva ringraziarti prima che tu facessi alcun regalo, solo perché eri lì con lui, lavoravi con lui (per questo lo ricordiamo seduto al tavolo della sala riunioni di Vita mentre ci dava i suoi consigli). L’ultima sua rubrica su Vita magazine di dicembre è un suo ringraziamento a Vita: «Cara Vita, venti’anni insieme e sentirli. Ma sentirli bene. In movimento. Ci sono dall’inizio e ho imparato con la gente di Vita a ragionare largo, profondo, e prima di tutto ad ascoltare, incuriosito, i mondi che si interfacciavano, galassie a volte lontane, che però anno dopo anno si sono cimentate nell’impresa non semplice di uscire dall’orto di casa e condividere competenze, aspirazioni, esperienze.  (…) Sarà la nostra capacità di narrazione, di ascolto e di condivisione a fare di Vita per lungo tempo ancora un esempio di housing sociale nel mondo dell’editoria. Andiamo avanti».

Ecco, «andiamo avanti», ma tu Francone adesso guarda giù, perché il frangente ha bisogno di tutti i santi protettori e tu, da oggi, davvero sei nella categoria, poco popolata, credo, dei santi dei giornalisti.
Ciao Francone! Quella mattina in ospedale mi facesti notare il nome della stanza, “Liberi di volare” e così hai voluto titolare il tuo ultimo post.

Qui il blog di Franco Bomprezzi su vita.it. L'ultimo post intitolato “Liberi di volare”.
 


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