Welfare & Lavoro

Homeless: in Francia vivono 28 anni in meno degli altri

Nell'ultimo rapporto dell'Observatoire National de la Fin de Vie emerge che senza dimora e chi vive gravi situazioni di precarietà muore prima. La speranza di vita è di soli 49 anni contro i 77 del resto della popolazione francese

di Antonietta Nembri

Ventotto anni di meno. Questa è la speranza di vita per le persone senza dimora in situazione di estrema precarietà rispetto alla media della popolazione. Il dato emerge da uno studio francese realizzato nel corso del 2014 dall’Observatoire Nationale de la Fin de Vie e pubblicato da La Croix che riporta l’ammissione del presidente dell’Osservatorio Régis Aubry «in Francia la fine della vita delle persone che vivono in precarietà non era mai stata oggetto di studio» e proprio per supplire a questa mancanza l’Onfv ha dedicato il 2014 al suo studio.

E il risultato è un rapporto dal quale emerge il dato di una speranza di vita media di soli 49 anni contro i 77 del resto della popolazione francese, ma anche uno sfasamento tra l’età biologica e quella biografica «un invecchiamento precoce che viene preso poco in considerazione dalle strutture di accoglienza», sottolinea una nota dell’Onfv. Insomma, le persone più fragili e senza dimora muoiono prima degli altri e hanno un’aspettativa di vita più bassa del resto della popolazione. Il rapporto ha cercato di analizzare anche le difficoltà che incontrano le persone in situazioni di precarietà sia che vivano per strada sia che abbiano una casa o che siano accolte in un centro sociale o medico-sociale.  Dall’osservazione emergono anche «le difficoltà di adattamento della nostra società e del nostro sistema sanitario di fronte a situazioni spesso “anormali”», come sottolinea un comunicato.

Tra i dati emersi anche il fatto che un terzo delle persone in fin di vita in situazione di precarietà entrano in ospedale attraverso il pronti soccorso, l’accesso alle cure nel momento di massima urgenza è la via principale attraverso cui le persone che vivono in strada entrano in contatto con le strutture sanitarie. Non solo, emerge anche che in caso di ricovero i senza dimora hanno una permanenza nella struttura superiore del 61% agli altri pazienti.

Una realtà quella fotografata dal rapporto che porta ad alcune sottolineature positive da parte dello stesso Osservatorio come la presenza di associazioni solidali e di professionisti della salute impegnati nell’accompagnamento di queste situazioni. Inoltre, nelle conclusioni, risulta importante rafforzare il coordinamento tra le diverse strutture sanitarie e sociali per rendere effettivo un percorso salute. Senza nascondersi il rischio per il futuro di un incremento della precarizzazione che – si sottolinea nel rapporto – è il risultato dell’incontro di diverse fragilità in crescita: l’evoluzione demografica e i tagli di budget che fanno prevedere sia un aumento dei bisogni sanitari sia un aumento delle situazioni di solitudine soprattutto sul fronte anziani.

Il rapporto si conclude con dieci raccomandazioni, le principali riguardano:
la sperimentazioni di azioni territoriali e trasversali ai diversi servizi per migliorare le strutture  esistenti o crearne di nuove in grado di offrire una migliore accoglienza delle persone gravemente malate in situazione di precarietà o sole;
l’apertura delle strutture che offrono cure palliative anche alle persone senza dimora;
la formazione interdisciplinare tra settore medico e sociale, come pure una formazione ad hoc dei volontari che si occupano dei senza dimora.

 


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