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Esercizi di libertà nella società del rischio

Siamo testimoni oculari, al tempo stesso oggetto e soggetto, di un radicale cambiamento d'epoca. Lo scriveva nel 1986 il sociologo tedesco Ulrich Bech, scomparso nei giorni scorsi. La sua riflessione sulla società del rischio e sulla comunità di destino che può, virtuosamente, generarsi è forse un punto alto da cui ripartire. Iniziamo da oggi la pubblicazione di un lemmario preso dall'opera di Beck

di Redazione

«Siamo testimoni oculari», scriveva Ulrich Beck nella premessa del suo lavoro sulla Società del rischio. Siamo «testimoni oculari, sia come soggetti, che come oggetti, di una rottura all'interno della mondenità. Una modernità che si sta liberando dalla sagoma della società industriale classica per darsi una nuova forma: la forma di quella che chiamo "società (industriale) del rischio"». Era il 1986, quando Beck scriveva queste parole. Parole a cui subito aggiungeva: «occorre che diventi visibile un po' più di futuro». Oggi, che quel «po' di futuro» sembra farsi sì visibile, ma in tinte sempre più fosche, tornare a leggere i lavori premonitori del sociologo tedesco, scomparso il primo gennaio scorso, può essere ben più che un esercizio di memoria. Più forse riconsegnare quella memoria, attraverso il nostro sguardo (lo sguardo di tutti), a quella critica sempre più necessaria che Beck chiamava Zeitdiagnose, diagnosi del nostro tempo. Iniziamo da oggi, con cadenza giornaliera, un piccolo lemmario del rischio. Sperando possa essere utile al lettore, come è stato – ed è – utile a noi (m.d.)

Società del rischio

Società del rischio, osserva Beck, «non significa che viviamo in un mondo più pericoloso di quello di prima. Semplicemente, il rischio è al centro della vita di ognuno di noi e al centro del dibattito pubblico, perché oramai lo percepiamo ovunque».

Globalizzazione del rischio

«Nella riflessività dei processi di modernizzazione, le forze produttive hanno perso la loro innocenza. L'accrescimento del “progresso” tecnico-economico è messo sempre più in ombra dalla produzione di rischi. In un primo stadio, essi possono essere legittimati come “effetti collaterali latenti”. Ma con la loro universalizzazione, con la critica da parte dell'opinione pubblica e l'analisi (anti)scientifica, i rischi emergono definitivamente dalla latenza e acquistano un significato nuovo e centrale per i conflitti sociali e politici».

Ulrich Beck

Libertà nel rischio

Per questa ragione, il rischio è parte costitutiva di un'insicurezza sociale che non possiamo, però, declinare solo in termini assoluti. Al contrario, osserva Beck, «dobbiamo accettare l’insicurezza come un elemento della nostra libertà, Può sembrare perverso, ma questa è anche una forma di democratizzazione: è la scelta, continuamente rinnovata, tra diverse opzioni possibili».

Comunità di destino

«Il rischio non è la catastrofe, ma l'anticipazione della catastrofe. Non è un'anticipazione personale, ma una costruzione sociale. Oggigiorno, le persone prendono coscienza che i rischi sono transnazionali e comincia a credere nella possibilità di un'enorme catastrofe, come il radicale cambiamento climatico o un attacco terroristico. Per questo solo fatto noi ci troviamo legati agli altri, al di là delle frontiere, delle religioni, delle culture. In un modo o nell'altro, il rischio produce una certa comunità di destino e, forse, anche uno spazio pubblico mondiale».

Esigenze di realtà

«Dobbiamo final­mente porre all’ordine del giorno que­ste que­stioni: come si può con­durre una vita sen­sata anche se non si trova un lavoro? Come saranno pos­si­bili la demo­cra­zia e la libertà al di là della piena occu­pa­zione? Come potranno le per­sone diven­tare cit­ta­dini con­sa­pe­voli, senza un lavoro retri­buito? Abbiamo biso­gno di un red­dito di cit­ta­di­nanza pari a circa 700 euro. Non è una pro­vo­ca­zione, ma un’esigenza poli­tica realistica».

@oilforbook


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