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Charlie Hebdo, Magatti: «l’Europa giochi la carta del servizio civile universale»

Il sociologo della Cattolica: «Oggi le nostre democrazie vivono un problema enorme nella caduta del senso di appartenenza. Se il problema è visibilmente grande, anche l’investimento per affrontarlo dovrebbe essere adeguato e il servizio civile è lo strumento giusto»

di Giuseppe Frangi

L’onda lunga dei fatti di Parigi dimostra quanto sia difficile nell’Europa di oggi la strada verso l’integrazione. Se in alcune scuole francesi non è stato possibile fare il minuto di silenzio, vuol dire che in particolare a livello di mondo giovanile, i punti di frattura sono più profondi di quanto non si creda. E allora quali strumenti possono attivare le istituzioni per evitare le derive di una convivenza senza legami tra identità diverse? Il servizio civile universale ed europeo può esser uno di questi strumenti. Abbiamo girato la domanda a Mauro Magatti, sociologo, docente dell’Univesrità Cattolica, commentatore del Corriere della Sera. Ad ottobre, nell’ambito del semestre europeo, Magatti aveva tenuto una relazione a Milano sul servizio civile europeo e poi era intervenuto sul tema sulle colonne del Corriere. Aveva detto in quell’occasione: «L’Europa ha creato una infrastruttura istituzionale impegnativa, introduce quotidianamente vincoli, regolamenti, procedure e norme ma tutto questo rischia di passare sulla testa delle persone se non si trova il modo di alimentare il processo dell'unione anche dal basso, non dall'alto».

Il servizio civile è strumento adeguato davanti a conflitti che sembrano così radicati?
Lo strumento è adeguato, ma dipende sempre dall’investimento che vi viene fatto. Oggi le nostre democrazie vivono un problema enorme nella caduta del senso di appartenenza. Se il problema è visibilmente grande, anche l’investimento per affrontarlo dovrebbe essere adeguato. La vera questione che attraversa la nostra società è la mancanza di situazioni che creino un legame tra la storia individuale e quella collettiva. Il servizio civile può assolvere a questa funzione? Secondo me sì, ma a certe condizioni.

Quali?
Innanzitutto ci vuole un grande investimento simbolico. Per superare l’individualismo radicale del nostro tempo bisogna dotarsi di uno strumento potente, non basta l’ottica volontaristica su cui ci si è retti sino ad oggi. Investimento simbolico significa che la politica indica questa come una priorità, che comunichi questa scelta. Non voglio dire che si debba andare verso un servizio obbligatorio, ma bisogna che gli individui si sentano mobilitati dall’opzione che si trovano davanti. E deve diventare uno strumento davvero universale di educazione alla dimensione sociale e di appartenenza a una comunità.

Non è un passaggio semplice…
Ma è anche meno complicato di quel che si pensi. Mobilitazione simbolica significa che si mette enfasi su questo strumento; che lo si valorizza anche dal punto di vista dell’investimento economico che funzioni da incentivo verso questa scelta, che diano concretamente l’idea dell’investimento che si sta facendo, che riconosca l’esperienza con crediti formativi. Infine bisogna che siano coinvolti anche tutti gli altri soggetti attivi della società, a cominciare dai soggetti produttivi: perché il servizio civile deve essere capito come grande opportunità di formazione per le persone.

Le esperienze di servizio civile sono spesso anche esperienze all’interno di precise appartenenze, religiose, culturali, ideologiche. È una dinamica da superare?
Il servizio civile nuovo decolla solo se ci sarà un grande investimento istituzionale. Occorre lavorare sull’obiettivo di ristabilire il legame tra gli individui e la comunità, non tra gli individui e i propri gruppi di appartenenza. I quali evidentemente devono continuare ad esistere ma adottando logiche di apertura, perché l’esperienza di servizio civile sia sempre anche esperienza di relazione tra diversi, che è anche il modo migliore per creare ponti e legami tra le varie appartenenze.

 


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